Edipo re
Tragedia
La peste di Tebe di Charles Francois Jalabert
AutoreSofocle
Titolo originaleΟἰδίπoυς τύραννoς
Lingua originaleGreco antico
AmbientazioneTebe, Grecia, davanti al palazzo di Edipo
Prima assoluta430-420 a.C. circa[1]
Teatro di Dioniso, Atene
Personaggi
Riduzioni cinematograficheEdipo re, di Giuseppe De Liguoro (1910)

Edipo re, di Pier Paolo Pasolini (1967)

 

«Questo giorno ti darà la vita e ti distruggerà»

Edipo re (in greco antico: Οἰδίπoυς τύραννoς?, Oidípūs týrannos) è una tragedia di Sofocle, ritenuta il suo capolavoro nonché il più paradigmatico esempio dei meccanismi della tragedia greca.

La data esatta di rappresentazione è ignota ma si ipotizza che possa collocarsi al centro dell'attività artistica del tragediografo (430-420 a.C. circa)[1].

Trama

L'opera si inserisce nel cosiddetto ciclo tebano, ossia la storia in chiave mitologica della città di Tebe, e narra come Edipo, re carismatico e amato dal suo popolo, nel breve volgere di un solo giorno venga a conoscere l'orrenda verità sul suo passato: senza saperlo ha infatti ucciso il proprio padre per poi generare figli con la propria madre. Sconvolto da queste rivelazioni, che fanno di lui un uomo maledetto dagli dei, Edipo reagisce accecandosi, perde il titolo di re di Tebe e chiede di andare in esilio.

L’attore Albert Greiner interpreta Edipo (1896)
Edipo bambino viene nutrito da un pastore (scultura di Antoine-Denis Chaudet, 1810, Museo del Louvre)

Commento

La fragilità dell'esperienza umana

All'inizio della vicenda Edipo è un re carismatico e amato dal suo popolo cui era stato offerto il trono di Tebe perché, rispondendo correttamente all'enigma posto dalla Sfinge, aveva liberato la città da quel terribile mostro. Eppure basta un solo giorno perché questo re al culmine della propria fortuna si scopra assassino incestuoso, perdendo in questo modo non solo la stima altrui ma anche la propria. In questi termini l'Edipo re tratta della fragilità dell'esperienza umana, che può passare, in breve tempo, dal massimo dello splendore alla più abissale delle abiezioni.

Volontà divina e responsabilità individuale

Edipo è un personaggio maledetto, infatti ogni suo tentativo di evitare l'avveramento della profezia risulta vano: l'opera presenta dunque un'etica basata non sull'intenzionalità, ma sulla cecità del fato e sull'inesorabilità del castigo che colpisce Edipo a prescindere dal fatto che questi abbia una qualche responsabilità (e in questo consiste, in effetti, l'aspetto più propriamente tragico della vicenda). Viene insomma sviluppato il tema del conflitto tra predestinazione e libertà, tra volontà divina e responsabilità individuale.

Nella Atene del V secolo a.C. era ormai pacifico che una persona dovesse essere chiamata a rispondere solo per gli atti compiuti volontariamente[5] e per questo motivo la vicenda di Edipo doveva già allora apparire agli spettatori come proiettata in un lontano passato, primitivo e inquietante, simboleggiato anche dalla presenza della Sfinge, mostro terribile nella sua ambivalenza di devastazione e saggezza. La storia può essere schematizzata nel seguente modo:

  1. Una cultura magica ma allo stesso tempo, primitiva (coincidente con la storia personale del protagonista), fa da sfondo ad una cultura più moderna e razionalistica (il comportamento del protagonista nel presente, sovrano illuminato e giusto verso il popolo e desideroso di conoscere le proprie origini).
  2. La cultura razionalistica viene a contatto con quella magico-primitiva e ne resta succube.
  3. La cultura razionalistica si pone in termini di opposizione con quella magico-primitiva determinando una situazione di stallo, con un messaggio, alla fine dell'opera, che è in effetti un non-messaggio privo di soluzioni.

La tragicità del conoscere

Edipo appare, nel corso di tutta l'opera, fermamente determinato a conoscere la propria identità e non arretra nemmeno di fronte alla possibilità che la scoperta delle proprie origini possa apparire come qualcosa di terribile. Numerosi personaggi tentano di dissuaderlo (Tiresia, Giocasta, il servo di Laio) perché sanno o hanno intuito la verità, ma Edipo decide di andare avanti comunque: intende esplorare gli aspetti più pericolosi della propria natura senza reticenze e senza seppellire gli inquietanti sospetti sotto una cortina di timoroso silenzio. Il protagonista appare dunque come l'eroe dell'intelligenza umana, tesa verso la verità a dispetto dei tabù ancestrali che vorrebbero fermarla.

