Il Cha no yu[1] (茶の湯, "acqua calda per il tè"), conosciuto in Occidente anche come Cerimonia del tè, è un rito sociale e spirituale praticato in Giappone, indicato anche come Chadō o Sadō (茶道, "via del tè").
È una delle arti tradizionali zen più note. Codificata in maniera definitiva alla fine del XVI secolo dal monaco buddista zen Sen no Rikyū (千利休, 1522-1591), maestro del tè di Oda Nobunaga (織田信長, 1534-1582) e successivamente di Toyotomi Hideyoshi (豊臣秀吉, 1536-1598). Il cha no yu di Sen no Rikyū riprende la tradizione fondata dai monaci zen Murata Shukō (村田珠光, 1423-1502) e Takeno Jōō (武野紹鴎, 1502-1555). La cerimonia si basa sulla concezione del wabi-cha (侘茶). Questa cerimonia e pratica spirituale può essere svolta secondo stili diversi e in forme diverse.
A seconda delle stagioni cambia inoltre la collocazione del bollitore (釜 kama): in autunno e inverno è posto in una buca di forma quadrata (爐, ro, fornace), ricavata in uno dei tatami (畳) che formano il pavimento, mentre in primavera ed estate è in un braciere (furo, 風爐) appoggiato sul tatami. La forma più complessa e lunga (茶事, chaji) consiste in un pasto in stile kaiseki (懐石), nel servizio di tè denso (濃茶, koicha) e in quello di tè leggero (薄茶, usucha).[2] In tutti i casi si usa in varie quantità il matcha (抹茶), tè verde polverizzato, che viene mescolato all'acqua calda con l'apposito frullino di bambù (茶筅, chasen). Quindi la bevanda che ne risulta non è un'infusione, bensì una sospensione: questo significa che la polvere di tè viene consumata insieme all'acqua. Per questo motivo e per il fatto che il matcha viene prodotto utilizzando germogli terminali della pianta, la bevanda ha un effetto notevolmente eccitante. Infatti veniva e viene ancora utilizzata dai monaci zen per rimanere svegli durante le pratiche meditative (zazen, 坐禅). Il tè leggero usucha, a seguito dello sbattimento dell'acqua col frullino durante la preparazione, si ricopre di una sottile schiuma di una tonalità particolarmente piacevole e che si intona con i colori della tazza.
«Il cuore della cerimonia del tè consiste nel preparare una deliziosa tazza di tè; disporre il carbone in modo che riscaldi l'acqua; sistemare i fiori come fossero nel giardino; in estate proporre il freddo; in inverno il caldo; fare tutto prima del tempo; preparare per la pioggia e dare a coloro con cui ti trovi ogni considerazione.»
L'origine di una cerimonia formale che accompagnasse e regolasse il consumo del tè è sicuramente cinese. Anche questo evento, come la stessa scoperta del tè, è tuttavia di difficile datazione. Si può però presumere che l'esigenza della formazione di un cerimoniale sia correlata alla notevole diffusione di questa bevanda nelle classi aristocratiche durante la dinastia Song (960-1279), anche se il Canone del tè, il Chájīng (茶経, nel sistema pinyin), redatto da Lù Yǔ (陸羽, 733-804), è databile intorno al 758.[3]
Sempre al periodo della dinastia Song si può far risalire la diffusione nei monasteri del buddismo chán (禅宗, chán zong) dell'uso collettivo di bere da una singola tazza del tè di fronte a una statua di Bodhidharma (菩提達磨, 483-540). La bevanda del tè, contenendo infatti una buona dose di caffeina, era un valido sostegno alle estenuanti pratiche meditative dello zuòchán (坐禅), proprie delle scuole del buddismo chán.
Una leggenda, nata in ambito chán, attribuisce allo stesso leggendario fondatore di questa scuola, Bodhidharma, la "generazione" della pianta del tè: questi, addormentatosi incautamente durante lo zuòchán, al momento del risveglio si strappò le palpebre per impedire nuovamente l'assopimento e le gettò via. Da queste nacquero le prime piante del tè. È comunque comprensibile che in un ambito fortemente normativo della vita quotidiana, come quello dei monasteri chán, dove ogni momento della quotidianità veniva formalizzato ai fini dell'esercizio della presenza mentale, anche il consumo di tè seguisse delle precise regole di condotta.[4]
In Giappone la pianta del tè, nel suo utilizzo matcha, fu importata dal monaco tendai Eisai (栄西, 1141-1215) che, nel 1191, riportò da un suo pellegrinaggio in Cina sia gli insegnamenti chán Línjì (臨済, in giapponese Rinzai) del ramo Huánglóng (黃龍, in giapponese Ōryū), sia alcune piante di tè. Così nel 1282 si tenne nel tempio Saidai-ji (西大寺) di Nara il primo Ōchamori (大茶盛), in cui venivano evidenziati gli aspetti spirituali della Cerimonia del tè.
