Struttura del benzilidene[1,3-bis(2,4,6-trimetilfenil)-2-imidazolidinilidene]dicloro(tricicloesilfosfina) rutenio, catalizzatore di Grubbs di seconda generazione utilizzato nella metatesi olefinica

La chimica metallorganica è la chimica dei composti che contengono un legame metallo-carbonio.[1] Si occupa dello studio dei metodi di sintesi e delle proprietà dei composti metallorganici (detti anche organometallici), nonché del loro utilizzo come specifici reagenti o catalizzatori.

Storia

Alcuni composti metallorganici del gruppo d e degli elementi rappresentativi furono sintetizzati e caratterizzati già nel XIX secolo. Il primo di essi fu il sale di Zeise, un complesso etilene-platino(II) preparato da William C. Zeise nel 1828.[2] Nel 1849 il chimico inglese Edward Frankland sintetizzò lo zincodietile e studiò l'applicazione dei composti zincorganici nella sintesi organica.[3] Il primo metallocarbonile, il nicheltetracarbonile, fu sintetizzato da Ludwig Mond, Carl Langer e Friedrich Quincke nel 1890.[2] Intanto, sempre verso fine secolo, Victor Grignard elaborò la sintesi di quelli che divennero i "reattivi di Grignard", alogenuri magnesiorganici molto reattivi utilizzati nella sintesi degli alcoli. Ciò gli valse nel 1912 il Premio Nobel per la chimica.

Nella prima parte del XX secolo sono i derivati organici di litio, magnesio, boro, alluminio e silicio ad essere al centro dell'attenzione. All'inizio degli anni '30 Walter Hieber sintetizzò a Monaco una varietà di cluster metallocarbonilici come [Fe4(CO)13]2-. Con lo sviluppo e affinamento di tecniche quali la diffrattometria a raggi X, la spettroscopia IR e la NMR si ebbe la nascita della moderna chimica metallorganica. La scoperta del ferrocene, Fe(C5H5)2, un capostipite delle strutture a sandwich, risale a tale periodo. I chimici Karl Waldemar Ziegler e Giulio Natta ricevono nel 1963 il premio Nobel per la scoperta di organometalli, tipo (CH3CH2)3Al complessato con cloruro di titanio (TiCl4), aventi proprietà di catalizzatori stereospecifici nella sintesi di polimeri. Nel 1968, dopo la sintesi e caratterizzazione dell'uranocene da parte dell'americano Andrew Streitweiser, U(η8-C8H8)2, fiorisce la chimica metallorganica del blocco f. Nel 1973 il tedesco Ernst Otto Fischer e l'inglese Geoffrey Wilkinson ricevono il premio Nobel per la chimica grazie ai loro studi sui composti a sandwich del blocco d. Nel 2005 Robert H. Grubbs riceve il premio Nobel grazie allo sviluppo di nuovi catalizzatori per l'utilizzo industriale della metatesi olefinica.

La possibile applicazione industriale di nuovi composti metallorganici rappresenta oggigiorno un vasto campo di studio e ricerca.

Struttura dei composti metallorganici

Un composto è considerato metallorganico se è presente almeno un legame metallo-carbonio, dove il termine "metallo" è l'accezione più ampia comprendente anche i metalli alcalini e alcalino terrosi, i metalloidi e i metalli propriamente detti. La polarità e la forza del legame M-C sono simili a quelle dei legami metallo-idrogeno ma tali composti, a causa della tendenza dei gruppi alchilici a non dare carattere fortemente ionico alla molecola, sono dei solidi preminentemente molecolari.

I metalli alcalini e alcalino terrosi tendono a dare composti ionici, berillio e magnesio formano polimeri organometallici. Gli elementi del tredicesimo gruppo originano composti molecolari carenti di elettroni e tendono a formare dimeri, quelli del quattordicesimo gruppo e del quindicesimo formano rispettivamente composti molecolari a corredo elettronico regolare e molecolari elettron-ricchi. I metalli del blocco d generalmente obbediscono alla "regola dei 16/18 elettroni" di valenza; caratteristici del blocco d sono i derivati carbonilici e i cluster contenenti legami metallo-metallo.

Nomenclatura

Sono presenti due atomi Cl, due gruppi tricicloesilfosfina -(PCy)3 e un benzilidene: il composto è denominato benzilidene-bis(tricicloesilfosfina) diclororutenio. Questo è un catalizzatore di Grubbs di prima generazione.

I composti metallorganici si denominano comunemente come derivati organici:[4] CH3Li è il litiometile, (CH3)3Al è chiamato trimetilalluminio, (CH3CH2)2Zn zincodietile ecc. I composti a carattere fortemente ionico assumono la denominazione come fossero dei sali: CH3CH2MgCl è il cloruro di etilmagnesio, (CH3)2CuLi è il litio dimetilcuprato, Na[C10H8] il naftaluro di sodio. Gli elementi del blocco p che formano dei composti con l'idrogeno possono dare organometalli spesso denominati come derivati di tali composti (ad es. trimetilborano, tetrametilsilano, trimetilarsina, trifenilfosfina).

Quando un ligando organico può legarsi all'atomo metallico centrale utilizzando contemporaneamente un numero diverso dei suoi atomi nella denominazione figura anche l'apticità η, parametro che indica il numero di atomi che si trovano a distanza di legame. Un ligando monoapto si indica come η1, uno biapto η2 ecc.

In generale, il numero di ligandi è indicato dal prefisso di-, tri-, tetra-, ecc. mentre i ligandi che utilizzano più atomi per il legame assumono i prefissi bis-, tris-, tetrakis-, ecc.; l'elemento metallico è menzionato per ultimo. I metalloceni si nominano a partire dall'elemento metallico aggiungendo la desinenza -ocene (es. ferrocene, uranocene).

Principali metodi di sintesi

Vengono di seguito elencate le principali reazioni utilizzate nella sintesi organometallica:

Principali reazioni degli organometalli

La reattività degli organometalli è molto varia e specifici composti, in relazione alle caratteristiche dei relativi orbitali molecolari e ad eventuali fattori sterici, sono suscettibili a dare peculiari reazioni che procedono in un determinato modo. Di seguito verrà data una panoramica della reattività generale.

Uso dei composti metallorganici in sintesi organica e nella catalisi industriale

L'applicazione dei composti metallorganici nella sintesi chimica come reagenti o catalizzatori specifici è un campo di ricerca molto interessante e in continua evoluzione, sia nell'ambito chimico-teorico che nell'ambito pratico della chimica industriale.

Organometalli come reagenti

Catalizzatori metallorganici

Note

  1. ^ Robert H. Crabtree, The Organometallic Chemistry of the Transition Metals, Wiley, 2005, p. 560, ISBN 978-0-471-66256-3.
  2. ^ a b Shriver, p. 501.
  3. ^ Shriver, p. 300.
  4. ^ NOMENCLATURE OF ORGANOMETALLIC COMPOUNDS OF THE TRANSITION ELEMENTS, Pure Appl. Chem., 71(8): 1557-1585, IUPAC, 1999

Bibliografia

Voci correlate

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