L'ego-storia è un lemma con variante grafica ego storia [1], derivato dal francese égo-histoire, che esprime il concetto storiografico letterario [2] riguardante l'autobiografia compilata secondo criteri rigidamente storici con riferimenti a dati oggettivi e impersonali secondo il metodo della storiografia quantitativa [3]
Un esempio di ego-storia è quello lasciato dall'opera Apologia della storia o mestiere di storico di Marc Bloch:
«A fare di quel testo un libro pieno di vita era certamente la generosità con cui Bloch, ucciso dalla Gestapo nel giugno del 1944, apriva al lettore il suo atelier di storico, mostrava i suoi strumenti di lavoro, definiva i suoi riferimenti e li collegava al suo vissuto personale. Facendo dunque, si direbbe oggi, ego-storia [4]»
Negli anni '80 sette importanti storici su invito di Pierre Nora, teorico della Nouvelle Histoire, si cimentarono nella composizione di un'opera che raccogliesse le loro autobiografie nella forma di ego-storie:
«Sono nati così gli Essais d’égo-histoires. Il risultato di questo lavoro collettivo non è stato dei più soddisfacenti ma, quindici anni dopo, l’espressione «ego-storie», rimane preziosa e ancora di attualità. E mi sembra che potrebbe essere usata per definire tutta la categoria, ormai pletorica, degli scritti coniugati alla prima persona. [5].»
Sulla pratica dell'ego-storia e sulla sua validità storiografica per le autobiografie vengono indicate dallo storico Gian Paolo Romagnani una serie di noti studiosi:
«In questo senso credo che sia una buona pratica quell’«ego-storia», inaugurata in Francia da Philippe Ariès con Un historien du dimanche [6] , ripresa con le memorie autobiografiche di Emmanuel Le Roy Ladurie, Pierre Goubert e Jacques Le Goff [7], o con il dialogo franco-americano fra Denis Crouzet e Natalie Zemon Davis [8], ma definita come categoria storiografico-letteraria da Pierre Nora [9] in un volume del 1987 e felicemente proseguita in Italia con alcuni articoli su Belfagor («Minima personalia») [10] con il citato volume di Angelo d’Orsi e da ultimo con una bella intervista di Roberto Bizzocchi sul «Giornale di storia» on-line, diretto da Marina Caffiero.[11]»