Tuttavia la pratica mondana del Tōcha (闘茶), passatempo aristocratico fondato su sfarzose gare in cui i partecipanti dovevano indovinare il luogo di origine delle foglie di tè che consumavano, prevalse presto in Giappone sull'Ochamori e la decadenza spirituale della pratica del tè legata ai principi chán e zen seguì tutto il XIV e XV secolo.
Fu il monaco zen rinzai Murata Shukō (村田珠光, 1423-1502) a elaborare, sotto la guida del maestro Ikkyū Sōjun (一休宗純, 1394-1481) il cerimoniale del chadō. Ikkyū Sōjun rivestiva in quegli anni il ruolo di abate dell'importantissimo monastero zen rinzai, il Daitoku-ji (大徳寺) di Kyōto.
Il chadō di Murata Shukō e Ikkyū Sōjun si fondava sul principio di "leggere il Dharma del Buddha anche nella bevanda del tè", eliminando ogni ostentazione di ricchezza tipica della cerimonia del tōcha e riportando la cerimonia del tè in un ambito di semplicità e sobrietà.
Nel 1489 l'ottavo shōgun del clan Ashikaga, Yoshimasa (足利義政, 1435-1490), dopo essersi ritirato dall'incarico di governo, si trasferì in una villa-tempio fatta da lui costruire nel 1473 a nord-est di Kyōto, residenza denominata Jishō-ji (慈照寺) e conosciuta anche come Ginkaku-ji (銀閣寺, "Padiglione d'argento"). Yoshimasa trascorse in questa villa il resto dei suoi giorni, promuovendo incontri di poesia e di arti tradizionali. Venuto a conoscenza del cha no yu elaborato da Murata Shukō, lo invitò a mostrargli le nuove regole cerimoniali.
Affascinato dalla nuova arte tradizionale zen, Yoshimasa divenne subito un attivo promotore della Cerimonia del tè. Per questa ragione il Ginkaku-ji è considerato, tradizionalmente, il luogo di nascita del cha no yu. Murata Shukō fu anche il primo ad accentuare l'impronta di semplicità di questa cerimonia, a cominciare dall'oggettistica, che riprende forme della stessa cultura contadina. Fu lui a ideare il chashaku (茶杓) in bambù e a ridurre la stanza del tè a quattro stuoie (tatami) e mezza, in modo da diminuire gli utensili. Fu sempre Murata Shukō a esporre dei rotoli che riportavano disegni o scritture (kakemono, 掛物) dei maestri zen all'interno della stanza e a privilegiare gli oggetti carichi di tempo rispetto a quelli di nuova fattura (concezione dello hiesabi, ひえさび).
Con la morte di Murata Shukō, avvenuta nel 1502, la pratica del chadō ebbe un arresto di alcuni decenni, determinato anche dalle feroci guerre civili. Occorre aspettare un altro monaco zen, Takeno Jōō (武野紹鴎, 1502-1555), allievo dei discepoli di Murata Shukō, Sochin e Sogo, perché lo sviluppo della cosiddetta "via del tè" riprendesse. Takeno Jōō gettò le basi della concezione wabi-cha (侘茶), studiando con Sochin e Sogo sia la poesia waka (和歌) sia la "via dell'incenso" (in giapponese 香道, Kōdō). Modificò il cha no yu eliminando gli scaffali per gli utensili e disponendo questi ultimi direttamente sui tatami e utilizzando solo legno grezzo per il tokonoma (床の間). Takeno Jōō ideò anche l'usanza di porre il ro (il focolare sopra il quale veniva poggiato il bollitore per l'acqua per il tè) direttamente nella stanza della cerimonia, ereditando questa usanza dalla cultura contadina.
