Per guarigione delle ferite si intende un complesso processo biologico finalizzato al riempimento della soluzione di continuo rappresentata dalla ferita con una struttura definitiva di natura connettivale, la cicatrice. Anche se di solito è riferito a quelle cutanee riguarda le ferite di tutti i tessuti biologici.

Per ferita si intende una lesione di continuo delle strutture molli del corpo prodotta da un agente vulnerante. Essendo, almeno nel caso dei tegumenti, immediatamente evidente, consente di stabilire con facilità il nesso tra causa ed effetto ed è ragionevole supporre che fu la prima ad essere conosciuta dall'uomo come entità patologica e la prima per la quale i nostri antenati dovettero inventarsi una cura.

Guarigione di abrasione della mano...
...a distanza di giorni.
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Storia

Galeno e Ippocrate in un dipinto del XII sec. (Cattedrale di Anagni)

Furono prima manovre istintive come la compressione che arrestava il sanguinamento, o l'applicazione di sostanze fredde che riduceva il gonfiore e il dolore. Poi fu l'esperienza a insegnare che detergendo le ferite diminuivano i rischi che andasse incontro a infezione o della ben più temibile gangrena (che saranno definite ed inquadrate nosologicamente solo nel XIX secolo) e che i risultati erano ancora migliori se le lesioni venivano ricoperte con impacchi a base di muschio o foglie ammuffite (per la presenza di penicillina) e infine che l'accostamento dei lembi, la sutura, ne agevolava il processo di guarigione.

Un bagaglio di nozioni che, tramandate ed arricchitesi di generazione in generazione, furono impiegate per millenni nella cura delle malattie. Si trattava di una terapia empirica e quindi basata solo sull'esperienza, ma che diede ottimi risultati, specialmente in campo chirurgico. L'osservazione e la pratica, infatti, arricchivano in modo particolare il chirurgo (dal greco χείρ, χειρός, mano ed ἔργον, lavoro: cheiregon, colui che lavora con le mani), permettendogli di sopperire con la manualità alla povertà delle conoscenze scientifiche.

Ma se ciò era sufficiente sotto l'aspetto tecnico, come testimonia il fatto che presso tutte le grandi civiltà antiche troviamo tracce del trattamento operatorio riservato alle ferite e alle malattie di pertinenza chirurgica con metodi che ci appaiono sorprendentemente attuali, non riusciva a risolvere i due grandi problemi che limitavano drammaticamente la chirurgia: il dolore e l'infezione.

Così da una parte si conoscevano perfettamente le tecniche di sutura o emostatiche ed erano possibili operazioni anche complesse quali quelle per ernia o di litotomia, ma di contro erano assolutamente insufficienti il controllo del dolore, che limitava drasticamente il ricorso agli interventi, e soprattutto di una complicazione subdola e letale come l'infezione.

È vero che fino alla fine del XX secolo, agli studi di Louis Pasteur e di Robert Koch, fu impossibile inquadrare questo evento patologico ma occorre ricordare che nel corso dei millenni vi furono alcune geniali intuizioni riguardanti la natura dell'infezione, come quella di Girolamo Fracastoro nel XVI secolo, che furono ignorate dai contemporanei o peggio, come nel caso di Ignác Fülöp Semmelweis alla fine del 1800, che furono oggetto di critiche violente da parte dello stesso mondo scientifico ed accademico. Nel caso di Semmelweis, che impose ai suoi collaboratori la pratica di lavarsi accuratamente le mani con cloruro di calcio prima di accedere alle corsie, si trattava di un semplice atto di profilassi più che curativo (risale solo a pochi lustri la scoperta della penicillina da parte di Alexander Fleming nel 1928 e la possibilità di domare l'infezione) ma in grado di far calare in modo drammatico il numero di decessi per febbre puerperale, con risultati quindi evidenti. Ma che non furono capiti o peggio riconosciuti, come tante altre volte era già successo per situazioni analoghe nel corso dei secoli, con conseguenze disastrose. Si pensi alle morti dovute alle ricorrenti pandemie che hanno flagellato la Terra o alle infinite vittime delle ferite, spesso non direttamente mortali ma diventate tali per la sopraggiunta infezione, inferte sui campi di battaglia nel corso degli ininterrotti eventi bellici che hanno segnato la storia dell'Umanità.

