Guerra in Somalia parte guerra civile somala | |||
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Data | 20 dicembre 2006 – in corso | ||
Luogo | Sud Somalia | ||
Esito | Vittoria dell'Alleanza per la Riliberazione della Somalia | ||
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La guerra in Somalia è un conflitto, scoppiato nel 2006 ed ancora in corso, tra il governo federale di transizione Somalo e l'Etiopia contro un gruppo islamico, l'Unione delle corti islamiche (UCI) e altre milizie affiliate per il controllo del paese.
La guerra è cominciata ufficialmente il 20 luglio 2006 quando le truppe Etiopi, appoggiate dagli Stati Uniti, invasero la Somalia per sostenere il governo a Baidoa. Di conseguenza l'Unione delle corti islamiche dichiara lo Stato di guerra e invita tutti i somali a prendere parte al combattimento contro l'Etiopia. Dopo il ritiro delle truppe etiopiche nel 2009 e dell'elezione di Sharif Sheikh Ahmed a presidente la guerra continua ancora oggi ridotta a qualche conflitto tra le varie fazioni e gruppi islamici tutt'oggi attivi in Somalia.
La Somalia ha vissuto un periodo di continua instabilità a partire dalle rivolte per la deposizione del dittatore Siad Barre scoppiate nel 1986, che portarono alla sua deposizione nel 1991.
A seguito della caduta del regime, lo Stato somalo collassò e l'esercito somalo si frammentò in diverse armate indipendenti su base clanica, che combatterono tra loro e con i principali gruppi ribelli una sanguinosa guerra civile che causò centinaia di migliaia di morti.
Il conflitto aveva trovato una parziale soluzione con la formazione di un governo transitorio nel 2000, seguito da nuovi scontri e dalla formazione di un governo federale transitorio nel 2004, guidato dal presidente Abdullahi Yusuf Ahmed.
Mentre le nuove istituzioni transitorie si insediavano nella città di Baidoa nel 2005, il processo di ricostituzione dell'esercito somalo, non più esistente dal '91, fu reso possibile dalla cooperazione dell'Etiopia e degli Stati Uniti.
Tuttavia, in decenni di assenza dello Stato e di forti istituzioni sul territorio, l'amministrazione a livello locale era stata assunta dai tribunali islamici, che non videro di buon occhio la possibilità di cedere il potere al nuovo Governo di transizione. Le Corti islamiche si federarono nell'Unione delle Corti islamiche ed occuparono Mogadiscio nel giugno 2006, opponendosi all'insediamento del Governo di transizione nella capitale.
Con l'ingresso in armi di truppe etiopi in territorio somalo, a sostegno del Governo federale di transizione, iniziò dunque una nuova fase della già ventennale guerra civile somala, non più caratterizzata dalla competizione tra i signori della guerra, ormai confederati nel GFT, bensì dallo scontro tra il GFT e le Corti islamiche che avevano fino a quel momento esercitato l'amministrazione del territorio in assenza dello Stato.
Di fronte all'avanzata dell'Unione delle Corti Islamiche, il Governo federale di transizione, insediatosi provvisoriamente a Baidoa nella regione meridionale di Bai, era supportato dall'Alleanza per la restaurazione della pace e dell'antiterrorismo (ARPCT), unione di tutte le formazioni politiche somale.
Il Presidente Yusuf chiese l'invio di forze armate dell'Unione africana in Somalia, che tuttavia era a corto di risorse; poté tuttavia giovarsi di finanziamenti statunitensi alla coalizione ARPCT e della formazione delle proprie truppe da parte dell'Etiopia.
L'Unione delle Corti Islamiche ottenne il controllo di Mogadiscio nel giugno 2006, scacciando la coalizione ARPCT sulle alture circostanti, e riuscendo a persuadere altri signori della guerra a far parte della propria fazione, prendendo il controllo del centro-sud della Somalia, dalla regione meridionale dello Giubaland fino alle frontiere del Puntland, del Mudugh e del Galgudud, che si unirono nello Stato del Galmudugh, alleato del GFT.
Mentre il GFT era sostenuto dall'Etiopia e dagli USA, l'ICU ottenne l'appoggio dell'Eritrea e finanziamenti dalle reti del fondamentalismo islamico come al Qaida. Colloqui di pace sotto l'auspicio della Lega Araba si svolsero a Khartum, ma non ebbero esito.
A dicembre, le forze dell'ICU, che già controllavano buona parte del sud, attaccarono anche la città di Baidoa, sede provvisoria del GFT, nei pressi della quale scoppiò una violenta battaglia[12].
L'Etiopia inviò le proprie truppe nella regione frontaliera di Gedo, i suoi carri armati raggiunsero la città di Daynuunay e i suoi elicotteri arrivarono a Baidoa[13]; quindi i combattimenti interessarono anche le città di Lidale, Dinsor[14], Belet Uen, Mogadiscio e Burhakaba.
Il 26 dicembre l'Unione delle corti islamiche fu messa in ritirata dalla superiorità delle forze nemiche[15]. Il 27 dicembre vi furono le ultime resistenze nella battaglia di Giohar, in seguito i leader della ICU si dimisero. Il 28 dicembre le forze alleate al GFT entrarono in possesso di Mogadiscio.