Terzo grande maestro del tè fu un altro monaco zen, Sen no Rikyū (千利休, 1522-1591), che iniziò lo studio del cha no yu a diciassette anni con il maestro Kitamuki Dochin (北向道陳, 1504-1562), divenendo due anni dopo diretto discepolo di Takeno Jōō, a cui rimase vicino per i successivi quindici anni. Dal 1578 al 1582, Sen no Rikyū ricoprì l'incarico di funzionario dello shōgun (将軍) Oda Nobunaga e, dopo la morte, probabilmente per seppuku (rituale del suicidio), di questo shōgun, ricoprì lo stesso incarico per il suo successore, Toyotomi Hideyoshi.
Tra il nuovo shōgun e il maestro del tè nacque subito un rapporto di rispetto reciproco, che consentì la diffusione di questa pratica nell'ambiente dei samurai e persino presso la corte imperiale, dove nel 1585 il monaco Sōeki (宗易) (questo era il nome religioso di Sen no Rikyū, il suo precedente nome laico era Yoshirō) ottenne la possibilità di organizzare un incontro del tè. Nel 1587, sempre con l'aiuto di Toyotomi Hideyoshi, Sen no Rikyū organizzò un'importante riunione sulla Cerimonia del tè presso il Kitano Tenman-gū (北野天満宮, un tempio shintoista a Kamigyō-ku nei pressi di Kyōto), invitando centinaia di persone di ogni estrazione sociale e consentendo ai meno abbienti l'utilizzo del più economico riso tostato al posto del tè. Il grande ricevimento del 1587 fu uno degli ultimi episodi dell'amicizia tra lo shogun Hideyoshi e il maestro del tè. Da quel momento l'amicizia si incrinò e tuttora non si conoscono i veri motivi del dissapore tra i due, che si conclusero nel 1591 nel drammatico ordine dello shōgun Hideyoshi a Sen no Rikyū di compiere lo seppuku (切腹).
Tra le ragioni che all'epoca furono adombrate vi erano l'accusa, rivolta a Sen no Rikyū, di aver posto nel tempio Daitoku-ji una propria statua all'ingresso di modo che persino lo shōgun vi dovesse passare sotto. Un'altra accusa riguardava il fatto di essersi arricchito con la compravendita di oggetti per la Cerimonia del tè. Ambedue le accuse si mostrarono presto infondate e di certo lo stesso Hideyoshi ebbe motivo di ricredersi se, a distanza di due anni dal tragico evento, decise di riabilitare con tutti gli onori la famiglia di Sen no Rikyū. Toyotomi Hideyoshi nominò erede del maestro del tè da lui costretto al suicidio proprio Furuta Oribe (古田織部, o Furuta Shigenari, 古田重然, 1545-1615), l'unico degli allievi di Sen no Rikyū a rendergli pubblicamente omaggio nel momento della sua maggiore disgrazia. Lo stesso Oribe fu poi costretto al seppuku nel 1615 da un altro shōgun, Tokugawa Ieyasu (徳川 家康, 1542-1616).
Erede di Oribe fu Kobori Enshu (小堀遠州, anche Kobori Masakazu, 小堀政一, 1579-1647), che diffuse il cha no yu presso l'aristocrazia giapponese, fondando il lignaggio della scuola di cha no yu (denominata Oribe-ryū, 織部流).
L'eredità della casa di Sen no Rikyū fu assegnata invece a suo genero, Shōan Sōjun (少庵宗淳, 1546-1614), a cui seguì il figlio Genpaku Sōtan (元伯宗旦, 1578-1658). Fu Genpaku Sōtan a rivalutare l'ideale wabi della Cerimonia del tè e il suo stretto legame con lo zen del tempio Daitoku-ji, fondando le basi del cha no yu insegnato dalla famiglia Sen.