Ippocrate, considerato il padre della medicina, per spiegare la malattia, elaborò una teoria detta Teoria umorale perché basata sul principio che nell'organismo fossero presenti, in perfetta armonia, quattro umori o fluidi: sangue, flemma, bile gialla, bile nera. La malattia nasceva dallo squilibrio creato dal prevalere di uno di essi. Lo scopo del medico era quello di aiutare la forza medicatrice della natura mediante la somministrazione di blandi rimedi capaci di provocare l'eliminazione della sostanza eccedente. Per il trattamento delle ferite il medico greco consigliava che venissero accuratamente deterse e quindi fasciate con bende pulite.

Cinque secoli più tardi Galeno, famoso medico di Pergamo che esercitò a Roma, riprese la teoria ippocratica rielaborandola. Individuò la sostanza in eccesso, causa della malattia, in una materia peccans che andava prontamente eliminata. A questo fine il medico doveva intervenire mediante la somministrazione di emetici e purganti o la pratica dei clisteri e dei salassi. Le teorie galeniche, ancor più che quelle ippocratiche, assurgendo a dignità di vero e proprio dogma rappresentarono l'essenza della scienza medica per oltre un millennio, almeno fino al 1500, ostacolando di fatto lo sviluppo delle conoscenze. Per principio tutto ciò che era in contrasto con le tesi del medico romano, o con quanto si riteneva avesse sostenuto Galeno era ritenuto errato, come dimostra appunto il trattamento riservato alle ferite che fu oggetto di una singolare interpretazione durante l'alto medioevo, all'epoca in cui con la nascita delle Università, riprese vigore, dopo alcuni secoli di oblio, sia l'insegnamento che la pratica della chirurgia.

Galeno aveva notato che le ferite complicate da suppurazione avevano una prognosi molto più favorevole rispetto a quelle che andavano incontro a putrefazione. Non solo, ma che il loro quadro clinico migliorava palesemente non appena il pus veniva espulso.

Coerentemente con le sue teorie identificò il pus con la materia peccans da eliminare e il noto aforisma che sarà coniato: ibi pus ibi evacua (dove è presente il pus lì è necessario farlo uscire) testimonia quello fu il cardine terapeutico del trattamento delle ferite da parte del medico romano. Lo stesso che viene applicato anche oggi con la differenza che noi sappiamo che la suppurazione è un evento negativo in quanto manifestazione di una infezione mentre Galeno la riteneva un evento auspicabile, e come tale il pus sarà definito bonum et laudabile, perché favorevole alla guarigione.

Al di là degli aspetti teorici il metodo galenico di detergere le ferite e di mantenerle pulite lavandole con vino o aceto era certamente efficace e possiamo immaginare che produsse ottimi risultati. Eppure, anche in questo caso, il metodo fu prima dimenticato, a causa dei grandi sovvertimenti sociali del basso medioevo, e successivamente fu alla base di un grosso equivoco.

I grandi chirurghi medioevali come Rogerio Frugardi Maestro della Scuola Medica Salernitana o Guy de Chauliac capostipite della scuola chirurgica francese, ma anche Abulcasis, massima espressione della chirurgia islamica, imbevuti della cultura ippocratica e galenica interpreteranno in maniera singolare le teorie di quest'ultimo riguardanti il trattamento delle ferite.

