Ponzio Pilato | |
---|---|
Governatore della Giudea | |
Nascita | fine I secolo a.C./inizio I secolo |
Morte | I secolo |
Predecessore | Valerio Grato |
Successore | Marcello |
Consorte | Claudia Procula |
Gens | Pontia |
Prefetto | dal 26 al 36 |
Ponzio Pilato | |
---|---|
Statua di Ponzio Pilato, a San Giovanni Rotondo, sul percorso della Via Crucis monumentale, nella stazione di "Gesù condannato a morte". | |
Nascita | fine I secolo a.C./inizio I secolo |
Morte | I secolo |
Etnia | Romano |
Religione | Religione romana |
Dati militari | |
Paese servito | Impero romano |
Forza armata | Esercito romano |
Arma | Cavalleria romana |
Unità | Legioni romane in Giudea |
Grado | Prefetto romano |
Guerre | Sottomissione della Giudea sotto Augusto |
Altre cariche | Governatore della Giudea |
Noto per | processo di Gesù |
voci di militari presenti su Wikipedia | |
San Ponzio | |
---|---|
Ponzio Pilato si lava le mani, da un dipinto di Duccio di Buoninsegna | |
Politico e prefetto della Giudea | |
Nascita | fine I secolo a.C./inizio I secolo |
Morte | I secolo |
Venerato da | Chiesa copta |
Canonizzazione | VI secolo |
Ricorrenza | 25 giugno[1] |
Ponzio Pilato (in latino Pontius Pilatus; in greco Πόντιος Πιλᾶτος; in ebraico פונטיוס פילאטוס; fine I secolo a.C./inizio I secolo – I secolo) è stato un funzionario e militare romano, che fu prefetto della Giudea per circa un decennio durante il regno di Tiberio, negli anni intorno al 30.
È ricordato principalmente per il ruolo che le fonti cristiane e Tacito gli attribuiscono nel processo di Gesù e per le leggende fiorite nei secoli successivi, che arrivano a considerarlo santo e un martire: per tale motivo è ricordato come martire dalla Chiesa copta e come santo dalla Chiesa etiope.[1]
Il nome di Ponzio sembrerebbe rimandare a origini sannite.[2] Il cognome fu talvolta[2] fatto derivare da pileus, un copricapo usato durante l'affrancamento degli schiavi, il che ne farebbe un liberto o almeno discendente di liberti; altri lo associano, con più verosimiglianza, a pilum, un giavellotto;[2] il praenomen non è riportato da alcuna fonte.
Come tutti i funzionari di rango minore[Nota 1] doveva appartenere all'ordine equestre.[2]
Le fonti antiche che parlano di lui sono due autori giudei del I secolo. Flavio Giuseppe, la fonte principale, ne parla nelle opere Guerra giudaica (scritta negli anni 70) e soprattutto nelle Antichità giudaiche (scritta negli anni 90); Filone di Alessandria ne parla ne L'ambasceria a Gaio, scritta circa nel 41, il che ne fa temporalmente la fonte più vicina agli eventi.[3] Un breve accenno è inoltre presente negli Annali di Tacito; i due libri di tale opera dove, presumibilmente, si doveva parlare anche del mandato di Pilato in Giudea, sono andati perduti.[3] Infine bisogna citare anche le lettere di Ignazio di Antiochia agli Smirnei, ai Magnesi e ai Tralli, scritte all'inizio del II secolo.
Dopo Valerio Grato, fu il quinto prefetto della Giudea, forse su nomina di Seiano, in carica tra gli anni 26 e 36; è famoso per il ruolo che svolse nella passione di Gesù, secondo quanto testimoniano i vangeli, poiché fu giudice del processo di Gesù. Rifiutatosi di condannarlo, in seguito si "lavò le mani", cedendo di fatto alle richieste dei sadducei che volevano la crocifissione.
