Alluvione di Firenze
del 4 novembre 1966
disastro naturale
Scorcio di Santa Maria del Fiore durante l'inondazione a piazza dei Ciompi
TipoAlluvione
Data4-6 novembre 1966
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione  Toscana
Provincia  Firenze
Comune
Motivazionestraripamento dei fiumi Arno, Bisenzio ed Ombrone Pistoiese
Conseguenze
Morti35
Feritin.d.
Dispersin.d.
Dannin.d.

L'alluvione del 4 novembre 1966 fa parte di una serie di straripamenti del fiume Arno che hanno mutato, nel corso dei secoli, il volto della città di Firenze. Avvenuta nelle prime ore di venerdì 4 novembre 1966, fu uno dei più gravi eventi alluvionali di sempre in Italia e si verificò a seguito di un'eccezionale ondata di maltempo che causò forti danni non solo a Firenze, ma anche a Pisa, in gran parte della Toscana e, più in generale, in tutto il Paese[1]. A Pisa questa alluvione causò il crollo del bellissimo ponte Solferino e in seguito di un gran tratto del lungarno Pacinotti, che franò in Arno.

Diversamente dall'immagine che in generale si ha dell'evento, l'alluvione non colpì solo il centro storico di Firenze, ma l'intero bacino idrografico dell'Arno, sia a monte sia a valle della città. Sommersi dalle acque furono anche diversi quartieri periferici della città come Rovezzano, Brozzi, Peretola, Quaracchi, svariati centri del Casentino e del Valdarno in Provincia di Arezzo, del Mugello (dove straripò anche il fiume Sieve), alcuni comuni periferici come Campi Bisenzio, Sesto Fiorentino, Lastra a Signa e Signa (dove strariparono i fiumi Bisenzio ed Ombrone Pistoiese e praticamente tutti i torrenti e fossi minori) e varie cittadine a valle di Firenze, come Empoli e Pontedera. Dopo il disastro, le campagne rimasero allagate per giorni, e molti comuni minori risultarono isolati e danneggiati gravemente. Nelle stesse ore, sempre in Toscana, una devastante alluvione causò lo straripamento del fiume Ombrone, che colpì gran parte della piana della Maremma e sommerse completamente la città di Grosseto.

Nel frattempo anche altre zone d'Italia vennero devastate dall'ondata di maltempo: molti fiumi del Veneto, come il Piave, il Cordevole, il Brenta e il Livenza, strariparono e ampie zone del Polesine furono allagate; in Friuli lo straripamento del Tagliamento coinvolse ampie zone e comuni del suo basso corso, come Latisana; in Trentino la città di Trento fu investita pesantemente dallo straripamento dell'Adige; a Venezia un'eccezionale acqua alta causò un'altra alluvione.

Storia

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Antefatti

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Gli ultimi giorni di ottobre e i primi del novembre 1966, in Toscana, erano stati caratterizzati da violente ed intense precipitazioni, interrotte solo da brevi schiarite nel giorno di Ognissanti. Le piogge erano aumentate di intensità nella giornata del 3 novembre, ma a Firenze e dintorni nessuno si dava eccessive preoccupazioni, dato che le piene dell'Arno, del Bisenzio, dell'Ombrone Pistoiese e degli altri corsi d'acqua erano per tutti un "classico d'autunno", occasione magari per una chiacchierata con i concittadini sulle spallette e sugli argini, ed anzi, in città e nei dintorni, ci si preparava a trascorrere in casa il 4 novembre, anniversario della vittoria nella prima guerra mondiale, allora festa nazionale. Le vittime dell'alluvione furono relativamente poche anche per questa casualità: le cose sarebbero andate molto peggio se le acque avessero sorpreso i fiorentini che andavano al lavoro o i contadini all'opera nei campi in un giorno feriale.