Questa sua caratteristica può però essere vista anche in negativo, come hýbris, ossia come la tracotanza di chi non accetta i propri limiti e, nel voler indagare troppo oltre la propria natura umana, finisce per essere punito tramite la scoperta di una realtà così tremenda da risultare inaccettabile. È significativo che di fronte alla verità Edipo scelga di accecarsi, come estremo atto di rifiuto per ciò che ha visto o forse come una sorta di contrappasso per aver voluto guardare là dove non avrebbe dovuto. L'interpretazione di questo atto è riscontrabile già nel dialogo tra Tiresia e Edipo, il quale aveva rinfacciato all'indovino la sua cecità, ma laddove egli attraverso la cecità riesce a vedere il vero, Edipo attraverso gli occhi riesce solo a vedere una realtà illusoria e falsa. La verità stessa si identifica con la luce di Febo, la quale però non si configura come qualcosa che illumina, che indica con chiarezza la realtà dei fatti, ma si prefigura come una lama obliqua che sgorga da lontano, come una ferita che brucia.

La Sfinge (scultura di Lanuvio, 130 a.C. circa, British Museum)

L'elogio di Aristotele

Nella Poetica Aristotele afferma che la situazione più adatta alla tragedia greca è quella di un uomo che non abbia qualità fuori dal comune né per virtù né per giustizia e che si ritrovi a passare da una condizione di felicità ad una di infelicità non per colpa della propria malvagità ma a causa di un errore.[6] Questo mutamento può avvenire a causa di una peripezia oppure di un'agnizione (riconoscimento); nei casi migliori, vi sono entrambi.[7] Questo, come riconosce Aristotele stesso, è proprio il caso dell'Edipo re, che in questo modo rappresenta uno degli esempi più paradigmatici dei meccanismi di funzionamento della tragedia greca.

L'interpretazione psicoanalitica

Lo stesso argomento in dettaglio: Complesso di Edipo.

L'Edipo re viene citato a proposito di uno dei più importanti concetti elaborati dallo psicoanalista Sigmund Freud, denominato complesso di Edipo. Esso descrive le pulsioni, anche di tipo sessuale, di ogni maschio nei confronti della madre, in particolare in età infantile, e può essere descritto come un desiderio di possesso esclusivo nei confronti del genitore dell'altro sesso, accompagnato conseguentemente dal desiderio di morte e di sostituzione del genitore dello stesso sesso. Per quanto riguarda le donne, è stato elaborato il concetto parallelo di complesso di Elettra.

Note

  1. ^ a b Di Benedetto-Medda, p. 101. Tale datazione viene spiegata, oltre che da motivazioni stilistiche, dal fatto che la peste che coglie Tebe all’inizio della storia potrebbe fare riferimento all’epidemia che effettivamente colpì Atene nel 430 a.C. Inoltre lo studioso Dario Del Corno (Sofocle, Edipo re – Edipo a Colono – Antigone, pag. 26, vedi Bibliografia) afferma che il v. 27 degli Acarnesi di Aristofane, del 425 a.C., sarebbe una parodia di un verso dell'Edipo re, e che quindi la tragedia sofoclea sarebbe anteriore a tale data. Si tratta però di ipotesi incerta, non riportata dalla maggior parte degli altri studiosi. Altri autori datano invece l'opera al 411 a.C., ritenendo che nel secondo stasimo si faccia riferimento alla polemica di Anassagora contro gli oracoli e che la hybris citata si riferisca al comportamento privo di scrupoli di Alcibiade. Vedi Carlo Diano ("Edipo figlio della Tyche", Vicenza 1968, pagg. 155 sgg.) e Oddone Longo ("Edipo Re", Firenze 1970, pagg. 13-17).
  2. ^ Questo stasimo ha senza dubbio un significato che va al di là della mera storia di Edipo: tramite esso Sofocle intende ammonire i suoi concittadini ateniesi a non tenere comportamenti che potrebbero rischiare di compromettere la vita democratica della città.
  3. ^ Si tratta di un'esultanza assai effimera, che serve a fare da contraltare all'orrore che si scatenerà di lì a poco, quando Edipo scoprirà definitivamente le proprie origini.
  4. ^ v. 1183
  5. ^ Per una trattazione estesa del concetto di colpa e responsabilità nella Grecia antica, vedi E. Cantarella, "Sopporta, cuore..." La scelta di Ulisse, Laterza, 2010. ISBN 978-88-420-9244-5
  6. ^ Aristotele, Poetica, 1452b.
  7. ^ Ivi, 1452a.

Bibliografia

Voci correlate

Edipo e la Sfinge (coppa attica del V secolo a.C., Musei Vaticani)

Mitologia

Poemi epici

Teatro

Altre tragedie greche del ciclo tebano

Musica

Altri progetti

Controllo di autoritàVIAF (EN274548550 · BAV 492/8292 · LCCN (ENn81058154 · GND (DE4122542-9 · BNE (ESXX3383612 (data) · BNF (FRcb122068980 (data) · J9U (ENHE987007594996905171 · NSK (HR000731795 · NDL (ENJA00627040