Secondo quanto riportato da Flavio Giuseppe, Pilato provò senza successo a romanizzare la Giudea, introducendo immagini dell'imperatore a Gerusalemme (cosa che suscitò una forte protesta perché la legge mosaica non lo consentiva)[4] e provando a costruire un acquedotto coi fondi che si raccoglievano nel Tempio.[5] Anche se Gerusalemme rimaneva la capitale, il procuratore romano aveva la sua residenza a Cesarea, che, grazie alla sua ubicazione, rappresentava una buona scelta strategica.[6]
Il governatore (legato) di Siria, Lucio Vitellio (padre del futuro princeps), lo destituì nell'anno 36 o 37 a causa della durezza con cui aveva represso i Samaritani che avevano messo in atto la rivolta del monte Garizim e lo inviò a Roma per rispondere del suo operato davanti al principe. Ma prima che Pilato potesse raggiungere Roma, Tiberio morì. Da questo momento la sua figura scompare dalle fonti e non è noto il suo destino.[2][7] Nel ruolo di prefetto della Giudea gli subentrò Marcello, amico di Lucio Vitellio.[7]
Secondo Filone di Alessandria, Ponzio sarebbe stato corrotto, licenzioso e crudele e avrebbe rubato e comminato condanne senza processo.[8]
Nel 1961, presso l'anfiteatro romano di Cesarea, è stata rinvenuta casualmente una lapide risalente al periodo tiberiano, su cui Pilato era menzionato nell'incisione incompleta, che recita: "[Caesarensibu]s Tiberiéum/[Pon]tius Pilatus/[Praef]ectus Iuda[ea]e",[9] traducibile forse come "presso i Cesarensi, Ponzio Pilato, Prefetto di Giudea, [dedicato a] Tiberio". Altre interpretazioni riferiscono di una possibile attestazione di lavori effettuati da Pilato presso l'anfiteatro della città, forse colpita da un terremoto, o della presenza sul luogo del ritrovamento di un tempio realizzato in onore dell'imperatore da Pilato.[10]
Secondo il Nuovo Testamento - benché secondo alcuni tali narrazioni non siano storicamente conciliabili e attendibili, rappresentando queste, per certi studiosi, la personale interpretazione teologica di ogni evangelista su precedenti materiali della tradizione cristiana[11] - Gesù fu portato al cospetto di Pilato dalle autorità ebraiche di Gerusalemme, che, dopo averlo arrestato, lo interrogarono e ricevettero delle risposte che lo fecero considerare blasfemo.
Pilato compare in tutti e quattro i Vangeli canonici. Il Vangelo secondo Marco mostra Gesù innocente dell'accusa di avere complottato contro l'impero romano e raffigura Pilato come estremamente riluttante a giustiziarlo, dando la colpa alle gerarchie giudaiche per la condanna, anche se Pilato era l'unica autorità in grado di decidere una condanna a morte. Nel Vangelo secondo Matteo Pilato si lava le mani del caso e, riluttante, manda Gesù a morte. Nel Vangelo secondo Luca Pilato riconosce che Gesù non aveva minacciato l'Impero. Nel Vangelo secondo Giovanni Pilato interroga Gesù, che non afferma di essere né il Figlio dell'Uomo né il Messia, ma gli dà conferma rispondendo "tu lo dici: io sono" (Gv 18,37).[12]
In merito alla figura di Ponzio Pilato, il racconto dei Vangeli non appare storico e gli esegeti del cattolico "Nuovo Grande Commentario Biblico"[13] osservano che "i ritratti che ne danno i vangeli come di un uomo indeciso e preoccupato della giustizia contraddicono altre antiche descrizioni della sua crudeltà e ostinazione", mentre il teologo John Dominic Crossan, ex sacerdote cattolico e tra i cofondatori del Jesus Seminar,[14] rileva come le informazioni "riguardanti Pilato [che ci giungono] da Flavio Giuseppe mostrano la sua mancanza di interesse per la sensibilità religiosa ebraica e la sua capacità di avere metodi piuttosto brutali per il controllo della popolazione".[15]
