Il Mediterraneo intorno al IV secolo a.C. Gli insediamenti greci sono indicati in rosso.

La colonizzazione greca in Occidente è quel movimento migratorio, svoltosi a partire dal primo quarto del II millennio a.C., di popolazioni greche verso il Mediterraneo occidentale[1].

Contatti tra le popolazioni egee e il Mediterraneo occidentale vi furono già in epoca preistorica: tali contatti furono determinati dall'esigenza delle popolazioni egee di rifornirsi di materie prime (ossidiana e metalli). Già nel III millennio a.C. è attestata una stabile rete commerciale, ad esempio con l'Italia adriatica.[1]

La particolare vicenda greca nell'evo antico determinò un movimento migratorio di massa, che approfittò delle antiche rotte commerciali. Se inizialmente furono i metalli italiani e spagnoli a determinare e a consolidare le rotte, furono poi convulsioni interne al mondo greco a determinare colonizzazioni di vero e proprio popolamento, che sostituirono le precedenti stazioni commerciali.[2][3]

Parallelamente, frequentazioni egee delle coste dell'Asia minore e dell'area siro-palestinese rimontano al II millennio a.C., per giungere poi ad una forma di colonizzazione, frutto di una migrazione che, generalizzando, viene denominata "ionica", ma che comprese anche coloni di stirpe eolica e dorica, e che viene tradizionalmente fatta iniziare con la fondazione di Mileto (XI secolo a.C.).[4].

Contesto e precedenti

L'arcipelago delle Cicladi (evidenziato in rosso) e, più a sud, l'isola di Creta

Gli albori della società greca antica sono da rintracciare nella presenza di popolazioni indoeuropee nelle Cicladi ed a Creta. Gli abitanti delle Cicladi, a motivo delle ridotte dimensioni dei loro aridi territori, svilupparono una propensione alla pesca, alla pirateria e al commercio: esportavano rame, marmo, ercinite e prodotti artigianali verso Creta e verso l'Egitto. Queste attività li posero presto in concorrenza con i Fenici, un piccolo popolo semitico che aveva base nell'odierno Libano e che, posto alla periferia dei grandi imperi del Vicino oriente, aveva scelto analoghe pratiche per sopravvivere.[5]

All'inizio del II millennio a.C. è la civiltà minoica, sviluppatasi a Creta, a dominare il Mediterraneo orientale. Per alcuni aspetti, essa dipendeva dalla civiltà egizia, ma sviluppò caratteri originali, a partire dal lineare A, un sistema di scrittura del tutto autonomo. Tale civiltà era controllata da re che vivevano in grandi palazzi, gestivano tutti gli aspetti fondamentali della vita del paese (allevamento, artigianato, esportazione di beni), e probabilmente esercitavano anche la funzione sacerdotale. I Cretesi riuscirono ad imporre un vasto controllo navale sul Mar Egeo, il che consentì loro di imporre tributi alle isole minori e di orientare il commercio tra l'Occidente, da un lato, ed Egitto e Cipro, dall'altro.[6] La civiltà minoica patì una primi crisi intorno al 1600 a.C., quando l'isola fu travolta da una catastrofe, probabilmente un maremoto,[7] e poi intorno al 1400 a.C., quando fu invasa da principi guerrieri.

A partire dal 1600 a.C., un nuovo protagonismo della storia greca si affaccia nella Grecia continentale, soprattutto nel Peloponneso. È Micene (e la cosiddetta civiltà micenea) a farsi nuovo centro di potere, tanto da espandersi fino alla stessa Creta. Caratteristici della civiltà micenea sono principi-guerrieri che, protetti in regge fortificate e armati di spade di bronzo e carri da combattimento, controllano i villaggi di pescatori e artigiani assiepati attorno alle fortezze. Le imprese di questi "eroi", tra cui Agamennone, Achille e Odisseo, saranno cantate nei poemi omerici. A differenza dei signori mesopotamici, i principi micenei daranno vita a realtà statali di piccole dimensioni: sarà questa ricerca di autonomia a spingerli a farsi patroni del commercio, scambiando manufatti in ceramica per metalli e pietre preziose. I mercanti micenei giunsero fino in Sicilia, fino al Baltico e fino alle isole britanniche. Nel Mediterraneo orientale competerono con i Fenici. Caratteristiche e dimensioni delle loro organizzazioni statali rappresentano in nuce le future città-Stato greche.[7]