Il 31 dicembre, fu combattuta la battaglia per Gelib ed il 1º gennaio 2007 anche Chisimaio cadde in mano alle forze del GFT ed etiopi. Infine, nei giorni 7-12 gennaio, le forze etiopi e del GTF allontanarono l'ICU dalla città meridionale di Ras Chiambone, alla frontiera col Kenya, sostenute anche da almeno due bombardieri statunitensi. Questo fu il primo intervento ufficiale degli Stati Uniti in Somalia dopo il ritiro dell'ONU nel '95, come parte della missione internazionale contro la rete di al-Qaida, della quale alcuni elementi si erano presumibilmente infiltrati nelle forze dell'ICU. Rapporti non confermati asseriscono che l'intera operazione condotta dalle forze etiopi sia stata coordinata da un supporto logistico americano, mentre forze navali furono dispiegate al largo per prevenire tentativi di fuga in mare e la frontiera con il Kenya fu chiusa.
L'8 gennaio 2007, intanto, il Presidente Abdullahi Yusuf Ahmed entrava a Mogadiscio, per la prima volta da quando aveva assunto la carica, e intraprese le consultazioni con gli attori locali della società civile, economica e religiosa. A Mogadiscio, il GFT prese contatti con il clan Hawiye, che era stato messo ai margini nei mesi precedenti dall'ICU, ma tuttavia era diffidente anche nei confronti del GFT, in quanto i suoi membri appartenevano al clan Darod, rivale degli Hawiye fin dalle prime fasi della guerra nel '91, nonché per via dell'alleanza tra il GFT e l'Etiopia, storica rivale della Somalia.
In gennaio, l'Unione africana autorizzò l'invio di proprie truppe in Somalia a sostegno del GFT, mentre in febbraio le Nazioni Unite decisero di sospendere per un anno l'embargo sulle armi alla Somalia, per permettere al GFT di acquistare armi e ricostituire un proprio esercito nazionale, sebbene la vendita delle armi doveva essere approvata da una apposita Commissione dell'ONU. In precedenza si era ventilata l'ipotesi di una missione internazionale guidata dalla IGAD e dunque limitata ai soli Paesi del Corno d'Africa.
Le prime truppe della Missione dell'Unione africana in Somalia (AMISOM), con il compito di facilitare la ricostruzione dell'esercito somalo, giunsero in Somalia nel marzo 2007[16]. L'AMISOM istituì una piccola area di protezione a Mogadiscio, intorno all'aeroporto, al porto e a Villa Somalia ed iniziò a tenere negoziati di basso profilo con gli attori chiave. A marzo 2007, il Presidente Ahmed annunciò un piano per la smilitarizzazione forzata delle milizie nella capitale.
L'amministrazione temporanea del GFT sembrava aver stabilito il controllo, oltre che sulla capitale, sulla maggior parte del territorio centrale e meridionale del Paese, mentre membri del Governo e ufficiali del Gruppo internazionale di contatto sulla Somalia cominciavano a pianificare colloqui di riconciliazione, dispiegamento di forze di peace-keeping e di disarmo e una strategia di sviluppo. Tuttavia i membri della ICU, dopo essere stati sconfitti sul campo, si erano dispersi tra la popolazione e avevano iniziato a preparare atti di guerriglia contro le forze governative ed etiopi, atti che si aggiunsero alla continuazione dei preesistenti conflitti tribali. In particolare le frange più radicali ed islamiste si riunirono in gruppi come Al-Shabaab, per continuare a oltranza l'insorgenza contro il GFT e le truppe etiopi, considerate alla stregua di truppe di occupazione straniere.
Verso la fine di marzo 2007, una coalizione di ribelli locali guidati da Al-Shabaab lanciò una serie di attacchi a Mogadiscio contro le truppe del GFT e dell'Etiopia[17], bombardando la città con colpi di mortaio e ingaggiando un'aspra battaglia di diverse settimane, che causò la morte di molti soldati e civili. La risposta delle forze alleate fu molto dura[18]. In aprile il controllo sulla città fu assicurato, ma la città ne risultò seriamente danneggiata. Human Rights Watch ha riferito che entrambe le parti in conflitto si resero responsabili di diverse violazioni delle leggi di guerra. I resoconti riferiscono che i ribelli si distribuirono e fissarono le loro basi nei quartieri densamente popolati, sparando colpi di mortaio dai quartieri residenziali e individuando in soggetti pubblici e privati gli obiettivi per violenze e assassini. Mentre le truppe del GFT ebbero un ruolo secondario rispetto a quelle etiopi, le prime furono accusate di non aver avvisato, in modo efficace, i civili presenti nelle zone di guerra, di aver impedito i soccorsi, saccheggiato le proprietà e maltrattato i detenuti durante degli arresti di massa. Le truppe etiopi furono anch'esse accusate di aver sparato, in modo indiscriminato, colpi di mortaio, razzi e proiettili in zone densamente popolate, saccheggiato le proprietà e, in certe situazioni, praticato esecuzioni sui civili[17]. A partire da maggio furono molti gli attentati islamici diretti contro i funzionari governativi somali[19].