Genpaku Sōtan divise nel suo testamento i beni immobili fra tre dei suoi quattro figli, essendo il primogenito Sosetsu deceduto nel 1652. Il gruppo delle case principali della famiglia Sen fu diviso tra il terzogenito Koshin Sōsa (江岑 宗左, 1613-1672), che ebbe la parte anteriore (Fushin-an, 不審庵) e il quartogenito Sensō Soshitsu (仙叟宗室, 1622-1697) che ebbe la parte posteriore (Konnichini-an, 今日庵). Al secondogenito, Ichiō Sōshu (一翁宗守, 1593-1675), che si era allontanato dalla famiglia per un certo periodo di tempo, fu assegnata una abitazione situata su una strada vicina, Mushanokoji, denominata Kankyu-an (官休庵). Da ciascuno di questi figli di Genpaku Sōtan ebbe origine una differente scuola di cha no yu, che si affianca a quella che ha origine da Furuta Oribe (Oribe Ryū): da Koshin Sōsa ha origine la scuola Omotesenke (表千家), da Sensō Soshitsu ha origine la scuola Urasenke (裏千家) e da Ichiō Sōshu, la Mushanokōjisenke (武者小路千家). Tutte e tre le scuole sono a tutt'oggi esistenti.
La Cerimonia del tè è qualcosa che va molto al di là della semplice preparazione di una bevanda. È forse l'espressione più pura dell'estetica zen, tanto che un adagio giapponese dice: cha zen ichimi (茶禅一味), cioè "tè e zen un unico sapore.[5][6] Entrando nella stanza da una porticina bassa (nijiriguchi, 躙口) che costringe a piegarsi in segno di umiltà, l'ospite entra in uno spazio piccolo, a volte minimo, dove equilibrio e distacco dal mondo sono procurati da gesti che richiamano costantemente la presenza mentale in un ambito di naturalezza e spontaneità, in una sequenza di interazioni codificate e circondata da oggetti semplici ma di grande forza espressiva.
La stanza, detta chashitsu (茶室), può essere anche di pochi tatami, le finestre sono schermate e la luce filtra sommessa conferendo un alone di particolare fascino a ogni elemento. Da un lato c'è il tokonoma, una piccola nicchia in cui è appeso uno scritto eseguito da un calligrafo esperto di shodō e una piccola composizione simile all'ikebana (生花) particolarmente adattata alla circostanza e con grande coerenza con la stagione in corso, detta chabana (茶花), cioè "fiori per il tè". Il tokonoma ha da un lato un pilastro, detto toko-bashira (床柱),[7] formato da un palo di legno appena sgrossato,[8] a cui di solito è appeso il chabana costituito da un piccolo vaso e spesso un unico fiore, in modo che tutta l'attenzione sia attratta dalla sua bellezza.
Il particolare significato che viene attribuito al cha no yu si percepisce anche dal fatto che per indicare l'atto del preparare il tè si usa il verbo tateru, che solitamente ha il significato di "celebrare" e non il più normale suru (為る), cioè "fare" o "eseguire". Dopo che gli invitati si sono accomodati, in ordine rigorosamente precostituito, con la persona più importante (shōkyaku, 正客)[9] o particolarmente prediletta posta al primo posto, si apre la porta scorrevole (shōji 障子) e appare il teishu (亭主, "chi prepara il tè") inginocchiato in posizione seiza (正座), cioè con le punte dei piedi rivolte verso l'esterno.
Nella forma più semplice della cerimonia (usucha) essa prosegue con il posizionamento dei vari utensili e con la preparazione del tè nella tazza chawan (茶碗). Ogni commensale (cominciando da quello principale) viene invitato a consumare il dolce con la formula rituale: «okashi o dōzo» (in italiano "servitevi del dolce, prego").
Successivamente gli viene posta dinanzi la chawan. Il primo invitato si scusa col vicino e gli chiede il permesso di servirsi per primo: «osakini», prende la tazza la fa ruotare per esporre lo shōmen (正面, cioè la parte di finitura che fa da riferimento) in direzione del teishu, dopodiché beve con brevi sorsi esprimendo il suo gradimento. Poi pulisce il bordo della tazza e la posa dinanzi a sé. La tazza viene ripresa dal teishu e lavata. La cerimonia procede con gli altri ospiti, finché al termine, quando tutti hanno bevuto il tè, il primo ospite (shōkyaku) pronuncia la frase di rito: «onatsume to ochashaku no haiken o», cioè chiede il permesso di esaminare gli utensili: il contenitore del tè (natsume) e il cucchiaino di bambù (chashaku). Il permesso viene accordato e a turno gli ospiti prendono gli utensili e li osservano attentamente. Per ultima viene osservata la tazza, rigirandola tra le mani e chiedendo informazioni sul maestro che l'ha creata, l'epoca e lo stile. All'ospite poi può venir richiesto se intenda dare un nome poetico (mei) al chashaku e lui a questo punto può citare una poesia o un verso o semplicemente fare un riferimento alla stagione in corso. Molto indicati sono i kigo (季語), cioè i riferimenti stagionali contenuti nell'ultimo verso di un haiku, quindi frasi come aki no kure ("sera d'autunno") oppure momono hana ("fiori di pesco") e così via.