Giovedì 3 novembre

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Venerdì 4 novembre

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Firenze via Tito Speri sommersa dall'acqua.
La Basilica di Santa Croce invasa dalle acque dell'Arno

La notte tra il 4 e il 5 novembre

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I livelli raggiunti dalle acque

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In Via San Remigio, nella zona altimetricamente più bassa della città, esiste una targa dell'alluvione del 1333 dove una manina scolpita indica il livello raggiunto dalle acque; ancora più in alto la targhetta che ricorda il livello raggiunto dalle acque nel 1966; le targhe sono a circa quattro metri d'altezza

L'alluvione del 1966 fu un evento eccezionale ed inaspettato per le sue proporzioni; a Firenze l'Arno, che pure aveva esondato spesso, non aveva mai raggiunto una tale furia, come attestano le targhe relative alle alluvioni precedenti come quella, fino ad allora reputata disastrosa, del 3 novembre 1844. Il discorso vale anche per i comuni limitrofi, da sempre abituati alle sfuriate degli affluenti dell'Arno o dei fossi, dove la gente si aspettava la solita piccola inondazione di cinquanta centimetri, evento ricorrente in alcune zone come le frazioni meridionali di Campi Bisenzio e dove ogni famiglia era munita della dotazione anti-allagamento composta da cateratte, secchi e scopettoni pesanti. I livelli raggiunti dalle acque furono i seguenti.

I soccorsi

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La gente comune, con gli esperti al lavoro, non perse tempo nel ripristinare le abitazioni e le attività economiche. In quei giorni in cui tutto fu offeso da acqua, fango e nafta, il sarcasmo tipico fiorentino resistette egregiamente alla piena. Alcune trattorie devastate esposero cartelli con scritto «oggi specialità in umido» e negozi sventrati annunciavano cartelli con frasi del tipo: «ribassi incredibili, prezzi sott'acqua!» o «Vendiamo stoffe irrestringibili, già bagnate».[7] Comunque, si può dire che Firenze ritrovò una sorta di normalità in poche settimane, tanto che fu possibile addobbare il centro storico per le feste di Natale con alberi decorati con residuati dell'alluvione.

I cosiddetti angeli del fango all'opera

Durante l'alluvione, don Lorenzo Milani si prodigò affinché anche da Barbiana partissero aiuti alla volta di Firenze a base di acqua e pane.[8] L'unico aiuto finanziario del governo fu una somma di 500mila lire ai commercianti, erogata a fondo perduto e finanziata con l'usuale sistema dell'aumento del prezzo della benzina[senza fonte] (10 lire al litro[9]). La FIAT ed altre case automobilistiche offrirono a chi aveva perso l'auto uno sconto del 40% per comprarne una nuova e una "supervalutazione" di 50mila lire per i resti della macchina alluvionata.[senza fonte] Un grande merito nell'opera di sensibilizzazione si dovette ad un documentario dal titolo "Per Firenze", realizzato dal regista fiorentino Franco Zeffirelli, che comprendeva un accorato appello in italiano dell'attore gallese Richard Burton.

Volontari che aiutano a mettere in salvo i dipinti degli Uffizi

Fra gli appelli che vengono lanciati verso la fine del documentario vi è anche quello del politico statunitense Ted Kennedy (fratello del defunto presidente John Fitzgerald). Giunsero così presto nel capoluogo toscano i primi aiuti, in veste più o meno ufficiale. Un grande contributo fu dato da altre località toscane, come Prato ed alcuni comuni della Versilia (che misero a disposizione, come già detto, pattìni, gommoni e bagnini), da altri comuni e città italiane (in particolare umbre ed emiliano-romagnole, per solidarietà "di partito"), dalle forze armate americane di stanza in Italia, dalla Croce Rossa tedesca, da varie associazioni laiche e cattoliche, da alcune federazioni di partiti politici e, ovviamente, dalle Forze Armate Italiane. Aiuti "ufficiali" arrivarono anche dall'Unione Sovietica, dalla Cecoslovacchia e dall'Ungheria: l'esondazione dell'Arno era stata quindi capace di corrodere, seppur per poco, il ferro della Cortina.

Particolarmente commovente e significativo fu il gesto della cittadina gallese di Aberfan, che inviò uno stock di abiti per bambini: questa cittadina era stata teatro il 21 ottobre 1966 di una tragedia che era costata la vita a 116 bambini e 28 adulti, causata dal collasso di una collina di scarti della lavorazione del carbone che aveva travolto la scuola cittadina.