La domanda più importante che Pilato fece a Gesù fu se lui considerasse se stesso come re dei Giudei. Nella prosecuzione dell'interrogatorio, secondo il Vangelo secondo Giovanni, Gesù affermò di essere venuto nel mondo per rendere testimonianza alla verità e proseguì dicendo: «Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce»; al che Pilato chiese: «Che cos'è la verità?». Tale descrizione dell'interrogatorio, data dal solo Vangelo secondo Giovanni, è storicamente inverosimile[16], presentando la massima autorità romana Ponzio Pilato, noto per la sua crudeltà nei confronti degli Ebrei, che fa da spola fuori e dentro il pretorio almeno 6 volte, fungendo da portavoce tra Gesù e i capi giudei[Nota 2]; questo per non urtare la sensibilità religiosa dei suoi sudditi, in quanto i capi dei giudei non vollero entrare nel pretorio per non compromettere la loro purità rituale, in vista della cena pasquale di quella sera.[Nota 3]
Pilato tentò di non condannare Gesù e, visto che in occasione della Pasqua era usanza che fosse liberato un prigioniero, Pilato lasciò al popolo la scelta tra Gesù e un assassino di nome Barabba. Tale episodio, anche secondo molti studiosi cristiani, è da ritenersi leggendario e, in merito a questa amnistia per la Pasqua, va rilevato come non sia mai stata documentata storicamente per nessun governatore romano di alcuna provincia[Nota 4] e gli stessi evangelisti sono in disaccordo se tale amnistia provenisse dai Romani o dagli Ebrei;[Nota 5] anche la figura di Barabba, personaggio che non è menzionato al di fuori dei vangeli, probabilmente non è storica, ma anch'essa di natura teologica.[Nota 6]
Nel solo Vangelo secondo Matteo ci sono alcuni altri elementi: un intervento della moglie di Pilato (secondo la tradizione successiva chiamata Claudia Procula), che gli consiglia di rilasciare Gesù, e l'episodio di Pilato che si lava le mani davanti alla folla dicendo: «Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!», cui gli Ebrei rispondono: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli» (Mt27,24-25[17]). Tutti questi elementi, presenti nel solo Vangelo di Matteo, non sono considerati storici - così come gli episodi matteani, relativi a Giuda, dei 30 pezzi di argento e del Campo di sangue[18] -, ma sono elementi tratti da tradizioni popolari e inseriti dall'evangelista per i suoi scopi teologici[Nota 7]. In particolare, l'assunzione di responsabilità degli Ebrei[19], in risposta al lavarsi le mani di Pilato, "com'è noto […] non è storica: proietta all'indietro le polemiche tra i Giudei e i seguaci di Gesù della fine del I secolo";[Nota 8] tale episodio, atto a scagionare Pilato, sarà utilizzato dai cristiani in maniera antiebraica e sarà "trattato come se fosse una auto maledizione con la quale la gente ebraica attirò su sé stessa il sangue di Gesù per tutti i tempi successivi".[Nota 9] Il gesto di lavarsi le mani, inoltre, per quanto presente nella letteratura classica greca, è stato introdotto dall'evangelista - che scriveva alcuni decenni dopo e in ambiente greco-romano, al di fuori della Palestina - per esprimersi "con un linguaggio comprensibile per i lettori «giudeo-cristiani» che sapevano del rituale"[20] e non appare storicamente plausibile in riferimento a Pilato.[Nota 10]
Riguardo alla flagellazione di Gesù, presentata nel processo di fronte a Pilato, gli evangelisti[21] riportano differenti resoconti: Luca parla di una fustigazione (pena meno grave in cui si percuoteva il condannato senza frustarlo) e la pone a metà processo, senza evidenziare che tale pena sia poi stata applicata; Giovanni pone la flagellazione (pena più severa, in cui si colpiva il condannato con un flagello, cioè una frusta, fatto di lacci di cuoio aventi in punta schegge d'ossa, piombi e pungiglioni) a metà processo, stessa scelta temporale di Luca; Marco/Matteo fanno invece riferimento a una flagellazione a processo terminato; la versione storicamente più verosimile appare essere quella di Marco/Matteo: la flagellazione era posta dopo la condanna e come parte della pena insieme alla crocifissione.[Nota 11]
Pilato è anche presente negli Atti di Pilato, un apocrifo biblico del II/III secolo.
