Donato Carretta (Lavello, 9 febbraio 1891[senza fonte] – Roma, 18 settembre 1944) è stato un funzionario italiano, direttore della Colonia Penale dell'Asinara negli anni trenta e in seguito del carcere di Regina Coeli fino alla liberazione di Roma, noto per essere stato linciato durante il processo all'ex questore della città Pietro Caruso.
Lo stesso argomento in dettaglio: Processo a Pietro Caruso.
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Il 18 settembre 1944 a Roma alle 9 del mattino doveva aprirsi il processo a carico di Pietro Caruso, ex questore della capitale, e di Roberto Occhetto, suo segretario, entrambi accusati di corresponsabilità in decine di omicidi perpetrati dai repubblichini e della compilazione, insieme all'Obersturmbannführer Herbert Kappler e del Ministro degli interni Guido Buffarini Guidi, della lista di persone destinate ad essere uccise nell'eccidio delle Fosse Ardeatine.
Prima dell'apertura del tribunale una folla, tra cui molti parenti delle vittime, torturate o trucidate prima della liberazione di Roma, premeva sull'esiguo cordone di forze dell'ordine a presidio dell'edificio. Il cordone non riuscì a contenere la massa di persone che si riversò all'interno al grido di "morte a Caruso", ma l'ex questore non era ancora presente in aula, trovandosi, ancora convalescente a causa delle ferite riportate nell'incidente con la sua automobile, avvenuto durante la sua cattura, in una branda collocata in una stanza secondaria.
Comparso in aula in qualità di testimone per l'accusa contro Caruso, Carretta venne riconosciuto da alcune persone presenti e additato come responsabile della morte di persone detenute all'interno del carcere; egli tuttavia, secondo un attestato fornitogli anche da Pietro Nenni, aveva, nell'imminenza della liberazione, scarcerato, allo scopo di evitare possibili rappresaglie da parte di tedeschi e fascisti, tutti i detenuti, collaborando anche con il Comitato di Liberazione Nazionale[1].
Carretta venne assalito e a nulla valsero i tentativi di fermare la folla da parte di due ufficiali di collegamento alleati, il colonnello inglese John Pollock e il tenente statunitense Atkinson. I carabinieri presenti riuscirono brevemente a sottrarlo alla furia e a farlo salire su di una automobile, che tuttavia venne circondata dalla folla. Carretta venne trascinato sopra le rotaie della linea tramviaria per farlo investire, ma il conducente, mostrando alla folla la tessera del Partito Comunista Italiano, si rifiutò di fare partire la macchina. Mentre gruppi di persone cercavano di spingere il tram a braccia, il conducente bloccò i freni, allontanandosi con la manovella in tasca[2].
Carretta venne gettato nel Tevere, dove tentò ancora di salvarsi aggrappandosi dapprima a uno steccato, da cui venne fatto staccare, e successivamente a una barca, dalla quale venne ancora colpito con un remo, prima di morire. Il cadavere venne successivamente recuperato e appeso alle sbarre di una finestra del carcere di Regina Coeli dove venne visto dalla moglie, salvata a stento anche lei dal linciaggio, e solo allora la folla si disperse[3]. Solo alcuni dei responsabili del linciaggio furono poi condannati, in un processo che ebbe luogo nel 1946[4].