Lo spirito toscano fece persino diventare umoristico e simpatico un drammatico salvataggio di alcune anziane suore di un convento di San Piero a Ponti, che erano state raggiunte da alcuni coraggiosi soccorritori versiliesi: la corrente ancora impetuosa rendeva molto difficili le operazioni e la comprensibile paura delle religiose, che dovevano calarsi da una finestra, non migliorava la situazione. Il drammatico salvataggio si risolse però in una scena umoristica, con i soccorritori che bestemmiavano continuamente e le monache che, imperterrite, continuavano a pregare. La vicenda si concluse però al meglio, con il salvataggio delle suore e, passate la paura e la tensione, con reciproche attestazioni di simpatia tra i protagonisti della vicenda[10]. A Natale giunse in visita papa Paolo VI, che celebrò la messa nella cattedrale di Santa Maria del Fiore.

Le conseguenze

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Cimabue, Crocifisso di Santa Croce con i danni dell'alluvione

L'alluvione non aveva interessato solo la città di Firenze, ma di fatto, con varia intensità, tutto il nord e centro Italia. La forza delle acque, solo in Firenze, e la piena, che apportò circa seicentomila metri cubi di fango, avevano distrutto vari ponti e reso inagibili molte strade, rendendo assai difficoltosa l'opera di primo soccorso.

L'alluvione fu uno dei primi episodi in Italia in cui si evidenziò l'assoluta mancanza di una struttura centrale con compiti di protezione civile: i cittadini non furono avvertiti dell'imminente fuoriuscita del fiume, tranne alcuni orafi di Ponte Vecchio che ricevettero una telefonata di una guardia notturna che li invitava a vuotare le loro botteghe; le notizie furono date in grande ritardo e i mezzi di comunicazione tentarono di sottacere l'entità del disastro; per i primi giorni gli aiuti provennero quasi esclusivamente dal volontariato e dalle truppe di stanza in città, mentre per vedere uno sforzo organizzato dal governo bisognò attendere sei giorni dopo la catastrofe.[11]

Un'importante conseguenza socio-economica dell'alluvione fu il definitivo colpo di grazia alle attività agricole e dell'allevamento nella Piana, già in crisi per il trend economico generale: molti contadini ed allevatori della zona, avendo perso tutto il materiale e le mandrie sotto le acque, decisero di non riavviare le proprie attività e di impiegarsi nell'industria o di aprire piccole attività artigianali o commerciali. Questo notevole cambiamento occupazionale fu poi alla base del successivo sviluppo manifatturiero, artigianale e commerciale della zona, che vide trasformare Calenzano, Campi Bisenzio, Sesto Fiorentino, Signa ed altri comuni da territori a vocazione agricola a zone industriali.

Le vittime a Firenze e in Toscana

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Uno dei principali "misteri" dell'alluvione fiorentina è sempre stato il numero delle vittime: la segretezza ed il riserbo delle autorità sull'argomento fin dai primi giorni contribuirono a far diffondere macabre leggende metropolitane, come quella che sosteneva che decine di fiorentini avessero trovato una morte orribile, sorpresi dalle acque nel sottopasso di piazza della Stazione. Oltretutto i fiorentini asserragliati in casa avevano visto scorrere sotto le loro finestre decine di manichini portati via delle sartorie e dalle boutique del centro, scambiandoli per corpi umani, e ciò aveva rafforzato le dicerie sulla presunta strage.

Il punto di riferimento per una informazione documentata sulle vittime dell'alluvione a Firenze e in Toscana è l'archivio POLARIS dell'IRPI-CNR[12]-Istituto per la Protezione Idrogeologica del Consiglio Nazionale delle Ricerche. L'archivio POLARIS indica in 47 le vittime in tutta la regione, delle quali 38 registrate a Firenze e provincia, cinque in provincia di Pisa, due in provincia di Grosseto, una in provincia di Arezzo e una in provincia di Lucca. L'IRPI-CNR evidenzia l'incertezza che ancora permane sulla valutazioni.

Per quanto riguarda la provincia di Firenze l'elenco ufficiale della Prefettura fu trasmesso al Ministero un mese dopo l'accaduto.