Sosterranno infatti, citando erroneamente Galeno, che le ferite possono guarire soltanto se vanno incontro alla suppurazione che pertanto va favorita. A tale scopo tratteranno queste lesioni versandovi sopra sostanze caustiche o olio bollente e utilizzando il cauterio, un ferro arroventato, per ottenere rapidamente l'emostasi e per provocare ampie aree di necrosi tissutale capaci di favorire l'auspicata suppurazione.

Le conseguenze di questo trattamento furono assolutamente devastanti quando si pensi che sui trattati di chirurgia scritti da Frugardi, Guy de Chauliac ed Abulcasis si formarono intere generazioni di studenti, per almeno tre secoli.

Occorre precisare che non furono poche le voci di dissenso. Ugo de' Borgognoni e suo figlio Teodorico all'Università di Bologna ed il loro allievo Henri de Mondeville a Parigi sostennero che per il trattamento delle ferite era preferibile il metodo secco che prevedeva la loro costante pulizia in modo da tenerle asciutte, piuttosto che quello umido che ne favoriva l'ascessualizzazione. Il loro metodo certamente avrà dato risultati di gran lunga superiori rispetto all'altro ma la forza della tradizione galenica, peraltro fortemente sostenuta dalla Chiesa, e le abitudini consolidate contrastarono e ritardarono quelle scoperte che avrebbero potuto cambiare la storia dell'umanità. Sarebbero passati quasi sette secoli prima che Ignaz Philipp Semmelweis e Joseph Lister considerati i padri dell'Asepsi, dessero ragione ai sostenitori del trattamento secco delle ferite, metodo efficace ma evidentemente soccombente rispetto al dogma galenico.

Modalità di guarigione

Ferita suturata: guarigione per prima intenzione

Le ferite possono andare incontro a guarigione con tre modalità differenti:

Processo di guarigione

Consiste in una serie di eventi finalizzati alla neo formazione di un tessuto di natura connettivale, quindi diverso da quello originario, la cicatrice, avente la funzione di riempire la perdita di sostanza rappresentata dalla ferita. Il processo avviene per fasi distinte, ma che in alcuni momenti possono sovrapporsi, precedute da una fase preliminare emostatica.

Il processo descritto è tipico delle guarigioni per prima intenzione. Nelle altre, quelle per seconda intenzione, le fasi, ben evidenti ad occhio nudo, sono analoghe ma i tempi risultano allungati e gli esiti, sotto l'aspetto estetico, spesso non soddisfacenti.

Fattori che influenzano la guarigione delle ferite

Sul processo di guarigione delle ferite possono incidere negativamente alcuni fattori locali e altri generali.

Fattori locali:

Fattori generali:

Anomalie del processo di guarigione

Cheloide

Dal punto di vista estetico ogni cicatrice, grazie alla fase di maturazione, migliora il proprio aspetto col passare del tempo fino a diventare quasi invisibile anche se spesso continua ad essere vissuta come un inestetismo più o meno grave. In alcune circostanze tuttavia gli esiti possono essere obiettivamente deturpanti. Ne sono responsabili soprattutto le ferite che guariscono per seconda intenzione, come quelle lacero contuse o le ustioni, ma anche le incisioni chirurgiche andate incontro a una deiscenza parziale o totale. Per queste ultime inevitabilmente viene chiamato in causa il chirurgo. Occorre precisare che indubbiamente alcuni errori di tecnica operatoria o l'utilizzo di materiali di sutura inadatti o impropri possono essere causa di anomalie nel processo di guarigione di una ferita, ma la responsabilità maggiore va ricercata in altre cause: un inquinamento del sito chirurgico, la natura della patologia operata (altra cosa è un intervento pulito per ernia, altra un intervento sporco per appendicite purulenta), le condizioni generali dell'organismo (diabete, disprotidemie, malattia neoplastica), terapie concomitanti a base di cortisone o antineoplastici, una predisposizione individuale.

Esiste poi una vera e propria patologia a carico delle cicatrici con quadri di:

Bibliografia

Voci correlate

Altri progetti

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