Bene comune è una locuzione filosofica, tecnica culturale ed economica riferibile a diversi concetti che sono nell'ambito della scienza di oggi. Nell'accezione popolare viene definito bene comune uno specifico bene che è accessibile ad una specifica comunità: proprietà collettiva e uso civico. Vi sono definizioni di bene comune anche nell'ambito della filosofia, dell'etica, della scienza politica, della religione e della giurisprudenza.

Storia

Questo concetto viene espresso, in ambito filosofico-religioso, da Tommaso d'Aquino nella Summa Theologiae, scritta tra il 1265 e il 1274, esprimendosi, rispetto all'essenza della legge, che questa "non è che una prescrizione della ragione, in ordine al bene comune, promulgata dal soggetto alla guida della comunità" (I pars, q. 90, a. 4), affermando che il bene comune è anche il fine comune. Nella medesima opera espone che "costituendosi la legge innanzitutto per riferimento al bene comune, qualsiasi altro precetto sopra un oggetto particolare non ha ragione di legge sino a quando non si riferisce al bene comune.

Per tanto tutta la legge si riferisce al bene comune". In un altro passo della Summa Theologiae Q.29 artt. 37-42, sempre riferendosi al bene comune, sostiene la liceità della pena di morte sulla base del concetto della conservazione del bene comune. L'argomentazione di Tommaso d'Aquino è la seguente: come è lecito, anzi doveroso, estirpare un membro malato per salvare tutto il corpo, così quando una persona è divenuta un pericolo per la comunità o è causa di corruzione degli altri, essa viene eliminata per garantire la salvezza della comunità. Il teologo sosteneva tuttavia che la pena andasse inflitta solo al colpevole di gravissimi delitti, mentre alla sua epoca veniva utilizzata con facilità e grande discrezionalità.

La missione dell'autorità è la salus populi suprema lex, ma col superiore compito di spingere ognuno verso il bene comune "Se l'autorità fallisce questa missione perde non soltanto il diritto di comandare, ma la ragion d'essere".

Filosofia

Nella filosofia il concetto di bene comune è relativo e variabile. Esso, secondo alcune correnti filosofiche esprime un'idea, un'entità o altro, che giova all'intera collettività. Esempi a tal proposito possono essere rappresentati dai filosofi storici che credono nell'esistenza del "logos" (energia razionale) e nella sua azione ordinatrice. In questo caso il logos è garante del bene comune assoluto ed indiscriminato. Per altri filosofi invece il bene comune è inteso come "il bene dei più". Hegel per esempio sosteneva che una sola persona nella sua individualità non avesse alcuna importanza sociale. Secondo quest'ultima corrente di pensiero per il bene comune può essere utile, ed a volte necessario, il sacrificio del singolo: è proprio questa la differenza che contraddistingue i due concetti filosofici di bene comune.

Scienza politica

I beni comuni o risorse comuni (in inglese commons) sono beni utilizzati da più individui, rispetto ai quali si registrano per motivi diversi difficoltà di esclusione e il cui "consumo" da parte di un attore in alcuni casi può ridurre le possibilità di fruizione da parte degli altri (ad esempio un pascolo che può esaurirsi) o invece no in altri con quello che viene definito consumo non competitivo (ad esempio la conoscenza scientifica che più è diffusa e più si accresce): sono generalmente risorse prive di restrizioni nell'accesso e indispensabili alla sopravvivenza umana e/o oggetto di accrescimento con l'uso[1].

Oggi il tema dei beni comuni ha trovato un nuovo sviluppo con l'ampliamento dei limiti fisici e virtuali dovuti alla globalizzazione, sulla spinta di argomenti che travalicano i confini geografici quali il riscaldamento globale, la depauperazione di ecosistemi unici o la perdita di biodiversità, tutti beni comuni dell'uomo. Inoltre oltre ai beni comuni classici di carattere fisico, il dibattito si è ampliato in riferimento ai beni immateriali quali ad esempio la biopirateria, i monopoli informatici, la proprietà intellettuale[2]

Teorie

I beni comuni circolano al di fuori del mercato, attraverso i canali dell'economia informale: l'accaparramento, la raccolta libera, la condivisione, l'economia del dono. Si può dire che sono beni di fatto "non escludibili", ossia per i quali non è possibile imporre un prezzo. Oltre a questo, sono beni parzialmente o totalmente "rivali", per i quali esiste il rischio di un eccessivo sfruttamento (si pensi alla foresta amazzonica o agli stock ittici), dovuto ad una inefficiente distribuzione dei diritti sociali[3].