Solo nel 2006, dopo 40 anni, l'Associazione "Firenze Promuove",[13] presieduta dal giornalista Franco Mariani e che dal 1996 si occupa delle celebrazioni annuali dell'alluvione, ha pubblicato il documento ufficiale della Prefettura del novembre 1966, che fissa in 35 il numero delle vittime, di cui 17 a Firenze e 18 nei comuni della provincia. Persero la vita in quei drammatici giorni, per cause più o meno dirette dovute all'alluvione:

La targa che ricorda la scomparsa di Elide Benedetti, via San Giuseppe
Altezza di una delle targhe che ricordano il livello raggiunto dall'acqua nel 1966 in via Isola delle Stinche

I danni al patrimonio artistico e i restauri

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È inevitabile che più duratura nella memoria sia rimasta la tragedia, sia pure incruenta, dell'immenso patrimonio artistico di Firenze, che da sempre rende il capoluogo toscano celebre in tutto il mondo: migliaia di volumi, tra cui preziosi manoscritti o rare opere a stampa, furono coperti di fango nei magazzini della Biblioteca Nazionale Centrale, e una delle più importanti opere pittoriche di tutti i tempi, il Crocifisso di Cimabue della Basilica di Santa Croce, deve considerarsi, nonostante un commovente restauro, perduto all'80%. La nafta del riscaldamento impresse le tracce del livello raggiunto dalle acque su tanti monumenti; la Porta del Paradiso del Battistero di Firenze fu spalancata dalle acque, e dalle ante sbattute violentemente si staccarono quasi tutte le formelle del Ghiberti. Innumerevoli furono i danni ai depositi degli Uffizi, ancora non completamente risarciti dopo anni di indefessi restauri. Migliaia di giovani e meno giovani volontari di tutte le nazionalità arrivarono a Firenze subito dopo l'alluvione per salvare le opere d'arte e i libri, strappando al fango e all'oblio la testimonianza di secoli di arte e di storia. Questa incredibile catena di solidarietà internazionale rimane una delle immagini più belle nella tragedia. I giovani divennero gli "Angeli del fango", definizione creata dal giornalista Giovanni Grazzini[14], e furono uno dei primi esempi di mobilitazione spontanea giovanile nel XX secolo.

Per la tutela del patrimonio artistico danneggiato si mise subito in moto una gara a mettere al sicuro e approntare i primi restauri. Guidati dal soprintendente Ugo Procacci, i laboratori fiorentini dell'Opificio delle Pietre Dure raggiunsero gradualmente quei livelli di avanguardia e maestranza tecnica che tuttora li rendono una delle strutture più importanti a livello mondiale nel campo del restauro.

Oltre ai metodi tecnico scientifici allora disponibili, e a sviluppare nuove tecnologie allora ancora embrionali, Procacci fu uno dei primi a basare gli interventi di restauro cercando e studiando le fonti scritte lasciate dagli artefici nel corso dei secoli. La più profonda comprensione di tecniche e materiali antichi infatti si basò (secondo una scelta inusitata per l'epoca) sulla lettura attenta delle testimonianze antiche che spiegavano i procedimenti utilizzati per creare i manufatti artistici. Ricettari come Teofilo e trattati come il Libro dell'Arte di Cennino Cennini furono fondamentali per la conoscenza degli affreschi antichi e di altre tecniche e permisero un uso sapiente e calibrato delle tecniche aggiornate alle conoscenze moderne.

Nel 2016, in occasione del cinquantesimo anniversario dell'alluvione, è stato fatto un bilancio dei beni culturali, dei libri, delle opere, dei dipinti restaurati dall'Opificio delle Pietre Dure e dalle varie Soprintendenze e Ministeri. Una sintesi dei lavori di restauro in tutti i settori è stata presentata nella Mostra "La Bellezza Salvata" aperta dal 2 dicembre 2016 al 7 maggio 2017 a Palazzo Medici Riccardi a Firenze. La Mostra è stata realizzata da Comitato di Coordinamento del Progetto Toscana-Firenze2016[15] con il Comune di Firenze, la Regione Toscana, la Città Metropolitana di Firenze, la società Metamorfosi. Le curatrici della Mostra erano Cristina Acidini e Elena Capretti. La mostra ha avuto circa 70.000 visitatori, in parte notevole stranieri. Sul sito del CEDAF -Centro di Documentazione sulle Alluvioni di Firenze[16] è disponibile la mostra virtuale con le presentazioni in italiano e in inglese.