L'indagine archeologica attesta frequentazioni micenee nelle Isole Eolie, nelle Isole Flegree e nel Salernitano (Grotta del Pino), nella Puglia adriatica (Giovinazzo, Contrada Molinella presso Vieste e Grotta Manaccore), nella Calabria ionica, nella Sicilia meridionale (Montegrande, presso Agrigento). I Micenei si rivelano particolarmente attratti dai metalli dell'Etruria e del Lazio: le Eolie, oltre che importanti scali lungo la via verso l'Italia centrale, la Sardegna e il Mediterraneo occidentale, sono esse stesse centri di approvvigionamento (soprattutto allume e ossidiana). La cosiddetta "cultura di Capo Graziano" (Lipari e Filicudi) presenta tracce dell'influenza della ceramica micenea. Un monumento a tholos scoperto a San Calogero (isola di Lipari) sembra rinviare alla presenza di un architetto miceneo e ricorda il coevo Tesoro di Atreo (1430 a.C. ca.).[1]

Guerrieri micenei con carri da guerra e in testa elmi a zanne di cinghiale

Sull'Isola di Vivara sono state scoperte giare e tegole di ispirazione egea, oltre a gettoni fittili di natura contabile.[1]

All'apice del potere dei principi micenei (tra il XIV e il XIII secolo a.C.), vi è un'apparente intensificazione dei contatti con l'Occidente, anche se non sono state rintracciate vere basi commerciali o colonie. A questo periodo dovrebbero risalire materiali micenei, come quelli rinvenuti nelle Eolie ("cultura del Milazzese"), a Thapsos (Penisola di Magnisi), nel villaggio di Cannatello (presso Agrigento), ma anche diversi tholoi nella Sicilia centro-meridionale e l'anaktoron di Pantalica.[1]

Nella Puglia centro-settentrionale influenze micenee sono ravvisabili negli insediamenti di Punta Le Terrare e di Coppa Nevigata. Manufatti di ceramica grigia (Scoglio del Tonno, Porto Perone, Saturo, Torre Castelluccia) in passato interpretati come prodotti d'importazione, sono ora giudicati come prodotti locali di impronta egea. Un'impronta egea è ravvisata anche in altri siti (Broglio di Trebisacce e Torre Mordillo).[1]

La presenza di commercianti e di artigiani micenei in Occidente comportò ovviamente anche una influenza di verso opposto, per cui è possibile rintracciare influenze italiche in Grecia tanto in ambito metallurgico che ceramico.[1]

Intorno al 1200 a.C., la civiltà micenea viene abbattuta rovinosamente dai cosiddetti "popoli del Mare", provenienti forse dall'Europa centro-orientale. Con i principi micenei scompare anche il lineare B, un sistema di scrittura simile a quello minoico. Per cinquecento anni la Grecia rimarrà sprovvista di un sistema di scrittura.[8] Questo crollo non determinò la fine della produzione ceramica di impronta micenea in Italia.[1]

Le civiltà delle Cicladi, la minoica e la micenea vengono talvolta indicate con il nome di "civiltà egea".

La nuova società greca

L'invasione dal nord dei "popoli del mare" comporta una ristrutturazione della società greca, composta dagli apporti degli invasori e da quel che resta della cultura micenea. Altre ondate migratorie si affacciano sulla Grecia continentale, la più importante delle quali è quella dei Dori.[9]