Causal loop diagram - system archetype "Tragedy of the commons"

Le risorse comuni, pur presentando tratti che a volte le avvicinano ad altri tipi di beni, si distinguono da essi tanto concettualmente quanto per i problemi che pongono ai loro utilizzatori. All'interno della teoria dei commons viene utilizzata una classificazione dei beni in quattro categorie, costruite tramite l'incrocio di due variabili centrate sulla determinazione del rapporto tra bene e utilizzatori:

I beni pubblici - per definizione non escludibili e non sottraibili - costituiscono uno dei poli della tipologia presentata, mentre al polo opposto si collocano i beni privati. Due casi intermedi sono i beni di club (toll goods), caratterizzati da bassa sottraibilità e da facilità di esclusione, e le risorse comuni con difficoltà di esclusione alta e sottraibilità elevata. Da notare che non si tratta qui di categorie assolute, quanto di un "territorio" o - se si preferisce - di un piano cartesiano sul quale possono essere collocati i diversi tipi di beni reali a seconda delle loro caratteristiche, con ai poli i tipi puri, empiricamente difficili, anche se non necessariamente impossibili, da identificare.

Tragedia dei beni comuni

Lo stesso argomento in dettaglio: Tragedia dei beni comuni.

Anche se l'analisi delle risorse comuni non nasce con Garrett Hardin, l'articolo pubblicato su Science nel 1968, "La tragedia dei beni comuni", costituisce tuttavia il punto di partenza del dibattito contemporaneo sull'argomento. Hardin - biologo di formazione, ecologista e specialista del problema dell'incremento demografico mondiale - descrive in esso un modello che costituisce una "metafora" della pressione data dalla crescita incontrollata della popolazione umana sulle risorse terrestri, presentandolo quale "tragedia della libertà in una proprietà comune"[5]. La posizione di Hardin è, in sintesi, che gli utilizzatori di una risorsa comune sono intrappolati in un dilemma tra interesse individuale e utilità collettiva, che è sostenibile solo in situazioni caratterizzate da scarsità di popolazione. Dal dilemma, secondo Hardin, non è possibile uscire con soluzioni tecniche (come può essere, ad esempio, l'incremento di produttività di specie vegetali, come il frumento, di rilevante valore per l'alimentazione umana e animale), che, in definitiva, si risolverebbero in espedienti in grado solo di spostare il problema in avanti nel tempo. L'ultima parola, secondo Hardin, spetta all'intervento di un'autorità esterna, di norma lo stato, che imponga la "coercizione" come sistema per evitare la "tragedia": si tratta di una soluzione statalista e contro il libero mercato, secondo cui, nell'elaborazione di soluzioni politiche e legislative, la salvaguardia dell'interesse e del bene della collettività viene prima della tutela della libertà individuale dei diritti individuali, tra cui il diritto di proprietà. La soluzione proposta da Hardin è espressa e sintetizzata in un termine, "coercizione", che, come lo stesso Hardin avverte, è inviso alla maggior parte dei liberisti ma "non è detto che debba esserlo per sempre"[5].

Governing the Commons di Elinor Ostrom

L'idea che esista un'unica via nella risoluzione dei problemi posti dai beni comuni - sia essa l'ipotesi statalista di Hardin o la suddivisione e la privatizzazione della risorsa, idea di matrice essenzialmente economica - è stata però messa in discussione da Elinor Ostrom (Premio Nobel per l'economia nel 2009) e dai suoi collaboratori nel corso degli anni '80 del Novecento, soprattutto con la pubblicazione di "Governing the Commons" (E. Ostrom, 1990). In esso viene rilevato che, tanto la gestione autoritaria-centralizzata dai beni comuni quanto la sua privatizzazione, benché utilizzabili in determinate situazioni, non costituiscono la soluzione né sono immuni essi stessi da problemi rilevanti.