Eusebio di Cesarea, citando degli scritti apocrifi, afferma che Pilato non ebbe fortuna sotto il regno di Caligola, che lo inviò nelle Gallie, dove si sarebbe suicidato nella città di Vienne.[22] Anche secondo Agapio di Ierapoli Pilato si suicidò durante il primo anno del regno di Caligola.[23]
Un altro testo che parla di Pilato in relazione a Gesù è il Testimonium Flavianum, un brano tramandato all'interno delle Antichità giudaiche dello storico giudeo Flavio Giuseppe e risalente all'anno 93 o 94:
«Ci fu verso questo tempo Gesù, uomo saggio, se pure bisogna chiamarlo uomo: era infatti autore di opere straordinarie, maestro di uomini che accolgono con piacere la verità, e attirò a sé molti Giudei, e anche molti dei greci. Questi era il Cristo. E quando Pilato, per denunzia degli uomini notabili fra noi, lo punì di croce, non cessarono coloro che da principio lo avevano amato. Egli infatti apparve loro al terzo giorno nuovamente vivo, avendo già annunziato i divini profeti queste e migliaia di altre meraviglie riguardo a lui. Ancor oggi non è venuta meno la tribù di quelli che, da costui, sono chiamati Cristiani.»
Il Testimonium Flavianum tuttavia è da tempo oggetto di importanti dibattiti: sembra improbabile che uno storico di fede ebraica, che non aderì mai al cristianesimo, possa avere affermato con così tanta sicurezza che Gesù fosse il Cristo e che egli fosse risorto dai morti.[24] Per tale motivo, gli studiosi odierni ritengono che il Testimonium originariamente scritto da Flavio Giuseppe sia stato oggetto di un'interpolazione da parte dei copisti cristiani, che avrebbero aggiunto a esso materiale non presente nell'opera originale.[25]
Nonostante ciò, la maggioranza degli studiosi odierni ritiene che il Testimonium non sia una completa interpolazione cristiana e che fosse originariamente presente nel testo delle Antichità Giudaiche, sebbene sia stato poi oggetto di modifiche da parte di copisti.[26][27][28][29][30][31]
Un riferimento a Pilato è inoltre presente nel brano dello storico romano Tacito risalente all'anno 116 o 117:
«Cristo era stato ucciso sotto l'imperatore Tiberio dal procuratore Pilato; questa esecrabile superstizione, momentaneamente repressa, è iniziata di nuovo, non solo in Giudea, origine del male, ma anche nell'Urbe, luogo nel quale confluiscono e dove si celebrano ogni tipo di atrocità e vergogne.»
Secondo alcuni, in questo passo di Tacito ci sarebbe un errore: a Pilato infatti viene assegnato il ruolo di procuratore e non quello di prefetto, mentre tale titolo, a parere di alcuni studiosi, entrò in uso solo dal 44. Inoltre il fatto che Pilato venisse anche qualificato con il titolo di prefetto è confermato dal rinvenimento dell'iscrizione di Cesarea, dov'è appunto definito Prefetto della Giudea.
Altri fanno però notare come il termine "procuratore" venga attribuito da Flavio Giuseppe anche a Coponio, il primo prefectus cum iure gladii della Giudea appena diventata provincia romana.[32] Questo dimostrerebbe una certa confusione nell'uso dei termini da parte degli storici antichi: prefetto indicava un ruolo militare, mentre procuratore un ruolo legato alle finanze.