Nel dicembre 2007, l'Unione delle corti islamiche mise in ritirata le truppe etiopi dalla base militare di Guriel e continuò ad avanzare verso l'importante città portuale di Chisimaio.[20][21] Nel febbraio 2008 gli insorgenti del gruppo Al-Shabaab, in precedenza attivi con attentati terroristici a Mogadiscio[22], occuparono la città meridionale di Dinsor, minacciando di raggiungere Baidoa, sede del Parlamento[23].
Il 3 marzo 2008, gli Stati Uniti lanciarono un raid aereo su Dobley, ritenendola occupata da estremisti islamici[24]. A maggio, le forze dell'Unione delle corti islamiche giunsero in vista di Chisimaio, ma non arrivarono ad occupare la città[25][26].
Il 31 maggio, i rappresentanti del Governo federale di transizione accettarono di partecipare, con la mediazione dell'ex-Inviato Speciale dell'ONU per la Somalia, Ahmedou Ould-Abdallah, a dei colloqui di pace a Gibuti con una parte dell'ICU, riunitasi nel partito Alleanza per la Riliberazione della Somalia (ARS) col sostegno dell'opposizione parlamentare al Presidente Yusuf Ahmed. La conferenza si chiuse con la firma di un accordo, che prevedeva il ritiro delle truppe etiopi in cambio della fine delle ostilità da parte dell'ICU. Il Parlamento federale venne ampliato fino a 550 posti, per permettere l'ingresso dei membri dell'ARS.
In questo modo la fazione Al-Shabaab rimase in controllo di Baidoa e della regione di Bai, mentre a Mogadiscio si formò una nuova coalizione di governo, che comprendeva una parte del GFT, cioè l'opposizione al Presidente Yusuf Ahmed, e la fazione moderata dell'Unione delle Corti islamiche, guidata dal leader Sharif Sheikh Ahmed, che in questo modo ottenne una legittimità istituzionale confluendo nel Partito dell'Alleanza per la Riliberazione della Somalia.
La fazione dell'ICU ostile agli accordi continuò i combattimenti, giungendo a scontrarsi con le forze etiopi presso Belet Uen, ma a luglio queste decisero di ritirarsi.
A dicembre 2008, l'Etiopia annunciò il ritiro completo delle proprie truppe dalla Somalia[27], lasciando un contingente della Missione dell'Unione Africana in Somalia composto di soli 3400 soldati del Burundi e dell'Uganda, notevolmente sottorganico per aiutare il fragile Governo federale di transizione somalo[28].
Di fronte al ritiro delle truppe etiopi dalla Somalia, ed all'affermazione delle forze ribelli nel Sud, il Presidente Abdullahi Yusuf Ahmed si trovò obbligato dalla mancanza di fondi e risorse umane, dall'embargo internazionale sulle armi che rendeva difficile ricostruire una forza di sicurezza nazionale, e dall'indifferenza della comunità internazionale, a gravare sul governo regionale autonomo del Puntland per inviare nuove truppe verso Mogadiscio e nel sud, sguarnendo così il Puntland che divenne vulnerabile ad attacchi di pirati e terroristi[29][30].
Infine, il 29 dicembre 2008, in un discorso al Parlamento, trasmesso anche alla Radio nazionale, il Presidente Yusuf Ahmed annunciò le proprie dimissioni, esprimendo il rammarico per non aver adempiuto al mandato del suo governo di terminare la guerra civile somala[31] ed accusando la comunità internazionale di non aver adeguatamente sostenuto gli sforzi fatti in tal senso, lasciando l'incarico ad interim al Presidente del Parlamento Madobe[32].
Dopo che il 25 gennaio 2009 le truppe etiopi ebbero completato il loro ritiro dalla Somalia[33], il 30 gennaio si tennero nuove elezioni presidenziali, che risultarono nell'elezione a Presidente dello stesso Sharif Sheikh Ahmed, risultato vincitore su Maslah Mohamed Siad, figlio dell'ex presidente Barre, e su Nur Hassan Hussein, Primo Ministro uscente nominato da Yusuf[34].
L'ala più radicale dell'Unione delle Corti Islamiche, guidata da Hassan Dahir Aweys, continuò la lotta armata senza riconoscere la legittimità del Governo federale di transizione[35][36], accanto agli altri movimenti islamisti radicali come Al-Shabaab.
Il Presidente Sheikh Ahmed, in un incontro a Gibuti il 13 febbraio[37] nominò il Primo ministro Sharmarke, del clan Darod[38], quale figura di mediazione tra il precedente Governo di Yusuf e le Corti islamiche, che ne approvarono la nomina. Questi formò un Governo di ampia coalizione, composto di membri del GFT e dell'ICU, che in marzo si trasferì nella sede di Mogadiscio[39], mentre gli islamisti di Al-Shabaab, che avevano già preso Baidoa, non riconobbero neanche il nuovo Governo di coalizione[40][41] e continuarono ad avanzare contro il GFT, accerchiando Mogadiscio. Il GFT ingaggiò contro di loro le proprie truppe assistite da quelle dell'Unione africana (AMISOM).