Partendo dallo studio di casi empirici, nei quali viene mostrato come gli individui reali non siano irrimediabilmente condannati a rimanere imprigionati nei problemi di azione collettiva legati allo sfruttamento in comune di una risorsa, la Ostrom ha posto in discussione soprattutto l'idea che esistano dei modelli applicabili universalmente[6]. Al contrario, in molti casi - storici e contemporanei - le singole comunità appaiono essere riuscite a evitare i conflitti improduttivi e a raggiungere accordi su una utilizzazione sostenibile nel tempo delle risorse comuni tramite l'elaborazione endogena di istituzioni deputate alla loro gestione.

Maggiori teorici

Situazione italiana

La situazione normativa italiana fa riferimento alle norme del Codice civile, dal 1942, agli artt. 822 e seguenti. Nel 2007 è stata istituita una Commissione ministeriale, la c.d. Commissione Rodotà per dettare una più moderna normativa di riforma del codice civile. La commissione, voluta da Clemente Mastella e presieduta da Stefano Rodotà, ha presentato al Senato della Repubblica un disegno di legge delega[7], che non è mai arrivato alla discussione parlamentare[8].

In quel disegno di legge venivano descritti come "beni comuni", sul piano giuridico, quei beni «che non rientrano stricto sensu nella specie dei beni pubblici, poiché sono a titolarità diffusa, potendo appartenere non solo a persone pubbliche, ma anche a privati. Ne fanno parte, essenzialmente, le risorse naturali, come i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque; l'aria; i parchi, le foreste e le zone boschive; le zone montane di alta quota, i ghiacciai e le nevi perenni; i tratti di costa dichiarati riserva ambientale; la fauna selvatica e la flora tutelata; le altre zone paesaggistiche tutelate. Vi rientrano, altresì, i beni archeologici, culturali, ambientali»[8].

Si era poi prevista «una disciplina particolarmente garantistica di tali beni, idonea a nobilitarli, a rafforzarne la tutela, a garantirne in ogni caso la fruizione collettiva, da parte di tutti i consociati, compatibilmente con l'esigenza prioritaria della loro preservazione a vantaggio delle generazioni future. In particolare, la possibilità di loro concessione a privati è limitata. La tutela risarcitoria e la tutela restitutoria spettano allo Stato. La tutela inibitoria spetta a chiunque possa fruire delle utilità dei beni comuni in quanto titolare del corrispondente diritto soggettivo alla loro fruizione».

Rispetto ai beni pubblici di appartenenza a soggetti pubblici, la proposta elaborata dalla commissione «abbandona la distinzione formalistica fra demanio e patrimonio, e introduce una partizione sostanzialistica, distinguendo i beni pubblici, a seconda delle esigenze sostanziali che le loro utilità sono idonee a soddisfare, in tre categorie: beni ad appartenenza pubblica necessaria; beni pubblici sociali; beni fruttiferi»[8].

Commissione Rodotà - per la modifica delle norme del codice civile in materia di beni pubblici (14 giugno 2007) - Proposta di articolato[9] Commissione Rodotà - elaborazione dei principi e criteri direttivi di uno schema di disegno di legge delega al Governo per la novellazione del Capo II del Titolo I del Libro III del Codice Civile nonché di altre parti dello stesso Libro ad esso collegate per le quali si presentino simili necessità di recupero della funzione ordinante del diritto della proprietà e dei beni (14 giugno 2007)

(Delega al Governo per la modifica del Capo II del Titolo I del Libro III del Codice Civile).

1. Il Governo è delegato ad adottare, entro dieci mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, un decreto legislativo per la modifica del Capo II del Titolo I del Libro III del Codice Civile nonché di altre parti dello stesso Libro per le quali si presentino simili necessità di riforma del diritto della proprietà e dei beni.

2. Le disposizioni della presente legge delega e quelle delegate, in quanto direttamente attuative dei principi fondamentali di cui agli articoli 1, 2, 3, 5, 9, 41, 42, 43, 97, 117 della Costituzione possono essere derogate o modificate solo in via generale ed espressa e non tramite leggi speciali o concernenti singoli tipi di beni.