La Chiesa ortodossa etiope segue una tradizione secondo cui, dopo il processo a Gesù, Pilato si convertì; per questo lo venera come santo, celebrandone la ricorrenza il 25 giugno.[1]
La tradizione cristiana ha generato leggende in competizione tra loro sul suo luogo di nascita.
Numerose località si contendono l'onore di avergli dato i natali o di averlo ospitato al suo rientro in Italia dopo i fatti evangelici. Per esempio, a San Pio di Fontecchio (AQ) vi è un monte detto Montagna di Pilato dove la tradizione locale colloca la villa in cui Pilato si ritirò prima di morire. Il ritrovamento in tempi recenti di resti di edifici romani ha stimolato ulteriormente questa leggenda.
Altre leggende parlano delle rovine romane di Peltuinum presso L'Aquila. Vi è anche una rivendicazione molisana sulla città natale di Pilato, ossia Isernia, per un'iscrizione romana di dedica sulla storica fontana Fraterna.
Un'altra leggenda narra che la villa di Pilato fosse localizzata a Tussio (AQ), nelle vicinanze dell'antica Peltuinum. Ad avvalorare la tesi è sopravvenuto il ritrovamento di due leoni in pietra risalenti al I secolo, che porterebbero invece a indicarne la tomba. Sempre a Pilato viene accreditata l'introduzione nell'altopiano di Navelli dello zafferano (Crocus sativus).
Secondo un'altra leggenda, Pilato fu esiliato dall'imperatore Caligola a Vienne, in Francia, e vi morì suicida. Sulla via per Vienne avrebbe soggiornato prima a Torino, nella Porta Palatina, e poi a Nus in Valle d'Aosta, dove il castello è noto con il nome di "Castello di Pilato", nonostante la costruzione attuale risalga al medioevo.
Altra leggenda vuole i suoi natali ad Atina (FR).
La leggenda che vuole Bisenti (TE) quale patria di Ponzio Pilato, a differenza delle altre leggende riferite ad altri luoghi, è molto articolata. Non si limita ad affermare che il prefetto sia nato a Bisenti, ma spiega i dettagli dell'origine bisentina del preside romano. Secondo questa tradizione, tramandata di generazione in generazione, un avo del celebre funzionario romano, Ponzio Aquila, avrebbe partecipato alla congiura delle idi di marzo contro Gaio Giulio Cesare; con il ristabilirsi dell'ordine pubblico, le famiglie dei cesaricidi furono confinate presso le colonie romane; tra queste i Ponzi furono esiliati in quel di Berethra (antico nome di Bisenti, dal greco Barathon, “valle stretta e profonda"). Nato e cresciuto in questa località, il giovane e futuro prefetto avrebbe avuto dunque la possibilità di conoscere le tradizioni ebraiche e apprendere una lingua “straniera”, l'aramaico. L'allora Berethra, infatti, era ubicata nel cuore di un territorio dell'area centro-adriatica conosciuto in antichità con la denominazione di "Palestina piceni", ma in quanto colonizzato nel 600 a.C. circa da popolazioni mediorientali provenienti dalla terra di Canaan.
Proprio la conoscenza del linguaggio e delle abitudini simil-giudaiche, apprese vivendo nella “Palestina Piceni”, avrebbero avvantaggiato il giovane militare Ponzio Pilato nella nomina di V prefetto della Giudea. A Bisenti è visitabile il luogo che la tradizione indica come casa natale di Ponzio Pilato. L'edificio, anche se modificato e ristrutturato nel corso dei secoli, conserva ancora, nel suo impianto, le caratteristiche di una tipica domus romana: un lato dello stabile presenta un porticato con un cortiletto o “vestibolo”, sul lastrico di tale corte si notano dei resti di un'antica pavimentazione realizzata con ciottoli che formano delle particolari geometrie molto simili alle figurazioni dei mosaici che impreziosivano le ville romane.