Il 7 maggio 2009, gli Al-Shabaab attaccarono Mogadiscio conquistandone molti quartieri[42], confinando il GFT in un'area di pochi km², al di fuori della quale proseguivano i combattimenti e gli attentati contro esponenti del Governo. Vi furono tensioni anche nel nord del Paese, che sfociarono a volte in scontri armati, tra la regione indipendentista del Somaliland e quella autonoma ma favorevole al GFT del Puntland.
Il GFT rimase accerchiato in pochi palazzi di Mogadiscio anche nel 2010, affrontando nel contempo anche una crisi istituzionale in aprile tra il Presidente del Parlamento Madobe, della fazione dell'ex Presidente Yusuf, e il Primo Ministro Sharmarke, che portò alle dimissioni di Madobe[43][44][45] Anche il Presidente Sharif Ahmed tentò di convincere il premier Sharmarke a dimettersi, minando la credibilità già debole del Governo[46], tanto che l'intero GFT parve prossimo al collasso[47]. Il 23 agosto, gli Al-Shabaab riuscirono a irrompere nella sede del GFT a Mogadiscio, fucilando 4 deputati del Governo assieme ad altre 29 persone[48]. A settembre, gli Al-Shabaab giunsero a soli 100 m dal palazzo del Presidente Sharif Ahmed, che abbandonò Mogadiscio, mentre molti deputati e ministri si erano già trasferiti all'estero a Nairobi[49]. Il Governo in esilio approvò una bozza di Costituzione sotto gli auspici dell'ONU[50], mentre il Primo Ministro Sharmarke, sempre più politicamente isolato, fu costretto a dimettersi il 21 settembre[51], lasciando il GFT nelle mani dell'ONU, dell'UA e dell'IGAD[52]. Il 14 ottobre 2010 fu nominato come nuovo Primo Ministro Mohamed Abdullahi Mohamed[53], con l'appoggio dell'ONU[54][55], ma ritenuto dagli islamisti espressione di interessi stranieri.
Nel giugno 2011, il Presidente Sharif Ahmed e il Presidente del Parlamento Sharif Hassan, in esilio a Kampala, in Uganda, sotto la supervisione del Presidente ugandese Yoweri Museveni e dell'inviata dell'ONU Augustine Mahiga[56][57], strinsero un accordo che prevedeva le dimissioni del premier Mohamed e nuove elezioni, suscitando forti proteste per rivendicare la sovranità della Somalia, nella capitale Mogadiscio[58][59][60], a Gallacaio, Beled Hawo[58], e nelle comunità somale all'estero a Il Cairo, Nairobi, Johannesburg, Sydney, Londra, Roma, Stoccolma, Minneapolis e Toronto[60]. Il Presidente Sherif Ahmed, parlando a Radio Mogadiscio, invitò l'esercito a gestire la situazione[58], salvo poi chiedere il rilascio dei manifestanti detenuti[61], e condannò le proteste come "illegali", paventando inoltre la possibilità di attentati di Al-Shabaab[62]. Infine il 19 giugno il Primo Ministro Mohamed fu costretto a dimettersi[63][64] e sostituito da Abdiweli Mohamed Ali[65][66][67].
Gli islamisti di Al-Shabaab denunciarono l'accaduto come prova dell'ingerenza dell'Uganda nella politica somala[68], dichiarando di continuare a non riconoscere il GFT e di voler cacciare dal Paese le truppe ugandesi dell'Unione africana (AMISOM)[69][70]. Tuttavia nell'estate del 2011 una terribile carestia si abbatté sulla Somalia, spingendo gli Al-Shabaab a ritirarsi da Mogadiscio[71].
Il nuovo premier, Abdiweli Mohamed Ali, strinse un accordo anche con il gruppo islamista Ahlu Sunna wal Jamaa, le cui milizie affiancarono le truppe somale e quelle dell'Unione africana in una coalizione contro gli Al-Shabaab. Il 6 agosto 2011 il GFT riprese il controllo dell'intera città di Mogadiscio, sbloccando così lo stato di assedio della città che perdurava da anni, ed iniziando una controffensiva per riprendere il controllo del sud del Paese[72].
A seguito di incontri preparatori a Dobley tra ufficiali somali e kenioti, ad ottobre fu avviata un'operazione militare congiunta contro gli Al-Shabaab tra forze armate keniote e somale, guidata ufficialmente dall'esercito somalo, denominata operazione Linda Nchi (ossia "proteggere il Paese" in lingua swahili)[73][74]. Le truppe del Kenya vennero in seguito formalmente integrate nella missione internazionale AMISOM dell'Unione africana. Grazie alla nuova coalizione internazionale contro gli Al-Shabaab, il GFT riprese possesso, nel corso del 2012, di Belet Uen[75], Oddur[76], Afgoi[77], Afmadù[78].
Il Governo del premier Ali fu impegnato anche nell'organizzare la roadmap per la fine del Governo federale di transizione e la nascita della Repubblica Federale, che avvenne in agosto con la promulgazione della Costituzione.
Alle successive elezioni presidenziali del 10 settembre 2012, si candidarono, oltre al presidente uscente Sherif Ahmed, il premier uscente Abdiweli Mohamed Ali, e il leader politico Hassan Sheikh Mohamud, fondatore del ramo somalo dei Fratelli Musulmani, che risultò eletto.