3. Il decreto delegato è adottato, realizzando il necessario coordinamento con le disposizioni vigenti, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi generali:

a) Revisione della formulazione dell'art. 810 del codice civile, al fine di qualificare come beni le cose, materiali o immateriali, le cui utilità possono essere oggetto di diritti.

b) Distinzione dei beni in tre categorie: beni comuni, beni pubblici, beni privati.

c) Previsione della categoria dei beni comuni, ossia delle cose che esprimono utilità funzionali all'esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona. I beni comuni devono essere tutelati e salvaguardati dall'ordinamento giuridico, anche a beneficio delle generazioni future. Titolari di beni comuni possono essere persone giuridiche pubbliche o privati. In ogni caso deve essere garantita la loro fruizione collettiva, nei limiti e secondo le modalità fissati dalla legge.

Quando i titolari sono persone giuridiche pubbliche i beni comuni sono gestiti da soggetti pubblici e sono collocati fuori commercio; ne è consentita la concessione nei soli casi previsti dalla legge e per una durata limitata, senza possibilità di proroghe. Sono beni comuni, tra gli altri: i fiumi i torrenti e le loro sorgenti; i laghi e le altre acque; l'aria; i parchi come definiti dalla legge, le foreste e le zone boschive; le zone montane di alta quota, i ghiacciai e le nevi perenni; i lidi e i tratti dicosta dichiarati riserva ambientale; la fauna selvatica e la flora tutelata; i beni archeologici, culturali, ambientali e le altre zone paesaggistiche tutelate. La disciplina dei beni comuni deve essere coordinata con quella degli usi civici. Alla tutela giurisdizionale dei diritti connessi alla salvaguardia e alla fruizione dei beni comuni ha accesso chiunque. Salvi i casi di legittimazione per la tutela di altri diritti ed interessi, all'esercizio dell'azione di danni arrecati al bene comune è legittimato in via esclusiva lo Stato. Allo Stato spetta pure l'azione per la riversione dei profitti. I presupposti e le modalità di esercizio delle azioni suddette saranno definite dal decreto delegato.

d) sostituzione del regime della demanialità e della patrimonialità attraverso l'introduzione di una classificazione dei beni pubblici appartenenti a persone pubbliche, fondata sulla loro natura e sulla loro funzione in attuazione delle norme Costituzionali di cui all'Art 1. 2 così articolata: 1) beni ad appartenenza pubblica necessaria. 2) beni pubblici sociali. 3) beni pubblici fruttiferi.

1) I beni ad appartenenza pubblica necessaria sono quelli che soddisfano interessi generali fondamentali, la cui cura discende dalle prerogative dello Stato e degli enti pubblici territoriali. Non sono ne' usucapibili ne alienabili. Vi rientrano fra gli altri: le opere destinate alla difesa; le spiagge e le rade; la reti stradali, autostradali e ferroviarie; lo spettro delle frequenze; gli acquedotti; i porti e gli aeroporti di rilevanza nazionale ed internazionale. La loro circolazione può avvenire soltanto tra lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali. Lo Stato e gli enti pubblici territoriali sono titolari dell'azione inibitoria e di quella risarcitoria. I medesimi enti sono altresì titolari di poteri di tutela in via amministrativa nei casi e secondo le modalità che verranno definiti dal decreto delegato.

2) Sono beni pubblici sociali quelli le cui utilità essenziali sono destinate a soddisfare bisogni corrispondenti ai diritti civili e sociali della persona. Non sono usucapibili. Vi rientrano tra gli altri: le case dell'edilizia residenziale pubblica, gli edifici pubblici adibiti a ospedali, istituti di istruzione e asili; le reti locali di pubblico servizio. È in ogni caso fatto salvo il vincolo reale di destinazione pubblica. La circolazione è ammessa con mantenimento del vincolo di destinazione. La cessazione del vincolo di destinazione è subordinata alla condizione che gli enti pubblici titolari del potere di rimuoverlo assicurino il mantenimento o il miglioramento della qualità dei servizi sociali erogati. Il legislatore delegato stabilisce le modalità e le condizioni di tutela giurisdizionale dei beni pubblici sociali anche da parte dei destinatari delle prestazioni. La tutela in via amministrativa spetta allo Stato e ad enti pubblici anche non territoriali che la esercitano nei casi e secondo le modalità definiti dal decreto delegato. Con la disciplina dei beni sociali andrà coordinata quella dei beni di cui all'art 826, comma 2, del codice civile, ad esclusione delle foreste, che rientrano nei beni comuni.

