Per logografia - che deriva dal termine "lògos", parola - indica uno scritto in prosa[1] e non più in versi.
Nacque in Ionia, l'ambiente più evoluto del mondo greco, con scrittori (circa una decina), di cui ben nove provenivano da città dell'Asia Minore o isole contermini[2].
Il termine "logografo" fu usato per la prima volta da Tucidide[3] per indicare i suoi predecessori che si erano dedicati alla trattazione di eventi storici, con fine più edonistico che didattico, essendo le opere logografiche destinate alla lettura pubblica, e oggi "con il termine 'logografi' sono frequentemente indicati, nella letteratura moderna, gli autori di storie e di cronache fioriti anteriormente a Tucidide, gli storici cioè del VI e V sec. a.C., fino a Ellanico di Mitilene, con esclusione di Erodoto"[4].
I logografi cercarono per la prima volta di razionalizzare il patrimonio mitico precedente e di introdurre la concezione lineare della storia. Il mito, appartenente alla cultura greca epica, non era più accolto passivamente, ma veniva interpretato e messo in correlazione con il presente, degno anch'esso di essere memorabile come i racconti epici.
Viste nell'insieme, le opere di questi scrittori trattano di genealogie mitiche, fondazioni di città o storie di etnie greche e barbare, cronache e impalcature cronografiche, raccogliendo, in effetti, da quanto rimane della loro produzione, materiale orale ed epigrafico, ponendosi, in effetti, come editori di cronache locali[5].
Con la logografia si può dire che il discorso storico si svincoli, sia pure in modo embrionale, dal puro racconto, esercitando una sorta di selezione e ordinamento del materiale tràdito, in modo, comunque, piuttosto larvale rispetto ad Erodoto: per questo motivo, oltre che per la mancanza di attrattive stilistiche, le opere di questi autori scomparvero dalla tradizione, restando puri serbatoi di dati almeno fino all'età alessandrina.