All'indomani della sua elezione, il Presidente Hassan Sheikh Mohamud subì un attentato, rivendicato dagli Al-Shabaab[79][80], legati alla rete di Al Qaida. Il Presidente annunciò di voler proseguire gli sforzi del suo predecessore Sharif Sheikh Ahmed contro gli Al-Shabaab, giovandosi del sostegno delle truppe keniote e dell'Unione africana al ricostituendo esercito somalo. Sotto la sua presidenza si ottenne la liberazione della strategica città di Chisimaio, che era divenuta la capitale dei territori governati dagli islamisti e la loro principale fonte di reddito[81] nel settembre 2012, e quella di Giohar in dicembre.
Alla fine del 2012, l'inviata dell'ONU Augustine Mahiga dichiarò che circa l'85% dei territori contesi erano ormai sotto il controllo del governo somalo, ma esortò anche a rinnovare l'impegno della missione dell'Unione africana fintanto che le forze di sicurezza della Repubblica Federale Somala non avessero completato il processo di formazione[82]. Il Governo federale deteneva il controllo di tutti i maggiori centri urbani, ma molte zone rurali erano ancora controllate dagli Al-Shabaab, dove i miliziani sfuggivano al controllo del governo nascondendosi tra la popolazione[83].
Pertanto il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite rinnovò per un altro anno il mandato della missione AMISOM, e con la risoluzione 2093 del 6 marzo 2013 sospese per un anno l'embargo sulle armi leggere alla Somalia, che vigeva dal '91, così da consentire la ricostituzione dell'esercito nazionale[84].
A partire da settembre 2013, su richiesta del Governo federale, fu installata a Mogadiscio una base militare degli Stati Uniti[85], con funzioni di supporto alla pianificazione delle operazioni militari da parte delle forze somale[86]. Il 5 ottobre, la Marina militare degli USA lanciò un attacco mirato contro un capo di Al-Shabaab nella città costiera di Brava, a sud di Mogadiscio, pur fallendo l'obiettivo della sua cattura[87].
A novembre 2013, anche l'Etiopia, che continuava ad avere 8000 soldati impegnati nel Sud della Somalia contro gli Al-Shabaab, formalizzò la richiesta di inquadrare i propri soldati nell'ambito della Missione dell'Unione africana in Somalia, suscitando il plauso del Governo somalo[88]. Con risoluzione 2124 del 2014, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite autorizzò quindi l'ampliamento dell'organico dell'AMISOM di altre 4'000 unità, consentendo, accanto ai contingenti già in essere di Gibuti, Burundi, Sierra Leone, Kenya e Uganda, la formazione di un sesto contingente dell'Etiopia, che ebbe la responsabilità delle operazioni nelle regioni meridionali di Ghedo, Bakool e Bai.[89]
Nel dicembre 2013, intanto, il premier Shirdon fu sfiduciato dal Parlamento somalo, e al suo posto fu nominato Abdiweli Sheikh Ahmed.
Il Presidente Hassan Sheikh Mohamud, al Summit dell'Unione africana tenutosi ad Addis Abeba nel gennaio 2014, chiese un prolungamento per un altro anno del mandato per l'acquisto di armi stabilito dalle Nazioni Unite, in scadenza a marzo[90]; tuttavia un rapporto del febbraio 2014 del Gruppo di monitoraggio ONU su Somalia ed Eritrea denunciò, oltre alle difficoltà per gli osservatori nell'accedere ai depositi di armi e nell'ottenere informazioni, la scoperta di abusi sistematici da parte di alti ufficiali somali, tra cui un consigliere chiave del Presidente, che consentivano la distrazione delle armi dalle costituende forze di sicurezza nazionali per venderle a capi fazione e miliziani di Al-Shabaab. Le accuse furono negate dal Capo di Stato maggiore dell'esercito, Dahir Adan Elmi,[91], dichiarando di aver acquistato armamenti in due occasioni a seguito della rimozione dell'embargo sulle armi, e che i miliziani di Al-Shabaab possedevano altri canali per rifornirsi di armi e utilizzavano altri tipi di armi, soprattutto ordigni esplosivi[92].
In febbraio, inoltre, il nuovo premier somalo Abdiweli Sheikh Ahmed incontrò ad Addis Abeba il suo omologo etiope Haile Mariam Desalegn, elogiando il ruolo dell'Etiopia nel processo di stabilizzazione della Somalia e nella lotta agli Al-Shabaab, e la decisione dei militari etiopi di entrare nell'AMISOM, ed auspicando un rafforzamento delle relazioni tra i due Paesi[93].
A marzo, le forze di sicurezza somale e quelle dell'AMISOM lanciarono un'intensa operazione militare contro gli Al-Shabaab nella Somalia meridionale, conquistando le città di Rab Dhure, Hudur, Wajid e Burdhbo ed attuando nei territori liberati interventi di supporto all'amministrazione locale e alla sicurezza, dislocando in ciascuna città un vice ministro e dei religiosi per coordinare e supervisionare le iniziative del governo[94]; il 26 marzo il numero di città liberate salì a dieci, tra cui Coriolei ed El Bur[95][96]. Il Rappresentante Speciale dell'ONU per la Somalia Nicholas Kay descrisse l'avanzata militare come l'offensiva più importante, e geograficamente estesa, da quando le truppe dell'Unione Africana avevano incominciato le loro operazioni nel 2007[97].
