Nell'uomo, l'attenzione si sofferma sui gesti anche perché sono facilmente osservabili, mentre altri aspetti del linguaggio corporeo sono difficili da cogliere a livello conscio.
La cheironomìa (o chironomìa, dal gr. χειρονομία da *χεῖρας νόμειν: "muovere o agitare le mani [o le braccia]") è l'arte del gestire e di muovere le mani durante la recitazione, il discorrere in pubblico e anche per la direzione musicale.[1][2][3]
Benché estremamente soggettivi, i gesti possono ricondursi in due grandi categorie:
gesti iconici, che tendono a rappresentare il contenuto del discorso e sono utilizzati inconsapevolmente solo in presenza visiva dell'interlocutore.
indicatori di pulsazione (beats), movimenti ritmici che sottolineano le cadenze del discorso e vengono agiti anche se l'interlocutore non è visibile, ad esempio al telefono.
Le mani, ad esempio durante una conversazione, esprimono lo stato d'animo del soggetto e quindi rivelano qualcosa anche del suo carattere, nonché le sue intenzioni. Il nasconderle, per esempio in tasca, esprime un atteggiamento di riservezza o di chiusura.
Le mani spesso toccano altre parti del corpo, non sempre solo per grattarsi, in seguito ad uno stimolo. Altre volte le mani si trovano a sfiorare l'interlocutore, o a toccarlo (abbracci, pacche, strette di mano), dunque il sistema Aptico.
Atteggiamenti caratteristici:
La mano ad artiglio, con le dita piegate e il palmo verso il basso, indica una carica aggressiva, un atteggiamento minaccioso e poco razionale.
Lo sfregamento del pollice sull'indice denota un atteggiamento dubbioso, d'incertezza.
La mano a gancio indica un atteggiamento distratto, superficiale, sognatore, tendente al gioco e alla sottovalutazione della realtà.
La mano che indica, un gesto spesso inconsapevole, vuole imporre o reprimere e indica quindi insicurezza e mancanza di controllo.
La mano chiusa intorno al pollice mostra insicurezza e scarsa fiducia nelle proprie capacità.
Le punte delle dita unite esprimono una ricerca di accordo e di sintesi, in particolare in chi cerca di persuadere: mostra sicurezza e ottimismo.
Il gesto e il linguaggio del corpo, in filosofia, ha trovato le trattazioni più significative, nell'XIX secolo, nei saggi Maniere (1844) e Comportamento (1860) di Ralph Waldo Emerson. Durante il secolo successivo, fra i vari filosofi che si sono occupati del gesto, ci sono Stanley Cavell in Philosophy the Day After Tomorrow, 2005 e, in Italia, i neo-pragmatistiCarlo Sini e Giovanni Maddalena in The Philosophy of Gesture (Montréal 2015). Infatti, si pensa che il gesto sia pressoché nato con l'uomo, il quale se ne è sempre servito per vivere in società, sin dai tempi delle scimmie.