La cerimonia si conclude col teishu che ritorna alla posizione iniziale, si inchina profondamente all'unisono con gli ospiti e richiude la porta scorrevole. Quella descritta è la cerimonia più semplice, cioè il servizio di usucha (tè leggero), ma ve ne sono di assai più lunghe e complesse, come quella del servizio di koicha (tè denso), che richiede anche utensili diversi (chaire e kobukusa). Le varie procedure di preparazione e svolgimento sono dette temae (手前 secondo la scuola Urasenke; 点前 secondo la scuola Omotesenke).
La stanza del tè è il luogo fisico dove si svolge la cerimonia, ma è anche luogo "spirituale".[10] In essa sono stati trasfusi gli ideali dell'estetica zen. Ai concetti precedenti di yūgen (幽玄) e di sabi (寂), Sen no Rikyū evidenziò quello di wabi (侘). Se lo yūgen era l'incanto sottile, collegato al mistero e alla eleganza, impossibile da trasmettere con le parole,[11] caro agli autori del nō (soprattutto Zeami, 世阿弥 1363-1443) e il sabi,[12] la patina sottile del tempo che rende gli oggetti affascinanti e ispiratori di tranquillità e armonia, il wabi di Sen no Rikyū[13] introdusse qualcosa di eversivo: la povertà ricercata e il rifiuto assoluto dell'ostentazione. Sen no Rikyū amava lo stile semplice, cioè vedeva la stanza del tè come dimora della creatività priva di attaccamenti quindi una dimora del vuoto. Spogliata da ogni possibile orpello, con pareti grezze e praticamente priva di alcun contenuto che non fosse il vissuto libero dagli attaccamenti della vita "mondana". I personaggi che si muovono in essa sono usciti temporaneamente dal mondo e dai suoi affanni per contemplare brevemente il vuoto. Il vissuto di mu-shin (無心), cioè "non-mente",[14] quindi l'abbandonare il pensiero ruminante e giudicante per giungere a un approccio spontaneo e totalizzante con gli oggetti e le persone è rappresentato perfettamente dallo spazio racchiuso nella stanza del tè. Al vuoto materiale deve corrispondere il vuoto "mentale", inteso come vissuto di consapevolezza privo di preoccupazioni e attaccamenti mondani. Fin dall'inizio della sua istituzione nella stanza della Cerimonia del tè tutti dovevano entrare disarmati e tutti erano uguali, tutti si dovevano inginocchiare e tutti dovevano "subire" le stesse regole. È chiaro quale fosse il potere destabilizzante di questa pratica e così Sen no Rikyū fu costretto al seppuku in quanto un potere che viveva, come sempre, di ostentazione e di forme vane, si sentiva minacciato dalla forza silenziosa del maestro.
Il monaco buddista zen Sen no Rikyū è universalmente considerato il codificatore ultimo della Cerimonia del tè, dopo i grandi maestri Murata Shukō e Takeno Jōō. La Cerimonia del tè di Sen no Rikyū si fonda su quattro principi basilari a cui fanno riferimento tutti i lignaggi scolastici che proseguono gli insegnamenti di questo maestro del tè.