3) Sono beni pubblici fruttiferi quelli che non rientrano nelle categorie indicate dalle norme precedenti. Essi sono alienenabili e gestibili dalle persone pubbliche con strumenti di diritto privato. L'alienazione ne è consentita solo quando siano dimostrati il venir meno della necessità dell'utilizzo pubblico dello specifico bene e l'impossibilità di continuarne il godimento in proprietà con criteri economici. L'alienazione è regolata da idonei procedimenti che consentano di evidenziare la natura e la necessità delle scelte sottese alla dismissione. I corrispettivi realizzati non possono essere imputati a spesa corrente. e) definizione di parametri per la gestione e la valorizzazione di ogni tipo di bene pubblico. In particolare:

1) Tutte le utilizzazioni di beni pubblici da parte di un soggetto privato devono comportare il pagamento di un corrispettivo rigorosamente proporzionale ai vantaggi che può trarne l'utilizzatore individuato attraverso il confronto fra più offerte.

2) Nella valutazione delle offerte, anche in occasione del rinnovo, si dovrà in ogni caso tenere conto dell'impatto sociale ed ambientale dell'utilizzazione.

3) La gestione dei beni pubblici deve assicurare un'adeguata manutenzione e un idoneo sviluppo anche in relazione al mutamento delle esigenze di servizio.

4. Il decreto di cui al presente articolo è adottato nel rispetto della procedura di cui all'articolo 14 legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro della Giustizia congiuntamente con il Ministro dell'Economia e delle Finanze e con gli altri Ministri competenti per materia, acquisito il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.

5. Lo schema di decreto legislativo adottato ai sensi del comma 1, è trasmesso alle Camere ai fini dell'espressione del parere da parte delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario. Il parere è reso entro quarantacinque giorni dalla data di trasmissione dei medesimi schemi di decreto. Decorso tale termine, il decreto può essere comunque emanato.

6. Entro dieci mesi dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 1, nel rispetto dei criteri e principi direttivi fissati dalla presente legge, il Governo può emanare disposizioni integrative e correttive.

7. Dall'attuazione della presente legge non derivano nuovi oneri e maggiori spese a carico della finanza pubblica.

Caduto il Governo Prodi II immediatamente dopo la consegna delle conclusioni della Commissione Rodotà, nel febbraio del 2010 il relativo disegno di legge fu presentato al Senato della Repubblica su iniziativa unanime del Consiglio regionale del Piemonte. Esso, tuttavia, non fu mai discusso in aula, con disappunto di alcuni dei componenti della Commissione che decisero di estendere i quesiti di due dei quattro referendum abrogativi del 2011. Raggiunto il quorum, i due referendum, spesso ricordati come "referendum sull'acqua pubblica", videro l'approvazione di oltre il 95% dei votanti. Tuttavia, nonostante la formale abrogazione delle norme oggetto di referendum con decorrenza 21 luglio 2011, con l'articolo 4 del decreto legge 13 agosto 2011 n. 138 il Governo Berlusconi IV cercò di reintrodurre parte delle norme abrogate. Il 20 luglio 2012 la Corte costituzionale giudicò incostituzionale quell'articolo, affermando che esso violava il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare desumibile dall’articolo 75 della Costituzione. La Corte stabilì inoltre che questa sentenza annulla anche le disposizioni contenute nel primo pacchetto di riforme economiche del marzo 2012 volute dal Governo Monti in materia di privatizzazioni A differenza dei tentativi governativi di cui sopra, la giurisprudenza civile italiana accoglie esplicitamente la nozione di “beni comuni” nella definizione a loro data dalla Commissione Rodotà, ad esempio con l’affermazione delle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione n. 3665 del 2011 secondo cui devono ritenersi comuni, prescindendo dal titolo di proprietà, quei beni che risultino funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività ed alla realizzazione dello Stato sociale. Il concetto di funzione sociale della proprietà viene, quindi, ad evolversi, nel senso che non costituisce soltanto un limite esterno alla proprietà privata, ma rappresenta anche un parametro distintivo della natura pubblica di un bene. Nel febbraio del 2013, Stefano Rodotà, con la collaborazione di studiosi illustri quali Ugo Mattei, Alberto Asor Rosa, il giudice emerito della corte costituzionale Paolo Maddalena, Alberto Lucarelli, Maria Rosaria Marella, Luca Nivarra, Salvatore Settis, rilanciava le conclusioni della Commissione Rodotà, e con esse il dibattito sui beni comuni, nel tentativo di ripensare le categorie di proprietà pubblica e privata, mettendo al centro i diritti inalienabili della collettività. Dopo la morte di Rodotà, su impulso di Ugo Mattei e Alberto Lucarelli il 30 novembre 2018 un convegno all'Accademia Nazionale dei Lincei riproponeva la discussione sui beni comuni con l'obiettivo di presentare nuovamente le conclusioni della Commissione Rodotà in Parlamento, stavolta come progetto di legge di iniziativa popolare, la cui raccolta di firme è promossa dal Comitato Popolare di Difesa dei Beni Comuni, Sociali e Sovrani "Stefano Rodotà".