In riferimento al rischio di danno ai beni culturali nel Convegno del novembre 2019[17] è emerso come, oltre al grande lavoro di restauro delle opere colpite, sono state messe in sicurezza molte delle opere e documentazione a rischio e predisposti piani di emergenza collegati ai piani di Protezione Civile. Nel Convegno è stato inoltre evidenziato che il rischio di inondazione per i beni culturali è anche collegato alla crescita delle precipitazioni di particolare intensità a causa dei cambiamenti climatici.

Per quanto riguarda le opere restaurate dall'Opificio delle Pietre Dure è stato pubblicato nel 2016 un volume che elenca i restauri realizzati.[18]

La ricostruzione

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La disastrosa inondazione del 1966 ha avuto importanti conseguenze sui programmi e sull'organizzazione italiana per la difesa del suolo. Venti giorni dopo l'evento è stata costituita la Commissione Interministeriale per lo studio della Sistemazione idraulica e della Difesa del suolo, presieduta da Giulio De Marchi, da cui prenderà il nome. Ai lavori partecipano le personalità nazionali più qualificate nei campi della tecnica idraulica e di vari altri settori interessati. I lavori della commissione terminano nel 1970 e gli atti sono pubblicati nel 1974, due anni dopo la morte di De Marchi[19]. Suddivisi in cinque volumi di oltre 2.800 pagine e con un'appendice con le cartografie dei litorali in erosione, essi rappresentano un'opera molto importante in ambito idraulico, sia per l'accuratezza delle rilevazioni che per la bontà delle soluzioni proposte. Nell'ambito della Commissione il prof. Giulio Supino, fiorentino, presiedette il gruppo di lavoro per l’Arno e il Serchio. Il Piano che porta il suo nome prevedeva la realizzazione di 23 serbatoi sull’asta principale e sugli affluenti, di cui 17 a monte di Firenze, per una capacità totale di 240 milioni di metri cubi.[20]. Al 2021 l'unica opera realizzata del Piano Supino è stato il serbatoio di Bilancino, entrato in esercizio nel 2001.

L'intervento più importante e unico fino al 2020 per la riduzione della pericolosità del centro storico di Firenze è stato l'abbassamento delle platee di Ponte Vecchio e di ponte a Santa Trìnita realizzato alla fine degli anni settanta, oltre e il sopralzo delle spallette in alcuni tratti del tronco fiorentino del fiume. Il prefetto di Firenze dal 1973 al 1977 Aldo Buoncristiano[21] fu determinante per ottenere i finanziamenti al progetto di abbassamento predisposto dal Genio Civile sulla base di un modello fisico realizzato dall'Istituto di Idraulica dell'Università degli Studi di Bologna.

Per la riduzione della pericolosità idraulica a Pisa fu realizzato il completamento dello scolmatore dell'Arno a Pontedera.

Nel 1990, a seguito dell'emanazione della legge quadro sulla difesa del suolo, fu costituita l'Autorità di bacino del fiume Arno, con il compito di sviluppare il Piano di bacino. Questo importante atto, con forti ricadute anche di carattere urbanistico, è articolato per stralci e, tra le altre cose, indica le strategie per mitigare il rischio idraulico e la difesa dalle alluvioni. Il primo stralcio "rischio idraulico", sviluppato sotto la guida dell'allora Segretario generale Raffaello Nardi, prevedeva interventi strutturali per oltre 1,5 miliardi di euro e vide la luce nel novembre del 1999. Il piano, che tra le altre cose, vincolava molto del territorio di fondovalle non ancora edificato, restò sostanzialmente inattuato, soprattutto per gli scarsi finanziamenti pervenuti dallo Stato e la forte rigidità delle strategie che non offrivano probabilmente una sufficiente progressività dell'azione, visto anche l'estrema incertezza del flusso di risorse economiche.

Negli anni successivi si è provveduto all'approvazione del Piano di assetto idrogeologico (PAI). Questo piano, sviluppato sotto la guida dell'allora Segretario generale Giovanni Menduni, recupera diverse delle proposte indicate dal precedente. Inizia tuttavia da una dettagliata analisi della pericolosità e del rischio sul territorio del bacino fornendo mappe che consentono di indirizzare la programmazione urbanistica. Gli interventi sono poi graduati attraverso un'attenta analisi di priorità che ha consentito di avviare decisamente l'azione di messa in sicurezza. Con questo piano si sono ottimizzate le risorse economiche addivenendo così alla stipula di accordi tra Stato e Regione per il finanziamento degli interventi.