Intorno al 1000 a.C., sono due i grandi fattori di trasformazione: si diffonde l'uso del ferro e prende avvio un movimento migratorio (composto soprattutto dagli Ioni) dalle povere realtà della Grecia continentale alle coste egee dell'Asia minore. Tale colonizzazione greca in Asia si sviluppa nell'arco di quasi trecento anni. È il vuoto di potere determinato dal crollo dell'impero ittita (abbattuto dai "popoli del mare") a rendere possibile questo movimento migratorio. Molte sono le analogie con i tipi insediativi fenici: le nuove fondazioni avvengono su promontori dotati di insenature che fungono da porti naturali. La pressione esercitata in Asia minore dai Frigi e dal Regno di Lidia determina altresì la propensione delle città greche d'Asia minore a protendersi verso il commercio marittimo e l'artigianato. Con i Fenici si instaura un rapporto di collaborazione e competizione nel contesto delle rotte commerciali tra Mediterraneo orientale e occidentale. Intorno all'VIII secolo a.C. i Greci apprenderanno dai Fenici due importanti scoperte: l'alfabeto (che è un originale apporto fenicio) e la coniazione di monete.[9]

La nuova tecnologia del ferro sta alla base dell'affermarsi di una nuova figura, quella del fabbro. A differenza degli artigiani del bronzo, i lavoratori del ferro sono indipendenti dai magazzini regi, poiché possono approvvigionarsi facilmente dei minerali del ferro, i cui giacimenti sono diffusi in tutti i Paesi che affacciano sul Mediterraneo. La lotta di questo "moderno" artigiano coincide in gran parte con la lotta per l'affermazione politica di comunità di nuovo tipo, la cui decentralizzazione rispetto a poteri centrali del re e del sacerdozio tipicamente orientali è caratteristica di fondo. Tali comunità sono caratterizzate anche dalle piccole dimensioni: una forma di commercio snello, soprattutto marittimo, consente a queste nuove realtà politiche di sopravvivere anche senza avere alle spalle un consistente apparato burocratico o un territorio vasto. È sulla base del commercio del ferro, agevolato dall'uso della moneta, che popoli piccoli come quello greco o quello fenicio riescono, nella prima metà del I millennio a.C., a imporsi sulla scena mediterranea. L'impero persiano rappresenta l'ultimo rappresentante della forma di Stato tradizionalmente orientale.[10]

La storia di Prometeo, che trafuga il fuoco al dio Zeus e lo consegna agli uomini, è la trasposizione in mito della nuova metallurgia. Tale rivoluzione viene valutata in modi opposti già tra gli antichi Greci. Secondo il poeta Esiodo, attivo all'inizio del VII secolo a.C., la nuova tecnologia rappresenta l'abbattimento di un complesso di valori che tengono l'uomo e la natura insieme, e apre ad una decadenza. Prometeo, all'opposto, è giudicato dal tragediografo Eschilo, attivo all'inizio del V secolo a.C., come vittima dell'invidia degli dèi e la metallurgia apre ad una illimitata fase di nuova potenza.[11]

Il paesaggio greco

La penisola greca e le isole egee sono territori prevalentemente aridi. La penisola è caratterizzata da alture brusche, mentre mancano bacini fluviali o pianure rilevanti. Ne deriva una cronica insufficienza alimentare ed una difficoltà nelle comunicazioni interne, che è anche un ostacolo diretto ad ogni intento di unificazione politica. Di qui la tensione dei Greci verso il mare: tutte le città greche, con le notevoli eccezioni di Tebe e Sparta, sono città portuali, com'è il caso di Atene e Corinto sulla penisola, di Mileto ed Efeso in Asia minore, o delle isole di Samo e Chio (poco distanti dalle coste anatoliche).[12]

L'Occidente nell'immaginario greco

La cosiddetta "coppa di Nestore", di stile tardogeometrico e proveniente da Pithecusa, potrebbe contenere un riferimento alle vicende di Nestore, uno dei reduci della Guerra di Troia

Prima di colonizzare l'Occidente, quella parte di mondo era, nella percezione greca, avvolta in un alone di mito. In Occidente i Greci collocarono molte delle vicende tramandate sul ritorno dalla Guerra di Troia (Odisseo, Diomede, Filottete, Nestore) e molte località d'Occidente, poi colonizzate, vengono mitizzate: Scilla e Cariddi abitano lo stretto di Messina; in Sicilia sono posti i buoi del Sole, i Ciclopi e i Lestrigoni; nel Golfo di Napoli gli scogli delle sirene; l'Etna è la fucina di Efesto. In Occidente sono collocate anche alcune imprese di Diomede ed Antenore (in Adriatico), di Eracle di ritorno da Eritea e ad Eracle è attribuita la fondazione di un santuario di Hera Lacinia presso Crotone, per espiare l'uccisione dell'eroe eponimo (Crotone, figlio di Eaco); alla saga degli Argonauti è legata la fondazione di un santuario a Hera alla foce del fiume Sele, in Campania; di Minosse si dice sia stato ucciso da Cocalo in Sicilia, dove si era recato per dare la caccia a Dedalo.[1][13]