Nell'agosto 2014 partì una seconda operazione militare, l'operazione Oceano Indiano, con l'obiettivo di rimuovere gli ultimi nuclei di resistenza dal sud del Paese. A fine agosto, la grande maggioranza delle città somale erano ormai sotto controllo dell'esercito somalo e delle forze alleate dell'AMISOM, incluso il villaggio di Buulo Mareer[98], e l'avanzata proseguiva verso la città di Brava, principale roccaforte di Al-Shabaab dopo la caduta di Chisimaio. Anche se l'organizzazione perdeva il controllo del territorio, la sua capacità di eseguire attentati terroristici era ancora notevole[99].
Nel corso di una missione contro gli Al-Shabaab, il 1º settembre 2014 un drone statunitense uccise Moktar Ali Zubeyr, leader dell'organizzazione[100], infliggendo una significativa perdita da un punto di vista sia simbolico che operativo, tanto che il governo somalo concesse per 45 giorni l'amnistia per tutti i membri moderati del gruppo terroristico. Analisti politici suggerirono che la morte del leader di Al-Shabaab avrebbe portato alla frammentazione e dissoluzione del gruppo. Il 3 ottobre 2014, Al-Shabaab abbandonò la città di Brava ripiegando all'interno[101].
Nel dicembre 2014, intanto, anche il premier Abdiweli Sheikh Ahmed fu sfiduciato dal Parlamento somalo, e il Presidente Hassan nominò nuovamente Sharmarke. Questi dichiarò di voler formare un Governo di ampia base, con obiettivi in continuità con il governo precedente, e che il combattimento contro gli Al-Shabaab era una priorità anche del nuovo governo. Il 9 giugno 2015, dichiarò di prevedere la fine del gruppo terroristico entro l'anno, pur aggiungendo che per affrontare le cause profonde del conflitto, quelle che portavano molti giovani ad arruolarsi, sarebbe servito molto più tempo[102].
Il 26 giugno 2015 gli Al-Shabaab attaccarono la base militare dell'Unione africana a Lego uccidendo 50 soldati[103]. Il 17 luglio, le forze dell'AMISOM, composte da soldati kenioti, etiopi e somali, lanciarono in risposta un'offensiva contro gli Shabaab, detta Jubba Corridor, per riconquistare le regioni di Ghedo e Bai[104], espugnando la città di Bardera il 22 luglio, un bastione degli Shabaab da sette anni[105][106], e quella di Dinsor il 24 luglio[107]. Al termine dell'offensiva, il 6 agosto, il comandante della missione dichiarò che erano stati uccisi oltre 300 combattenti di Al-Shabaab[108]. Nonostante le perdite, il 1º settembre gli Shabaab assaltarono la base dell'Unione africana a Genale uccidendo 50 soldati[109], e nei giorni seguenti ripresero il controllo delle città di El Saliindi, Kuntuwarey e Buqda[110].
A ottobre 2015, uno dei principali capi di Al-Shabaab, Abdiqadir Mumin, annunciò di affiliarsi allo Stato Islamico[111][112], stabilendosi nel Puntland con 50-100 combattenti, a seguito di contrasti con la leadership di Al-Shabaab[113]. Il 14 marzo 2016, anche Al-Shabaab fece per la prima volta un'incursione nel Puntland[114], conquistando la città di Gard, con gravi conseguenze umanitarie[115].
