Spaghetti | |
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Origini | |
Luogo d'origine | ![]() |
Regione | Sicilia |
Diffusione | Mondiale |
Dettagli | |
Categoria | primo piatto |
Ingredienti principali | semola di grano duro, acqua |
Varianti | Bigoli Bucatini Linguine Pici Spaghetti alla chitarra Troccoli Vermicelli |
Gli spaghetti (AFI: /spaˈɡetti/) sono un particolare formato di pasta[1] prodotta esclusivamente con semole di grano duro e acqua, dalla forma lunga e sottile e di sezione tonda.
Li si distingue da altri formati analoghi, quali i vermicelli, poiché, rispetto a questi ultimi, vengono trafilati con una sezione (calibro) minore.[2] Allo stesso modo vanno distinti da altri tipi simili di paste lunghe come gli spaghetti alla chitarra, essendo questi a sezione quadrata e non processati tramite trafilatura, i bucatini, i quali risultano cavi, quindi forati al centro e lungo tutta la loro estensione, e le linguine, di forma appiattita.
Per quanto ogni pastificio adoperi il suo calibro, generalmente, lo spaghetto è il metro di misura di riferimento per pasta lunga a sezione tonda di calibro inferiore o superiore ad esso. Pur con le ovvie varianti a seconda del produttore, il calibro cresce generalmente in quest'ordine: fili d'angelo o capellini (detti anche capelli d'angelo), spaghettini, spaghetti, spaghettoni, vermicelli e vermicelloni.[3]
La prima attestazione della pasta essiccata in Italia e dell'esistenza stessa dell'industria della pasta si rintraccia nella descrizione della Sicilia tramandataci dal geografo arabo Muhammad al-Idrisi al tempo di Ruggero II, nel XII secolo.[6][7]
Nel Libro di Ruggero (Kitāb Rujārī o Tabula Rogeriana) pubblicato nel 1154, al-Idrisi, geografo di Ruggero II di Sicilia, descrive Trabia, un paese a 30 km da Palermo, come una zona con molti mulini dove si fabbricava una pasta a forma di fili modellata manualmente[8][9][10][11][12] ed evolutasi dal lagănum di epoca romana,[13][14][15] che successivamente prenderà il nome di vermicelli e in seguito di spaghetti, ma che al tempo al-Idrisi apostrofava, nella sua lingua, con il termine più generico di itriyya (dall'arabo itriyya e a sua volta dal greco itrion, che significava appunto "pasta secca stirata e filiforme",[16][17][18][19][20] nome, quest'ultimo, tuttora in uso anche per alcuni altri tipi di paste lunghe meridionali, prodotte dalle massaie di Puglia e di Sicilia e chiamate con il vocabolo dialettale trija o tria),[21] e che, una volta essiccata, veniva spedita con navi in abbondanti quantità per tutta l'area del Mediterraneo sia musulmano che cristiano, dando origine a un commercio molto attivo, che dalla Sicilia si diffondeva soprattutto verso nord lungo la penisola italica e verso sud fino all'entroterra sahariano, dove era molto richiesta dai mercanti berberi.[22][23]
«....la presenza dei vermicelli è stata riscontrata in Italia in tempi molto antichi, e precisamente in Sicilia...»
«....la sfoglia non è più matrice unica per la preparazione di molti altri formati di pasta. Ora è in concorrenza con un'altra tecnica, quella del filo o filamento, che consiste nel modellare piccoli frammenti di pasta con le dita o con le mani, facendoli rotolare su un tavolo fino a ottenere un formato di pasta che con un termine generico si chiamerà vermicelli...»
Verso la fine del XII secolo, i primordiali vermicelli siciliani,[26][27][28][29] grazie agli intensi commerci che l'isola intratteneva con la parte peninsulare del regno,[30][31][32] iniziarono a diffondersi sempre di più ad Amalfi e a Napoli e poi,[33][34][35] tra il XIII e il XIV secolo, a Salerno; luoghi in cui, nel corso del tempo, acquisiranno definitivamente il loro aspetto odierno e le tecniche di lavorazione ed essiccazione attuali,[36][37][38] nonché il loro contemporaneo nome spaghetti,[39] così come molte delle preparazioni culinarie nelle quali sono tuttora in uso, come i classici spaghetti al pomodoro, diffusisi a partire dalla tradizione gastronomica partenopea.[40][41]
Durante l'epoca medievale anche le Repubbliche Marinare di Pisa, Venezia e Genova (in quest'ultima tale formato di pasta secca era conosciuto con il termine fideli o fidelini)[42] ebbero un ruolo non secondario nella commercializzazione e diffusione dei vermicelli lungo la penisola e soprattutto nella parte centro-settentrionale di questa, dove le popolazioni locali ebbero modo di conoscere questo prodotto proprio tramite i commerci che i mercanti pisani, veneziani e genovesi intessevano con la Sicilia e il Sud Italia.[43][44] Da un documento pisano del 13 febbraio 1284 risulta che il fornaio Pèciolo assunse un tale Salvius come pastaio "in faciendis et vendendis vermicellis";[45] per giungere fino a Maestro Martino da Como che, nel suo Libro de Arte Coquinaria, descrive abbastanza dettagliatamente la realizzazione manuale dei vermicelli.[46][47]