«Il mito contribuiva a spiegare così la scoperta delle terre dell’Occidente e il loro inserimento nell'immaginario e nel mondo culturale dei Greci, che per rappresentarsi una realtà prima sconosciuta e darle un posto nella loro visione ordinata del mondo attribuivano origini greche alle popolazioni indigene.»

Adeguata collocazione mitica ottiene anche Tartesso, emporio già frequentato dai Fenici e menzionato anche nella Bibbia, e in cui i Greci acquistavano argento, ambra e stagno, che vi giungevano fin dal Nord Europa. E la stessa Etruria, anch'essa fonte di approvvigionamento di minerali, veniva connessa da Esiodo (Teogonia, 1011-1016) alla genealogia greca, con Agrio e Latino, mitici primi re rispettivamente di Alba Longa e di Lavinio, indicati come figli di Odisseo e della maga Circe. E le "isole sacre" (τῆλε μυχῷ νήσων ἱεράων) citate da Esiodo sarebbero l'Elba e le altre isole dell'arcipelago toscano.[1][13] Esistono poi tradizioni che attribuiscono origini arcadi agli antichi abitanti del Lazio (come l'Evandro ricordato nell'Eneide) o ad alcuni popoli italici, come gli Enotri e gli Iapigi[1].

La colonizzazione in età storica

La precolonizzazione

A partire dall'XI secolo a.C. sembrano diradarsi i contatti dei Greci con l'Occidente, fino a forse scomparire del tutto.[14]

Ha preso sempre più piede tra gli studiosi l'idea che, prima del periodo delle colonizzazioni vere e proprie, vi sia stata una fase, detta di "precolonizzazione", condotta non da spedizioni organizzate dalle metropoleis, ma da singoli esploratori e mercanti recatisi in Occidente.[15] Tale fase di precolonizzazione può essere datata tra la fine del IX e gli inizi dell'VIII secolo a.C. A testimoniare di questi nuovi contatti sono ceramiche di tardo stile geometrico di provenienza euboica, cicladica e corinzia, cui corrispondono imitazioni indigene.[1]

Sarebbe stato in questa secolare fase di avvicinamento ed esplorazione dell'Occidente che i Greci diedero corpo ad una serie di descrizioni di un mondo nuovo, anche se limitate alle coste. Man mano che i Greci presero a conoscere meglio venti e rotte verso l'Occidente, avviarono una fase insediamentale: si tratta inizialmente di meri empori, non di città, certo non autonomi dalla madrepatria e dipendenti, per quanto riguarda la sussistenza, dalle popolazioni locali, che appartenevano, in quell'epoca, all'orizzonte dell'età del ferro.[1][16]

Com'è possibile ricavare dai processi evolutivi delle comunità indigene prossime alla costa, appare rafforzata la tesi secondo cui i Greci prediligessero la navigazione di cabotaggio.[17]

Le fondazioni

Le colonie di Magna Grecia e Sicilia: le fondazioni campane, lucane e della Sicilia nordorientali sono ioniche, quelle pugliesi e della Sicilia meridionali doriche; l'origine dei fondatori di Locri Epizefirii è dibattuta; le restanti fondazioni sono di coloni greci provenienti dall'Acaia.
In rosso sono evidenziate le colonie greche in Italia, Dalmazia, Albania e Francia