Intanto, nel 2001, entrava in servizio l'invaso di Bilancino. Quest'opera ad uso multiplo, oltre a sostenere il deflusso minimo vitale del fiume, alimentare l'acquedotto di Firenze, produrre energia e riqualificare l'alto Mugello dal punto di vista ricreativo, fornisce un forte contributo alla moderazione delle piene della Sieve ma con effetti modesti su Firenze.

Nel 2019 non erano stati realizzati interventi sull'asta principale a monte di Firenze. Erano in corso di realizzazione quattro casse di espansione nel Valdarno, per un volume di circa 40 milioni di metri cubi invasabili, finanziate dal Governo Nazionale con Italia Sicura e dalla Regione Toscana, ma solo nel 2016 in occasione del cinquantenario dell'Alluvione. È stato inoltre deciso il sopralzo della diga Levane che garantirà una capacità di laminazione della piena invasando fino a 10 milioni di metri cubi.

Il completamento delle quattro case di espansione del Valdarno e del sopralzo della diga di Levane dovrebbe essere realizzato entro il 2026, per il sessantesimo anniversario.[senza fonte]

Allo stato dei fatti (2021), essendo le opere previste a monte di Firenze dal Piano in corso di realizzazione, resta il rischio del ripetersi di una esondazione con situazioni di maltempo paragonabili a quelle del 1966. In tal caso l'Arno tornerebbe ad allagare Firenze, anche se con livelli idrici più bassi almeno nel centro storico per effetto dell'abbassamento delle platee dei ponti.

È da sottolineare che il sistema di preannuncio, sviluppato dalla Regione Toscana operativo presso i Centri Funzionali di Protezione civile, consente procedure di allerta con tempi di anticipo impensabili solo pochi anni fa. Questo permette di predisporre piani di emergenza in grado di ridurre il danno e le possibili perdite di vite umane.

Particolare cura, nella cintura fiorentina occidentale, è stata data alla cura degli argini del fiume Bisenzio e dei fossi minori della zona, dopo l'alluvione del novembre 1991 che colpì il centro di Campi Bisenzio. La zona, da secoli sottoposta a periodici allagamenti più o meno gravi (tre grandi alluvioni del Bisenzio solo nel XX secolo) è stata curata con la periodica pulizia ed il rafforzamento degli argini, la costruzione di impianti idrovori e la realizzazione di casse di espansione. Sistemazione degli argini è stata realizzata anche nell'Ombrone Pistoiese e nel 2017 è entrata in funzione una cassa di espansione a monte di Poggio a Calano alluvionato nel 1992.

Significativa è stata nel 2019 la realizzazione, a cura del Consorzio di Bonifica, della cassa di espansione di La Roffia, nell'asta dell'Arno a valle di San Miniato, che ha svolto, insieme al canale scolmatore di Pontedera, un ruolo decisivo per proteggere Pisa dalla piena del 17 novembre 2019.

I rischi attuali

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Si è pure osservato che un'eventuale replica dell'alluvione del 1966 sarebbe oggi ancora più distruttiva: si è calcolato che oggi il livello delle acque, esondate con le stesse modalità di allora, supererebbe di circa due metri quello del 1966[senza fonte]. Oltretutto in questi cinquant'anni molte zone a quel tempo deserte o a conduzione agricola sono state trasformate in quartieri densamente abitati o in aree industriali, basti pensare alla zona dell'Osmannoro e a gran parte del territorio comunale di Campi Bisenzio.

Un recente calcolo ha dimostrato che se un'alluvione come quella del novembre 1966 colpisse Firenze e le zone limitrofe, essa provocherebbe danni per circa 20 miliardi di euro[senza fonte], ossia quanto il valore medio di una legge finanziaria e pertanto le sue conseguenze sarebbero catastrofiche non solo per la città ma per tutta l'economia nazionale.

