L'Historia Mongalorum è un'opera di frate Giovanni da Pian del Carpine redatta in due edizioni[1]

Al contrario della lettera di frate Guglielmo di Rubruck inviata "all'eccellentissimo e cristianissimo sovrano Luigi" (citazione dal preambolo della lettera stessa), non può essere definito un libro di viaggio, ma è più propriamente un trattato. La sua struttura è rigida e ben delineata: la seconda edizione comprende 9 capitoli, di cui il nono aggiunto proprio in quest'ultima.

Storia e tematiche

La prima stesura del testo fu eseguita da frate Giovanni durante il viaggio verso Karakorum e al ritorno, per poi venir revisionata durante un lungo periodo di soggiorno a Roma. La Prima edizione è la trascrizione prima, la seconda edizione è la conseguenza delle integrazioni proprie del soggiorno in Roma.

L'opera nacque come tentativo di rispondere ad una esigenza di carattere più politico che teologico, ovvero viene analizzato al suo interno il popolo mongolo con dettagliate analisi sulla sua forza e sulla sua organizzazione sociale e militare.

Il viaggio di frate Giovanni indicato in blu scuro.

Frate Giovanni partì nel 1245. Appena quattro anni prima i Mongoli avevano preoccupato l'Europa ed in particolare l'Europa dell'Est: Bela IV, re d'Ungheria dal 1235 al 1270, accusò il Papa di essere uno dei principali responsabili del proprio annientamento (Bela IV chiese aiuto ma non il Papa e nessun altro sovrano si mobilitò per rispondere all'appello).

Nel 1245 Papa Innocenzo IV decise di affrontare la "questione mongola", inviando per tramite di frate Giovanni una lettera al Gran Khan Güyük (Gran Khan dell'impero Mongolo dal 1246 al 1248); la lettera non era accomodante, e la paura che i Tatari (visti dall'Europa cattolica come l'Anticristo)[2] volessero distruggere il vecchio continente sottraendolo al dominio politico e culturale del Vaticano pervade la missiva indirizzata al Gran Khan.

Da questi timori nascono la missione di frate Giovanni (francescano) e la stesura di un'opera che contiene avvertimenti, considerazioni e riflessioni sul mondo mongolo analizzato sotto numerosi suoi aspetti (essenzialmente riconducibili ad una prospettiva di scontro militare).

A frate Giovanni stava a cuore soprattutto questo tema. Egli sapeva infatti che l'Europa non sarebbe stata in grado di fronteggiare un secondo attacco mongolo (si era salvata dalla prima invasione militare grazie alla morte del Gran Khan che impose a tutti i possibili eredi il ritorno a Karakorum), e quando Guyuk congedò il francescano offrendogli la guida di alcuni ambasciatori mongoli, Giovanni rifiutò immediatamente per diversi motivi, tutti chiaramente elencati nell'Historia Mongalorum: se i Mongoli avessero visto le discordie e le divisioni europee si sarebbero sentiti legittimati a intervenire; approfittando dell'ambasceria i Mongoli avrebbero potuto esplorare il territorio; temeva per l'incolumità degli ambasciatori stessi, perché le nostre genti sono arroganti e superbe. A quel punto sarebbe stata inevitabile l'invasione mongola in Europa.

Il fatto che tutto il trattato sia orientato in funzione bellica è dimostrabile anche in paragrafi che a prima vista non sono correlati alla guerra, ad esempio il primo paragrafo del secondo capitolo, sull'aspetto fisico. Frate Giovanni spiega infatti al Papa come sono esteticamente i Mongoli, non per gusto della descrizione o della completezza, ma perché in caso di guerra si deve essere in grado, nel momento in cui si fanno dei prigionieri, di capire quali tra questi prigionieri sono Mongoli e quali sono invece persone appartenenti a popoli che i Mongoli hanno sottomesso e schiavizzato, obbligandoli ad andare in guerra. Questo riconoscimento è fondamentale per due motivi: le persone di questi popoli sottomessi farebbero volentieri a meno di combattere per i Mongoli e sono propense a schierarsi con gli eserciti nemici dei Mongoli; ai Mongoli dei prigionieri non Mongoli non interessa, ma se una città riesce a prendere prigioniero qualche mongolo quella può ottenere come riscatto immense ricchezze o, se non si vogliono riscatti, quella città si sarebbe assicurata pace e sicurezza per molto tempo. Questo perché i Mongoli si amano molto l'un l'altro e non si muovono mai per strade che danneggiano un loro compagno.

Struttura

Note

  1. ^ Secondo lo stesso frate Giovanni nel capitolo 9 della seconda edizione
  2. ^ Il termine Tatari in realtà indica solo una delle popolazioni che vennero unificate da Gengis Khan dando vita al popolo mongolo, ma è corretto come termine perché gli europei utilizzarono questa parola per indicare l'intero popolo mongolo; inoltre questa parola permetteva la facile storpiatura da tataro a tartaro, importante elemento della cultura mitologica greca e romana: avvicinando l'inferno mitologico alle conseguenze derivanti dal passaggio dei Mongoli si potevano creare suggestivi e interessanti parallelismi. Inoltre non si deve dimenticare che i mongoli arrivavano da "terre ignote", spesso (per non dire sempre) neanche disegnate sulle cartine - frate Giovanni è quindi anche un esploratore -, terre che per molti europei eruditi, erano popolate da Gog e Magog, ovvero l'anticristo.

Bibliografia

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