A ridosso di tale cortiletto si trova un locale, l'“atrium” della casa di Ponzio Pilato. Al di sotto di tale area dell'edificio sono presenti due enormi cisterne che, per le caratteristiche tecniche costruttive delle murature in “opus caementicium” e per la presenza di alcune tracce di intonaco impermeabile di tipo “opus signinum”, possono essere fatte risalire all'epoca romana. Sotto l‘"impluvium”, è ancora perfettamente conservato un qanat, un sistema di distribuzione idrico molto diffuso nei territori mediorientali. Non si può dunque escludere che il qanat di Bisenti sia stato realizzato proprio da Ponzio Pilato che, avendone appreso la tecnologia costruttiva in Giudea, una volta tornato in Abruzzo avrebbe costruito un sistema idrico del genere per captare le acque da una falda, incanalarle mediante una galleria sotterranea per alcuni chilometri e prelevarle, per le proprie esigenze personali, da un pozzo situato all'interno della sua casa e, per le necessità degli altri concittadini Berethriani, in una fonte di erogazione pubblica, oggi denominata "fonte vecchia", della quale si possono ancora ammirare, integralmente preservati, i cunicoli di adduzione e le vasche di decantazione.
Comunque, ad avvalorare la leggenda che Pilato fosse di origine abruzzese, vi è l'ipotesi che lo fa discendere dalla famiglia Vestina dei Ponzi, da cui sarebbero usciti, al tempo della guerra sociale, gli avi di Ponzio Pilato quali condottieri dell'esercito sannita. Questa vecchia tradizione popolare è anche presente in un'opera minore di Ennio Flaiano. È anche riportata da Angelo Paratico in "Gli assassini del Karma" e da Giacomo Acerbo in "Fra due plotoni di esecuzione".
La figura di Ponzio Pilato è legata a diverse tradizioni anche in provincia di Latina: l'isola di Ponza lega il suo nome a una leggenda che lo vuole esiliato qui, mentre i suoi natali sono rivendicati anche dalle antiche città di Cori e Cisterna di Latina. Notevole è anche la tradizione attestata ad Ameria (oggi Amelia) dove, oltre a essersi tramandata la "leggenda" del Palazzo di Pilato ed essere attestata la presenza di una villa romana in località monte Pelato (ma forse più correttamente Pilato), nel XVI secolo un'iscrizione ritrovata nei pressi della chiesa abbazia di San Secondo desta sicuramente una certa curiosità. Si parla infatti di un certo ['Pilatus/IIII VIR/QUINQ (UENNALIS) (CIL, XI 4396)]. Tale iscrizione avvalorerebbe quanto riportato nel Vangelo apocrifo degli Atti di Pilato, dove più volte viene citata la città di Ameria quale luogo di esilio e morte del governatore.
Circa la morte esistono diverse ipotesi: giustiziato dall'imperatore Caligola; suicida in Gallia dopo esservi stato esiliato; penitente e convertito al Cristianesimo per influenza della moglie Claudia Procula (canonizzata dalla Chiesa greco-ortodossa); morto a Vienne o a Latina.[33]
Antoine de La Sale, scrittore e viaggiatore francese del XV secolo, riporta una leggenda raccolta durante un viaggio nell'Italia Centrale secondo cui Ponzio Pilato, riportato a Roma da Vespasiano, fu fatto uccidere e il suo cadavere trasportato, su un carro trainato da buoi, verso le pendici del Monte Vettore, nel massiccio dei Sibillini, per essere infine gettato nel lago che oggi porta il suo nome.