Religione

La Chiesa cattolica, in una delle Costituzioni scaturite dal Concilio Vaticano II, propone la seguente definizione per il bene comune:

«l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente»

In uno storico radiomessaggio del 24 dicembre 1951, papa Pio XII affermò:

«LA SOCIETÀ DEGLI STATI - A queste società appartengono in primo luogo la famiglia, lo Stato ed anche la Società degli Stati, perché il bene comune, fine essenziale di ognuno di essi, non può né esistere, né essere concepito, senza la loro relazione intrinseca con la unità del genere umano. Sotto questo aspetto l'unione indissolubile degli Stati è un postulato naturale, è un fatto che loro s'impone ed a cui essi, sebbene talora esitanti, si sottomettono come alla voce della natura, sforzandosi altresì di dare alla loro unione un regolamento esteriore stabile, una organizzazione.Lo Stato, la Società degli Stati con la sua organizzazione sono dunque forme dell'unità e dell'ordine fra gli uomini, necessarie alla vita umana e cooperanti al suo perfezionamento. Il loro concetto stesso dice la tranquillità nell'ordine, quella « tranquillitas ordinis », che è la definizione che S. Agostino dà della pace: esse sono essenzialmente un ordinamento di pace.»

Note

  1. ^ Paul Samuelson, The pure theory of pubblic expeditures, in The Rewiew of Economics and Statistics, n. 4, 1954
  2. ^ Joseph Stiglitz, La globalizzazione che funziona, traduzione di Daria Cavallini, Einaudi, 2006. ISBN 88-06-18016-9
  3. ^ William Domenichini, In difesa dei Beni Comuni: intervista a Paolo Cacciari e Tommaso Fattori, in Informazionesostenibile.info. URL consultato il 1º settembre 2012 (archiviato dall'url originale il 2 marzo 2012).
  4. ^ Ostrom-Gardner-Walker, 1994
  5. ^ a b Garrett Hardin, "The Tragedy of the Commons", Science, 1968
  6. ^ V. Corrado Ocone, Il bencomunismo e i suoi derivati, in Mondoperaio, n. 1/2016, p. 92.
  7. ^ Ministero della Giustizia. Pubblicazioni, studi, ricerche, lavori commissioni di studio, su giustizia.it.
  8. ^ a b c Pasquale Fimiani, Beni pubblici e privati. Criteri di individuazione della demanialita di un bene, Libro dell'anno del Diritto 2012, dal sito dell'Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani(2012)
  9. ^ Commissione Rodotà - per la modifica delle norme del codice civile in materia di beni pubblici (14 giugno 2007) - Proposta di articolato, su giustizia.it, Ministero della Giustizia. URL consultato il 6 luglio 2013.

Bibliografia

Voci correlate

Altri progetti

Controllo di autoritàThesaurus BNCF 22899 · LCCN (ENsh87001903 · GND (DE4020046-2 · BNF (FRcb12218449c (data) · J9U (ENHE987007529708605171