Il 16 gennaio 2016 gli Al-Shabaab attaccarono la base dell'Unione africana di El-Adde, nella regione di Ghedo, uccidendo 60 soldati;[116] il 5 febbraio, occuparono la città portuale di Merca, a 45 km da Mogadiscio, abbandonata dalle truppe dell'AMISOM[117], causando gravi danni alla popolazione,[115] ma ne furono cacciati il giorno seguente.[118]
Nel 2016 gli Stati Uniti intensificarono la collaborazione con il governo somalo e le forze dell'Unione africana nella lotta al terrorismo islamico e nelle operazioni contro i posti di blocco illegali di questi gruppi sul territorio, con circa 50 operativi dislocati in diverse località della Somalia meridionale coordinati dal quartier generale a Mogadiscio:[119] il 5 marzo gli USA condussero un massiccio bombardamento con aerei e droni su un campo di Al-Shabaab a 200 km a nord di Mogadiscio, Camp Raso, uccidendo circa 100-150 combattenti,[120][121][122][123] il 9 marzo truppe speciali statunitensi affiancarono l'esercito somalo nell'attacco alla città di Audegle, controllata da Al-Shabaab, catturando diversi combattenti, pur senza riuscire a liberare la città,[124][125][126] l'11 aprile eseguirono un raid mirato a Chisimaio uccidendo 10 combattenti di Al-Shabaab ritenuti una minaccia imminente per le forze USA presenti sul territorio;[127][128] il 10 maggio, coordinarono truppe somale in una missione mirata contro alcuni combattenti di Al-Shabaab che preparavano un attacco a una base AMISOM,[129] il 12 maggio truppe dell'AMISOM attaccarono un posto di blocco illegale di Al-Shabaab a ovest di Mogadiscio,[129] il 13 maggio gli USA eseguirono un raid mirato contro 3 combattenti di Shabaab,[130] il 31 maggio coordinarono truppe somale in una missione mirata contro due importanti membri di Al-Shabaab, Mohamud Dulyadeyn, ritenuto la mente dell'attacco all'università di Garissa dell'aprile 2015, e Maalim Daud, capo dell'intelligence del gruppo, che furono uccisi assieme ad altri 16 combattenti;[131][132] il giorno seguente Al-Shabaab rispose facendo esplodere un'autobomba all'Hotel Ambassador di Mogadiscio, uccidendo 15 civili, tra cui due parlamentari,[133][134] e il 9 giugno assaltò un campo militare dell'Unione africana a Halgan, difeso dalle truppe etiopi ivi stanziate.[135][136]
Il 17 luglio 2016 gli Al-Shabaab attaccarono il villaggio di Wardinle, presso Baidoa, scontrandosi con le truppe etiopi dell'AMISOM e causando la morte di 14 civili[137]. Il 3 agosto, un contigente di truppe scelte statunitensi affiancò militari somali in un'operazione contro un posto di blocco illegale di Al-Shabaab a Saakow.[138]
Il 21 agosto gli Al-Shabaab fecero esplodere due bombe a Gallacaio, causando almeno 10 morti;[139] il 19 settembre un attentatore suicida di Al-Shabaab uccise a Mogadiscio il generale somalo Mohamed Roble Jimale Gobale e quattro guardie del corpo.[140]
Il 26 settembre, gli USA coordinarono truppe somale in un'operazione a Chisimaio contro gli Al-Shabaab, uccidendo 9 combattenti; due giorni dopo, soldati statunitensi affiancarono truppe somale in un'operazione a Gallacaio contro gli Al-Shabaab, uccidendo 4 combattenti[141]; il giorno seguente, gli USA eseguirono un raid nello Stato di Galmudugh, uccidendo per errore 22 civili ed alcuni soldati somali, suscitando la protesta dell'amministrazione regionale[142].
A ottobre, dopo il ritiro delle truppe etiopi dalla città di Halgan, gli Al-Shabaab occuparono la città, e i villaggi di el-Ali e Moqokori, nella regione dell'Hiran.[143][144]
Il 26 ottobre, combattenti affiliati allo Stato Islamico presero il controllo della città portuale di Candala, nel Puntland,[145] ma le forze armate del Puntland li respinsero a seguito di scontri armati che si svolsero dal 10 novembre[146] al 7 dicembre.[147]
Il 27 gennaio 2017, combattenti di Al-Shabaab attaccarono un campo militare dell'AMISOM a Kolbiyow.[148][149]
L'8 febbraio 2017 fu eletto presidente della Repubblica Mohamed Abdullahi Mohamed, il quale nominò il 1º marzo Hassan Ali Khayre come Primo Ministro.
Il 30 marzo 2017, il presidente statunitense Donald Trump firmò un decreto per dichiarare la Somalia "area di ostilità attive", autorizzando così il Comando degli Stati Uniti in Africa (AFRICOM) ad eseguire operazioni di antiterrorismo con minore tutela verso i civili.[150] Da allora sono aumentati sia i bombardamenti offensivi mirati che l'entità delle forze speciali statunitensi impiegate in Somalia, così come quella delle truppe convenzionali con compiti di formazione ed edificazione delle forze di difesa nazionale.[151] Il comandante dell'AFRICOM, gen. Thomas Waldhauser, dichiarò che l'obiettivo era fornire alle forze di sicurezza somale la capacità di operare da sole entro il 2021.[152]
Anche la Turchia installò una propria base militare presso Mogadiscio, con almeno 500 soldati deputati all'addestramento dell'esercito somalo, operativa da agosto.[153]