Musica e cinema

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Galleria d'immagini

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L'alluvione del 1966 e le operazioni di recupero che seguirono sono state ampiamente documentate dagli scatti dei più famosi fotografi dell'epoca: non solo fiorentini, ma anche inviati dalle testate giornalistiche di tutto il mondo, interessate alle sorti della città d'arte. Fra questi gli Alinari, Ivo Bazzechi, la Foto Locchi, inviati dell'Associeted press, Balthazar Korab, David Lees, Cesare 'Red' Giorgetti e Giulio Torrini.

La mostra 4 Novembre 1966. Fotografie dell'alluvione a Firenze ha presentato una selezione di fotografie scattate appunto durante l'alluvione del 1966 a Firenze, tratta dal corposo fondo storico denominato Fototeca Italiana, conservato presso il Gabinetto Fotografico della Soprintendenza Speciale di Firenze. Le foto mostrano i danni inflitti dall'alluvione al prezioso patrimonio artistico e culturale fiorentino e gli sforzi per restaurare e recuperare le opere d'arte.[23]

Note

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  1. ^ Mostra in ricordo del Prefetto Aldo Buoncristiano, su interno.gov.it.
  2. ^ a b c Erasmo D'Angelis, Angeli del fango. La «meglio gioventù» nella Firenze dell'alluvione, Prato, Giunti, 2006.
  3. ^ Giuseppe Di Leva, Firenze: cronaca del diluvio 4 novembre 1966, Le Lettere, 1996, p. 8.
  4. ^ Gabryela Dancygier, La tragedia delle Lastre, in "Fonti e Documenti", Comune di Reggello, 2011.
  5. ^ Carlo Conti, Io che ..., Mondadori, 2011, ISBN 88-520-2142-6.
  6. ^ Sandro Bennucci, L'Arno che verrà, Aida, 2006, p. 46.
  7. ^ Nicolò De Rienzo, Nessun problema. I segreti dei portieri dei grandi alberghi, 2012, ISBN 88-96873-56-8.
  8. ^ "Don Milani: uniti contro l'alluvione", di Michele Brancale, Avvenire, 10 novembre 2007
  9. ^ Tale accisa è ancora applicata Abissinia, Vajont, Firenze: la benzina finanzia di tutto, la Gazzetta di Mantova, 11 marzo 2004
  10. ^ "Campi Bisenzio i giorni dell'alluvione 1966-1991", di Fabrizio Nucci; Idest, 1999
  11. ^ La disastrosa alluvione del 1966: Firenze in ginocchio come tante altre città italiane, Il Meteo, 23 gennaio 2009.
  12. ^ Le vittime in Toscana delle alluvioni del novembre 1966, su polaris.irpi.cnr.it.
  13. ^ Comitato Firenze Promuove, su firenzepromuove.it.
  14. ^ Guido Crainz, Il paese mancato: dal miracolo economico agli anni Ottanta, Donzelli, 2005, p. 196.
  15. ^ Redazione Firenze 2016, Homepage, su 50º anniversario dell’alluvione di Firenze. URL consultato l'11 febbraio 2021.
  16. ^ Mostra "La Bellezza Salvata", su sba.unifi.it.
  17. ^ Il rischio di inondazione per i beni culturali. 2016, su youtube.com.
  18. ^ Anna Mieli, Irene Foraboschi e Elena Nazzari, Da Cimabue a Vasari. Repertorio delle opere d'arte alluvionate dagli Archivi dell'Opificio delle Pietre Dure. Ediz. illustrata, EDIFIR, 2017.
  19. ^ Bruno Zanardi, Dov’era e com’era?, Mondoperaio, n. 12/2016, p. 51.
  20. ^ Gli interventi dopo il 1966, su adbarno.it.
  21. ^ Mostra del 2016 in ricordo del Prefetto Aldo Buoncristiano, su interno.gov.it.
  22. ^ Angeli del Fango Canzoni di Allessando Barbieri. 2016, su youtube.com.
  23. ^ M. Tamassia (a cura di), 4 Novembre 1966. Fotografie dell’alluvione a Firenze, Livorno, Sillabe, 2010.

Bibliografia

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Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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Controllo di autoritàLCCN (ENsh2008120709 · J9U (ENHE987007540393605171
  1. ^ Autori vari, La Grande Alluvione. Rivista Testimonianze, 2016.