È possibile riscontrare un preciso criterio nella scelta dei luoghi da colonizzare da parte dei Greci: innanzitutto, si cerca di installarsi in quelle aree dove è possibile incontrare minore concorrenza (sostanzialmente relativa alle colonie commerciali fenicie, che hanno in Cartagine, fondata intorno alla fine del IX secolo a.C., il centro dominante).[18] Sono inoltre evitate le zone collinari o montuose e soprattutto non si cerca di mettere insieme una continuità di dominio, tanto che la colonizzazione avviene a macchia di leopardo e solo sulle coste, e ciò nonostante l'evidente superiorità tecnologica e militare dei Greci sulle popolazioni indigene. Né si cercano le pianure più vaste: si prediligono piuttosto ristretti bacini prossimi alla costa.[19] È possibile immaginare che alla base di questo tipo di approccio abbia contato la precedente esperienza della polis originaria, in cui il paesaggio della campagna non è sottomesso, ma integrato al contesto urbano. La colonizzazione d'Occidente esporta dunque un concetto di polis che non è solo da intendersi come istituto giuridico, politico e militare, ma anche forma di popolamento. I bacini circoscritti, con i loro terreni argillosi e sabbiosi, soddisfacevano l'esigenza dei Greci di esportare le coltivazioni tradizionali: cereali, olio e vite. I territori dell'interno, più difficili da coltivare, vennero lasciati alle popolazioni indigene.[20]

Già verso la fine del VII secolo a.C., quando la fase di espansione coloniale è prossima a concludersi, i Greci, se da tempo avevano compreso che la Sicilia è un'isola, non avevano ancora potuto verificare che l'Italia è una penisola. Che la conoscenza di Italia e Sicilia fosse tra i Greci limitata alle coste è anche il risultato del fatto che la colonizzazione non condusse ad un sistematico interesse alla creazione di una rete stradale: le comunicazioni tra le diverse colonie avvenivano fondamentalmente via mare. È nella seconda metà del VII secolo a.C. che i Greci, in cerca di sbocchi commerciali, diedero vita a diverse subcolonie nel basso Tirreno: ciò concorse alla completa ellenizzazione dell'Italia meridionale (fondazione di Laos, Poseidonia, Medma e Metauro) e ad una forma di controllo più intensa.[21]

Cronologia della colonizzazione greca d'Occidente

VIII secolo a.C.

VII secolo a.C.

VI secolo a.C.

V secolo a.C.

La Sicilia sudorientale nel V secolo a.C.
Tetradracma di Messana (Messina), 461-396 a.C. circa
Moneta di Ankón (Ancona)
Le colonie greche in Adriatico

IV secolo a.C.

III secolo a.C.

Note

  1. ^ a b c d e f g h i j k l m n Laura Buccino, I caratteri generali della colonizzazione greca in Occidente, in Il Mondo dell'Archeologia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2004. URL consultato il 29 marzo 2016.
  2. ^ Finley, pp. 25-26.
  3. ^ Braccesi e Millino, p. 15.
  4. ^ Laura Buccino, I Greci in Asia, in Il Mondo dell'Archeologia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2004. URL consultato il 29 marzo 2016.
  5. ^ Vegetti, pp. 96 e 102-103.
  6. ^ Vegetti, p. 103.
  7. ^ a b Vegetti, p. 108.
  8. ^ Vegetti, pp. 108-109.
  9. ^ a b Vegetti, p. 109.
  10. ^ Vegetti, p. 112.
  11. ^ Vegetti, p. 113.
  12. ^ Vegetti, p. 117.
  13. ^ a b Braccesi e Millino, p. 14.
  14. ^ Brancaccio, p. 13.
  15. ^ Brancaccio, p. 10.
  16. ^ Brancaccio, p. 11.
  17. ^ Brancaccio, p. 12.
  18. ^ Moscati, p. 17.
  19. ^ Brancaccio, p. 14.
  20. ^ Brancaccio, p. 15.
  21. ^ Brancaccio, p. 16.
  22. ^ a b Moscati, p. 18.
  23. ^ Vegetti, p. 167.
  24. ^ Simeone Gliubich, Faria Cittavecchia e non Lesina, Pietro Hektorović cittavecchiano e non lesignano, Zagabria 1873.
  25. ^ Lorenzo Braccesi, Grecità adriatica: un capitolo della colonizzazione greca in Occidente, Pàtron, 1977 (pagina 186)
  26. ^ a b [1]

Bibliografia

Voci correlate