Il 4 maggio 2017 una squadra speciale della marina americana supportò l'esercito somalo in una missione mirata, a 60 km ad ovest di Mogadiscio, contro miliziani di Al-Shabaab già responsabili di attacchi terroristici a Mogadiscio,[154][155] durante la quale oltre a tre miliziani Al-Shabaab, tra cui Moalin Osman Abdi-Badil, membro dell'intelligence dell'organizzazione,[156] perse la vita anche un soldato americano ed altri due furono feriti.[156]
I raid aerei statunitensi nel 2017 contribuirono a ridurre la capacità di Al-Shabaab di condurre nuovi attacchi, come quello l'11 giugno presso Sakow, che uccise 8 miliziani chiave dell'organizzazione,[157] quello del 23 luglio diretto contro Ali Jabal, comandante di Al-Shabaab nel Benadir, ritenuto la mente degli attacchi terroristici a Mogadiscio,[152] ucciso da un successivo raid il 30 luglio a Tortoroow,[158] il 10 agosto un quarto raid con drone uccise un altro leader di Al-Shabaab,[159][160] il 17 agosto un raid uccise 7 miliziani di Al-Shabaab a Gelib, mentre erano impegnati in uno scontro a fuoco con soldati somali,[161] il 3 novembre due raid con droni a Buqa, 60 km N di Candala, uccisero diversi miliziani dello Stato Islamico in Somalia,[162] altri 5 raid con droni nei giorni 9-12 novembre uccisero 36 miliziani di Al-Shabaab e 4 miliziani dell'ISIS, tra cui il responsabile di un attacco a un convoglio militare americano-somalo a Gado,[163] il 14 novembre un raid con drone a 100 km NW di Mogadiscio uccise diversi miliziani di Al-Shabaab,[164] a dicembre un raid su un campo di addestramento di Al-Shabaab, a 200 km NW di Mogadiscio, uccise oltre 100 miliziani dell'organizzazione, un altro raid il 24 dicembre ne uccise 13.[165] In totale i raid americani nel periodo 30 marzo-31 dicembre 2017 furono 34,[150] consentendo di ridurre il numero di miliziani di Al-Shabaab a 3.000-6.000 e quelli dell'ISIS a 250.[166]
Sebbene alcuni analisti ne mettano in dubbio l'efficacia, in quanto non seguiti da azioni supplementari e riscontri sul terreno, i raid statunitensi contro gli Al-Shabaab proseguirono nel 2018, con un totale di 15 nel periodo gennaio-maggio,[167] tra i quali l'11 aprile a Jana Cabdalle, a 50 km NW di Chisimaio, neutralizzando un'autobomba di Al-Shabaab,[168] il 31 maggio a 50 km SW di Mogadiscio, uccidendo 12 miliziani,[167] il 2 giugno a Bosaso, nel Puntland, uccidendo 27 miliziani.[169][170] Negli stessi mesi proseguirono anche le operazioni dell'esercito somalo contro i posti di blocco illegali realizzati da Al-Shabaab per estorcere tasse alla popolazione, come il 12 maggio presso Gialalassi nella regione di Hiran, che portò all'uccisione di 13 miliziani.[171]
I raid statunitensi contro Al-Shabaab proseguirono anche nei restanti mesi del 2018, raggiungendo un totale di 47 nel periodo gennaio-dicembre,[150] ed ulteriori 24 nel periodo gennaio-febbraio 2019.[150]
La capacità di Al-Shabaab di compiere attentati e operazioni di guerriglia apparve tuttavia ancora notevole. Tra gli attentati realizzati nel 2017, il più grave fu quello del 17 ottobre a Mogadiscio, che provocò oltre 300 vittime civili nella capitale.[172]
Tra gli attacchi di Al-Shabaab del 2018, si verificò il 23 febbraio l'esplosione di due autobombe a Mogadiscio, che causarono 38 vittime,[173] il 1º marzo l'esplosione di un'autobomba in un posto di blocco dell'esercito somalo a 15 km da Mogadiscio, che uccise 2 soldati e ne ferì 5,[174] il 2 marzo un'imboscata contro un convoglio militare a Balad, 30 km N di Mogadiscio, che uccise 5 soldati e un ordigno contro la base militare di Afgoi che ne uccise altri 5;[174] il 2 aprile l'assalto contemporaneo di tre basi AMISOM, a Coriolei, Bulomarer e Golweyn, uccidendo negli scontri 6 soldati ugandesi ma subendo anche la perdita di 36 miliziani;[175] il 12 aprile un attentato terroristico nello stadio di calcio di Brava, che fece 5 vittime,[168] il 23 aprile l'assalto alla base AMISOM di Arbaow/Elasha Biyahawas, alla periferia di Mogadiscio,[176] il 24 aprile l'assalto con ordigni e scontro a fuoco alle truppe AMISOM ad el-Waregow, presso Merca,[177] il 9 maggio l'esplosione di un ordigno stradale nel mercato di Wanlaweyn, 90 km a NW di Mogadiscio, che causò 11 vittime e 15 feriti,[171][178][179] il 10 maggio quella di un ordigno stradale contro un veicolo militare, che fece 10 vittime e 2 feriti,[178][179] il 12 maggio di un ordigno nel mercato di Bulomarer che fece 4 vittime e 5 feriti.[171]
Al-Shabaab riprese le ostilità l'8 giugno con l'attacco alle truppe somale presso el-Wak[180] e l'uccisione di un soldato in un mercato a Afgoi,[181] seguito dall'attacco alla base militare di Sanguni che causò 3 vittime e 4 feriti,[182][183] ed alle truppe somale a Teed, 30 km a N di Huddur (regione di Bakool), che causò 5 vittime e 3 feriti;[184] il 1º luglio attaccò la base dell'Unione africana di Halane, presso Mogadiscio, causando 5 morti e 10 feriti,[185] il 14 luglio realizzò un duplice attentato kamikaze al Ministero dell'Interno a Mogadiscio, che causò 10 vittime e 20 feriti nel successivo scontro armato,[186] ed alla residenza del Commissario di Polizia di Baidoa, che fece 4 vittime e 3 feriti,[187] e il 15 luglio fece esplodere due autobombe contro il Palazzo Presidenziale a Mogadiscio.[186]