Una partita di mosca cieca

Il gioco è un'attività volontaria e intrinsecamente motivata, svolta a scopo ricreativo[1].

La definizione di gioco non è universale in quanto in molte lingue il termine o non esiste o fa riferimento ad attività più circoscritte specifiche non generico [2].

Nella lingua italiana, la parola "gioco" viene anche impiegata in modo più specifico, riferendosi ad attività ricreative di tipo competitivo, e caratterizzate da obiettivi e regole rigorosamente definite (come nel caso dei giochi di società o dei giochi da tavolo).

Dal punto di vista sociologico, il gioco è visto come un momento di incontro e socializzazione.

Filosofia

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Nell'antichità[3], Aristotele accostò il gioco alla gioia e alla virtù, distinguendolo dalle attività praticate per necessità.

Immanuel Kant definì il gioco un'attività che produce piacere, classificabile in gioco di fortuna, gioco di arte e musicale, gioco di pensieri.

Nemmeno la natura è priva di manifestazioni di giochi, quali le sovrabbondanze, le superfluità; Friedrich Schiller riconobbe in questo fenomeno la manifestazione del gioco estetico. Inoltre affidò al gioco la funzione di tramite per raggiungere la libertà e l'espressione della fantasia.[4]

Nell'opera Homo ludens (1938) il filosofo olandese Johan Huizinga concentra la sua attenzione sul gioco come complesso sistema culturale: « [...] ciò non significa che il gioco muta o si converte in cultura, ma piuttosto che la cultura, nelle sue fasi originarie, porta il carattere di un gioco; viene rappresentata in forme e stati d'animo ludici: in tale "dualità-unità" di cultura e gioco, gioco è il fatto primario, oggettivo, percepibile, determinabile concretamente; mentre la cultura non è che la qualifica applicata dal nostro giudizio storico dato al caso.»[5]

Gregory Bateson, invece, individua l'essenza del gioco nel suo essere metalinguaggio: dato che i giochi sono qualcosa che "non è quello che sembra", perché un'attività ludica sia veramente tale ogni giocatore deve poter affermare: "Questo è un gioco", cioè ci deve essere la consapevolezza che l'azione è fittizia e che "meta-comunica" questa sua finzione. La metacomunicazione, quindi, per Bateson serve per rivelare la natura del "come se" del gioco, e la sua creazione di un mondo irreale in cui azioni fittizie simulano azioni reali.[6]

Psicologia

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La psicologia ha visto nel gioco il protagonista dello sviluppo psicologico e soprattutto della personalità del bambino.

Il primo ad occuparsene fu Sigmund Freud, che rintracciò nei giochi del maschio, il tentativo di imitare il padre e ricoprirne il suo ruolo, mentre con i suoi giochi la femmina cerca di attuare quell'autorità che le viene negata. Freud segnalerà l'attivazione, durante i giochi dei bambini, del processo di identificazione. Il gioco è in grado di aiutare i bambini a superare le loro paure, perché gli consente di trasferire l'oggetto del timore su un altro oggetto, familiare e quindi non pericoloso.[7]

Per molto tempo si sono contrapposte sull'argomento due teorie praticamente opposte: quella del "post-esercizio" di Harvey A. Carr, per cui l'attività ludica servirebbe a ottimizzare una nuova dinamica comportamentale, e quella del "pre-esercizio" di Karl Groos, che vede il gioco come momento propedeutico alla vita adulta.

Queste due teorie sono state armonizzate da Jean Piaget, che riconosce al gioco una funzione centrale nello sviluppo di una sfera cognitiva personale e della personalità.

Un ulteriore affinamento dell'interpretazione dell'attività ludica viene dallo psicologo russo Lev Vygotskij, che considera il gioco anche come forza attiva per l'evoluzione affettiva ed umana del ragazzo, non solo cognitiva come in Piaget.

Vygotskji critica anche le visioni del gioco come attività non finalistica e non produttiva, in quanto, seppur atto totalmente gratuito, costituisce un eccezionale elemento di crescita e di definizione della struttura di personalità in tutti i suoi aspetti.

Sociologia

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Per quanto riguarda la prospettiva sociologica, Roger Caillois[8] definisce l'attività del gioco come:

Sempre Caillois propone una classificazione dei giochi in base a quattro categorie:

Sulla base di queste classificazioni, Caillois costruisce una sociologia che parte dai giochi in quanto "segni" profondamente connotati, sintesi dalle caratteristiche delle diverse concezioni del mondo delle società in cui sono in uso.

Tipi di giochi

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Gioco infantile

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Bambini in fase di gioco in una sabbiera

Il concetto di gioco si è nel corso dei secoli trasformato. In ambito pedagogico è divenuto importante e fondamentale oggetto di studio. Il gioco è diventato lo strumento principale che accompagna la crescita e lo sviluppo del bambino. Il normale sviluppo delle capacità umane, così come la normale crescita degli animali superiori, è strettamente collegato alla quantità e alla qualità dei giochi che questi hanno la possibilità di attuare durante il loro sviluppo. Per tale motivo l'essere umano, che si trova sul più alto gradino della scala evolutiva, gioca molto anche da adulto, giacché anche l'adulto ha bisogno di momenti di evasione, rilassamento, scambio, confronto, arricchimento.