Elenco di brevi frasi in giapponese da utilizzare durante il cha no yu
Romanizzazione | Italiano | Uso |
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Arigatō gozaimasu | Grazie infinite | |
Chōdai itashimasu | Lo accetto umilmente | Prima di prendere il tè e nel caso di accettazione di un dono |
Dozō | Prego | |
Gomen kudasai | Mi scusi | |
Hai | Sì | |
Haiken wo | Posso vederlo? | |
Hajimemashite | Sono felice di incontrarla | All'inizio della cerimonia |
Ikaga desu ka | Come sta? | |
Itadaki masu | Lo accetto | Simile a chōdai itashimasu, ma riferito al cibo |
Kekkō desu | "Molto bene!" o anche "Ne ho avuto abbastanza" | Nel caso di un complimento o come gentile rifiuto |
Konnichiwa | Buongiorno | |
Nan desuka | Che cos'è questo? | |
Omatase shimashita | Mi perdoni per l'attesa | |
Onegai shimasu | Le chiedo umilmente | Nel caso in cui si richiede un favore |
Osakini | Mi perdoni se inizio prima di lei | È la frase che l'invitato pronuncia nei confronti di chi viene servito dopo di lui |
Oshōban itashimasu | Prendo parte alla cerimonia | Viene detto all'invitato che ci precede |
Sayōnara | Arrivederci | |
Shitsurei shimashita | "Mi perdoni" oppure "Mi scusi per la mia rudezza" |
La diffusione del principio del wabi-cha di Sen no Rikyū sconvolse anche l'arte della ceramica giapponese. Le ceramiche finissime di origine cinese furono scalzate rapidamente da quelle di apparenza rozza che incarnavano l'ideale estetico di semplicità e povertà che il maestro intendeva affermare. Tutto iniziò quando a un certo Chōjirō (長次郎, 1515-1592), operaio, forse di origine coreana addetto alla produzione di tegole, Sen no Rikyū chiese di realizzare una ciotola senza usare il tornio né la sovrapposizione a spirale di un cordone di materiale, ma semplicemente modellando la forma concava partendo da un pezzo di argilla. Chōjirō eseguì la commissione e il risultato fu talmente straordinario che Sen no Rikyū stesso giudicò la tazza perfetta sia dal punto di vista estetico, poiché l'aspetto semplice e rustico rispondeva a quell'esigenza di austerità che si prefiggeva, ma anche da un punto di vista pratico in quanto la tazza bassa e larga aveva una stabilità ideale ed era quindi adattissima per l'utilizzo sul tatami senza pericolo che i numerosi spostamenti cui era soggetta durante la cerimonia ne causassero il ribaltamento. Anche lo shōgun Toyotomi Hideyoshi fu altrettanto entusiasta e conferì al vasaio l'autorizzazione a fregiarsi, con tutti i suoi discendenti, del sigillo raku (楽焼, questo termine indica "comodo" o "maneggevole") e da allora la sua famiglia e i suoi discendenti si fregiarono di questo nome. Ancora oggi il quindicesimo e ultimo discendente dei raku, Kichizaemon (吉左衛門, 1949-) produce, come i suoi antenati, tazze di grande bellezza.
Ovviamente anche altri si cimentarono in questo tipo di produzione e così nacquero altri capolavori sempre coerenti con i principi estetici dello zen. Fra i più noti quelli di stile Mino, Seto, Shino e Bizen. Particolarissime le tazze con smalti color crema e soprattutto quelle con smalto nero. Il discepolo di Sen no Rikyū, Furuta Oribe, dette origine a una serie di pezzi straordinari per creatività e colorazione appunto noti da allora come stile Oribe. Spesso i vasai lasciavano colature di smalto o zone non coperte, imperfezioni e bolle; insomma l'ideale estetico del wabi-cha si diffuse sempre più. Malgrado le intenzioni di Sen no Rikyū, le ceramiche che dovevano esprimere il massimo dell'austerità e della povertà raggiunsero presto prezzi elevatissimi ed erano assai ricercate dalle classi più agiate. Si usava persino premiare i combattenti samurai (侍) più valorosi donando loro pezzi particolarmente pregiati o di maestri celebri. Ora molte di queste opere sono conservate nei musei possedendo un valore economico spesso incalcolabile, ma anche le opere di maestri viventi, o del recente passato, eseguite con tecniche immutate dai tempi di Sen no Rikyū, raggiungono quotazioni notevoli.
Le tre scuole principali della Cerimonia del tè giapponese, secondo lo stile wabi-cha, sono state fondate dai figli del nipote di Sen no Rikyū, Genpaku Sōtan (元伯宗旦, 1578-1658):
Il termine Senke (千家) si compone di: Sen (千, da Sen no Rikyū) e ke (家, "casa" o "famiglia") e indica quindi "Case di Sen no Rikyū".
Oltre questi tre importanti lignaggi di insegnamento, esistono in Giappone molte altre scuole che fanno riferimento al wabi-cha, alcune di dimensioni molto piccole, in questo caso si indicano come ryū (流), ovvero "stile":
Il numero di opere sull'argomento consiglia una sintesi dei testi più accessibili:
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