Nello stesso periodo, a Gragnano, comparirono i primi grandi pastifici artigianali, i quali ebbero più fortuna rispetto a quelli di Amalfi e Salerno. Gragnano fortificò la sua produzione con l'assorbimento di quasi l'intera fabbricazione amalfitana, che si trasferì in terra gragnanese.[48] Durante quegli anni le classi povere necessitavano delle scorte alimentari per l'intero anno, così, per soddisfare tale bisogno, in quel di Gragnano si ampliò e si perfezionò l'industria della pasta secca su grande scala, realizzata con semole di grano duro macinate in zona e favorita anche, a partire dal XVI secolo, dall'invenzione del torchio a vite per la trafilatura della pasta (chiamato in napoletano 'ngegno) e di suoi ulteriori derivati sempre più adeguati a tale scopo, nonché alla prima trafilatura dei vermicelli.[49][50][51] I terreni gragnanesi erano ideali per la produzione di tale alimento grazie al loro microclima composto da vento, sole e giusta umidità. Nel XVII secolo Napoli fu colpita da carestia e questo favorì ancor più il consumo della pasta secca, e in particolar modo degli spaghetti, in tale città.[52]
Agli inizi del XIX secolo, a Napoli, così come in altre zone della Campania, prese avvio una prima meccanizzazione nella produzione delle paste alimentari, tra le quali gli spaghetti.[53]
Nell'opera del poeta e commediografo napoletano Antonio Viviani, Li maccheroni di Napoli[54][55][56], pubblicata nel 1824, compare invece per la prima volta il termine spaghetti (inteso come diminutivo-vezzeggiativo della parola ''spago'') in riferimento a questo tipo di pasta, nome che perdurerà nel tempo, fino all'attualità, e che andrà a sostituire il più generico maccheroni (o maccaroni), così come il termine vermicelli (che rimarrà in uso quale sinonimo di spaghetti di maggior spessore), nomi con i quali, lo stesso alimento, era apostrofato in fonti letterarie anteriori. In questa stessa opera vengono anche illustrate le diverse fasi della lavorazione di questo formato di pasta.[57]
Per quanto riguarda il tipo di consumo, in origine, gli spaghetti, come tutte le paste asciutte, erano perlopiù conditi di solo olio d'oliva, formaggio e pepe. Sarà invece tra la fine del XVII e gli inizi del XVIII secolo che si affermerà l'uso di condire la pasta con il sugo di pomodoro. La prima testimonianza in tal senso è iconografica, e si ritrova in un presepe napoletano databile agli inizi del Settecento, conservato nella Reggia di Caserta, nel quale due contadini arrotolano attorno alla forchetta i primi spaghetti colorati di rosso.[58] Bisognerà però attendere la metà del XVIII secolo per vedere pubblicata la prima ricetta in cui la pasta sia abbinata al pomodoro. Mentre nel 1839 Ippolito Cavalcanti pubblica la seconda edizione del suo celebre trattato "Cucina teorico pratica" che, riprendendo quella che doveva essere una abitudine diffusa tra il popolo, ci riporta due distinte ricette in tal senso: "i vermicelli con lo pommodoro" e il ragù napoletano.
Esiste una vasta documentazione fotografica e letteraria che illustra come nei vicoli di Napoli e di altre città dell'Italia meridionale, ancora sino alla fine del XIX secolo, gli spaghetti venissero mangiati con le mani, nonostante la forchetta si fosse già ampiamente diffusa da secoli, ma ciò era in parte dovuto all'abitudine perpetratasi fin dal basso Medioevo di consumare le paste, e soprattutto gli spaghetti, senza posate, costume acquisito nei tempi in cui queste ultime non esistevano. C'è da dire anche che le comuni forchette allora in uso avevano solo tre rebbi e inoltre erano piuttosto appuntite, il che le rendeva poco pratiche all'uso. Tutto ciò aveva anche un risvolto politico, rendendo di fatto improponibile la presentazione nei pranzi ufficiali di quella che già all'epoca era considerata una specialità che, nell'ex Regno delle Due Sicilie, era più adatta al popolo che all'aristocrazia, ovvero la pasta. Fu quindi per volontà di Ferdinando II di Borbone e grazie all'ingegno del ciambellano di corte, Gennaro Spadaccini[59], che si risolse il problema. Lo Spadaccini introdusse un quarto rebbio e ridusse le dimensioni dei forchettoni allora in uso, risolvendo in tal modo il problema dei maccheroni a corte, che si diffusero anche sulle tavole della nobiltà. Ciononostante l'abitudine di mangiare la pasta con le mani perdurò ancora per parecchi decenni.
Il sostantivo "spaghetto" viene talvolta usato nei confronti di una persona, in funzione di aggettivo, con significato di magro, esile, scheletrico.
Lo spessore indicato dal numero può variare leggermente da un produttore a un altro; può variare anche l'aspetto a seconda del tipo di trafilatura usato, cioè la superficie può presentarsi liscia o rugosa, quest'ultima è ottenuta con trafile in bronzo.
La scelta di una trafilatura rispetto a un'altra dipende dal tipo di condimento da abbinare.
In Italia vengono preparati secondo diverse e molteplici ricette tradizionali, spesso con salsa di pomodoro e formaggio grattugiato.
All'estero gli spaghetti sono serviti con numerose varianti come ad esempio gli spaghetti al prosciutto, guarniti con fette di prosciutto e senz'altro condimento, oppure gli spaghetti bolognese (venduti anche in lattina nel Nord Europa), inesistenti nella tradizione italiana, contenenti una sorta di ragù alla bolognese e gli spaghetti già cotti.
Alcuni esempi di ricette della tradizione italiana a base di spaghetti sono:
«Maccarone, m'hai provocato e io ti distruggo adesso, maccarone! Io me te magno, ahmm!»