Durante l'età evolutiva il gioco svolge svariate funzioni di tipo motorio, intellettivo, sociale, emotivo, affettivo. In particolare il gioco permette al bambino di allenare la mente e il corpo, sviluppare la fantasia, controllare l'emotività. Giocando s'impara a socializzare e comunicare in maniera efficace e adeguata sia con i coetanei, sia con gli adulti. Il gioco permette, inoltre, lo scambio immediato di cultura, informazioni e strategie tra le vecchie generazioni e le nuove. Non sono da trascurare. Infine gli effetti terapeutici del gioco nelle tante occasioni nelle quali il bambino per motivi vari presenta disturbi psicologici più o meno gravi.

Gli strumenti del gioco sono tanto più efficaci quanto più sono semplici e scarsamente strutturati. Pertanto oggetti semplici come matite e fogli di carta, ma anche oggetti e sostanze naturali come mattoncini, pezzi di legno, pietre, sabbia, fango, acqua, sono notevolmente più adeguati e utili nel costruire dei giochi e, quindi, nell'aiutare lo sviluppo del bambino, rispetto a strumenti complessi e sofisticati.

Tipi di giochi infantili

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Il bambino utilizza giochi spesso appositamente realizzati per l'infanzia.

Per oggetto

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Nel giro di pochi minuti i bambini possono passare da un tipo di gioco a un altro, in base ai loro bisogni del momento. Questo meraviglia e stupisce gli adulti i quali, invece, tendono a utilizzare lo stesso gioco per un tempo molto superiore.

Per soggetto

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Rispetto al soggetto dei giochi, essi possono essere:

Purtroppo la possibilità di effettuare questo tipo di giochi, soprattutto nelle grandi città, è oggi molto scarsa, a causa di molte condizioni negative: mancanza di spazi idonei, aumento delle ansie e paure genitoriali, eccessiva valenza data allo studio e alla scuola, calo delle nascite, uso eccessivo degli strumenti elettronici, scarsa presenza dei genitori in casa e nella vita quotidiana dei figli e così via.
Dice A. Oliverio Ferraris[1]:

«Quale piacere perdono, per se stessi e per i loro figli, quei genitori che lasciano passare inosservata quest’appassionata urgenza di costruire e di fare, e che, invece di provvedere al materiale e allo spazio necessario, cercano di comprimere questa energia costringendo i bambini a “stare seduti tranquilli” o a tenere “puliti i vestiti”»

Questo tipo di giochi è prezioso e augurabile per i bambini normali o con lievi turbe psicologiche ma non è possibile per i bambini i quali presentano problematiche psicologiche di una certa rilevanza. In questi casi questi bambini particolari, non riuscendo a modellarsi sui bisogni e le necessità dei coetanei rischiano di subire continue frustrazioni, che, a loro volta, fanno peggiorare la loro condizione psicologica.

Per quanto riguarda l'età, i giochi possono essere eseguiti con il gruppo dei pari o con bambini che hanno un'età maggiore o minore. Mentre il bambino normale preferisce giocare con i coetanei i bambini con disturbi psicologici a causa dei loro limiti preferiscono giocare con i bambini di età maggiore o minore, poiché i più grandi, quando riescono a instaurare un atteggiamento paterno o materno, sono più accettanti e comprensivi. Per il bambino disturbato è più facile giocare con i bambini più piccoli giacché questi, proprio perché più piccoli, hanno minori pretese e sono meno giudicanti.[11]

Note

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  1. ^ (EN) Catherine Garvey, Play, Cambridge, Harvard University Press, 1990, p. 198, ISBN 978-0-67-467365-6.
  2. ^ Johan Huizinga, Homo Ludens, cap.II La nozione del gioco nella lingua, Einaudi, 2002, ISBN 978-88-06-16287-0
  3. ^ "La storia della filosofia" di Nicola Abbagnano, Utet, Torino, 1994 (alla pag.432,433 - voce "Gioco")
  4. ^ Coppola 1999, p. 214.
  5. ^ J. Huizinga, Homo ludens, Einaudi, 1946
  6. ^ G. Bateson, Questo è un gioco, 1996, Cortina Edizioni
  7. ^ Coppola 1999, pp. 214,215.
  8. ^ R. Caillois, I giochi e gli uomini, Bompiani, 1981
  9. ^ A.O. Ferraris, Il ricatto della pappa, in Mente e cervello, n. 19, gennaio – febbraio, p. 45.
  10. ^ E. Tribulato E., Autismo e gioco libero autogestito, Milano, Franco Angeli, 2013, pp. 110-111.
  11. ^ S. Isaacs, Figli e genitori, in La psicologia del bambino dalla nascita ai sei anni, Roma, Newton, 1995, p. 104.

Bibliografia

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Voci correlate

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Altri progetti

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