Indipendentemente dal giudizio storico o religioso sulla sua figura, il ruolo centrale avuto da Pilato nelle vicende di Gesù Cristo (e di conseguenza nella nascita del cristianesimo) ne ha fatto uno dei personaggi più citati e utilizzati nella letteratura mondiale. La presenza del suo nome all'interno del Credo cristiano (patì sotto Ponzio Pilato), recitato da tutti i fedeli che partecipano alle celebrazioni eucaristiche in tutto il mondo, rende probabilmente Pilato il personaggio dell'antichità romana più nominato nei secoli. Inoltre Pilato è stato da alcuni identificato nella Divina Commedia di Dante Alighieri dalla perifrasi «Vidi e conobbi l'ombra di colui / Che fece per viltade il gran rifiuto»;[34][35][36][37] la stessa terzina potrebbe però identificare la figura di Papa Celestino V, che abdicò dopo solo cinque mesi al Soglio pontificio.
Nel racconto Il procuratore della Giudea (1902) dello scrittore francese Anatole France, un Ponzio Pilato vecchio e amareggiato rievoca con un commilitone i vecchi tempi del servizio in Palestina, la litigiosità e la ingovernabilità degli Ebrei, le azioni intraprese e le critiche ricevute, i riconoscimenti e le sanzioni a opera della burocrazia imperiale. Dell'episodio della condanna di un eversore a nome Gesù il Nazareno, pretesa e ottenuta dai maggiorenti locali, nessun ricordo.
Il breve romanzo Ponzio Pilato (1961) di Roger Caillois immagina l'arresto e il processo di Gesù Cristo dal punto di vista di Pilato, che qui è un funzionario imperiale di basso rango dal carattere debole, e un uomo sostanzialmente laico e razionale, incapace di capire ciò che gli appare come il fanatismo degli ebrei. La questione dell'arresto di Gesù gli appare inizialmente come una seccatura politica che rischia di provocare una rivolta, di rovinare le relazioni con l'élite sacerdotale ebraica e la sua reputazione presso i superiori. A Pilato viene consigliato di sacrificare Gesù come il modo più facile per uscire da questa situazione, ma egli esita perché sente che commetterebbe un'ingiustizia. Alla fine, dopo una notte di tormentose riflessioni, Pilato decide di avere la libertà di fare ciò che è giusto e libera Gesù, cambiando così tutta la successiva storia umana.
Il romanzo Il maestro e Margherita (1966-67) dello scrittore russo Michail Afanas'evič Bulgakov contiene un romanzo nel romanzo incentrato sull'incontro tra Pilato e Yeshua (il nome ebraico di Gesù). Nel romanzo di Bulgakov è infatti presente una riscrittura del processo a Gesù dei Vangeli. Nel finale (nel capitolo Il perdono e il rifugio eterno), Pilato guarda con occhi ciechi il disco della luna, condannato insieme al suo unico amico fedele guardiano, un cane scuro (... chi ama deve condividere la sorte dell'oggetto del suo amore),[38] a dormire da duemila anni in un luogo deserto, ma colpito dall'insonnia quando c'è la luna piena.
Friedrich Nietzsche loda Pilato come figura intellettuale aristocratica in un aforisma del saggio L'anticristo:
«Devo aggiungere che in tutto il Nuovo Testamento emerge appena una sola figura a cui si debba rendere onore? Pilato il governatore romano. Prendere sul serio un affare tra Ebrei – è qualcosa di cui non riesce a rendersi conto. Un ebreo di più o di meno – che importa? [...] La nobile ironia di un romano al cui cospetto vien fatto un abuso spudorato della parola "verità", ha arricchito il Nuovo Testamento dell'unica parola che abbia valore – che è la critica, l’annientamento stesso di quello: "che cos'è la verità"!»
Controllo di autorità | VIAF (EN) 172385754 · ISNI (EN) 0000 0001 2257 293X · BAV 495/227401 · CERL cnp00589068 · ULAN (EN) 500357217 · LCCN (EN) n50028711 · GND (DE) 118792172 · BNE (ES) XX1278792 (data) · BNF (FR) cb15113549p (data) · J9U (EN, HE) 987007454201205171 · NSK (HR) 000799782 |
---|