Orazione dopo il rientro in Senato
Titolo originalePost reditum in Senatu
AutoreMarco Tullio Cicerone
1ª ed. originale57 a.C.
Genereorazione
Sottogenerepolitica
Lingua originalelatino

Post reditum in Senatu è un'orazione pronunciata dall'oratore e politico romano Marco Tullio Cicerone di fronte al Senato, il 5 settembre 57 a.C., al ritorno dall'esilio.

«Perciò, chiamato dalla vostra autorità, invocato dal popolo romano, pregato dallo Stato, riportato per così dire sulle spalle dell’Italia intera, non rischierò certo, senatori, dopo la restituzione di quei beni che non dipendevano da me, di mancare a quanto dipende da me personalmente, soprattutto perché la riconquista dei beni perduti non si è mai accompagnata alla perdita della mia virtù e lealtà»

Contesto storico

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Nel 63 a.C. Cicerone raggiunse l’acme della sua carriera politica. Infatti, in quell'anno, in cui era console, riuscì a sventare la congiura di Catilina: grazie al consensus omnium bonorum (cioè il consenso che egli riuscì a creare tra gli ordini superiori, il ceto senatorio e quello equestre) mandò a morte Catilina e i suoi seguaci. Tuttavia, questo sarà l'episodio che segnerà una lenta, ma inesorabile parabola discendente per l'Arpinate.

Nel 59 a.C. Cicerone si trovò ad essere isolato politicamente: Gneo Pompeo, dopo svariati tentativi andati a vuoto di avvicinamento a Cicerone[1] (in quanto era ormai insofferente verso il triumvirato, di cui egli stesso faceva parte, e voleva avere l'appoggio dei senatori per il tramite di Cicerone), non poté più fare affidamento su di lui; Gaio Giulio Cesare, dopo aver avanzato numerose proposte di collaborazione ed essere stato puntualmente respinto, si allontanò da Cicerone; Publio Clodio Pulcro aveva un atteggiamento ostile nei suoi confronti (anche in seguito al fatto che Cicerone aveva testimoniato contro di lui in tribunale dopo lo scandalo della Bona Dea).

La situazione dell'Arpinate peggiorò allorché Clodio, operata la transitio ad plebem ("il passaggio allo stato plebeo") in seguito all’adrogatio (cioè l'adozione) da parte di una famiglia plebea, in quanto egli era patrizio e non poteva aspirare al tribunato della plebe, venne eletto tribuno della plebe il 10 dicembre 59 a.C. e subito propose quattro leggi, approvate il 4 gennaio del 58 a.C.: la prima (lex Clodia frumentaria)[2] era un plebiscito che ordinava distribuzioni gratuite di frumento ai poveri, pare senza limite di numero, le quali, a dir di Cicerone ridussero di un quinto le rendite dello Stato; la seconda (lex Clodia de censoria notione)[2] limitava il potere dei censori di espellere senatori; la terza (lex Clodia de iure et tempore legum rogandarum)[3] prevedeva che si potessero tenere i comizi in tutti i dies fasti (i giorni in cui era lecito trattare gli affari pubblici e privati) e che non si potessero ostacolare i comizi[4]; la quarta legge (lex Clodia de collegiis)[5] dichiarava legale la formazione di circoli e collegia ("collegi"), dichiarati illegittimi cinque anni prima: in realtà, dietro di essi Clodio nascondeva le proprie bande armate. Contro la legittimità di questi provvedimenti si scagliarono i nuovi pretori Memmio e Domizio Enobarbo, che tuttavia non poterono far nulla poiché Cesare, avendo già il Senato ostile, non voleva inimicarsi anche Clodio, mentre Pompeo vedeva di buon occhio questa legislazione. Quindi, Clodio propose due leggi ad personam: la lex Clodia de capite civis Romani[6], un plebiscito votato il 20 marzo che stabiliva la proscrizione (aquae et ignis interdictio) per quei magistrati che avessero mandato a morte un cittadino romano senza regolare processo, e la lex Clodia de provinciis consularibus[7], altro plebiscito votato in contemporanea con la de capite civis, che assegnava ai consoli di quell'anno, Lucio Calpurnio Pisone e Aulo Gabinio, le province rispettivamente di Macedonia e Cilicia (sostituita in seguito con la Siria). La prima legge era volta a colpire direttamente Cicerone, anche se quest'ultimo non veniva nominato esplicitamente, la seconda ad assicurarsi l'appoggio dei due consoli[8].

Si innescò quindi una macchina a difesa di Cicerone: il Senato, dopo essersi appellato invano a Gabinio, mise il lutto, ma i consoli costrinsero con un editto ad interromperlo; un amico di Cicerone, Lucio Elio Lamia, tentò di organizzare una protesta degli equestri, ma Gabinio lo esiliò a duecento miglia da Roma; infine, lo stesso Senato inviò a Pompeo una delegazione dei senatori più illustri perché egli si rivolgesse ai consoli: ma ancora una volta la richiesta fu respinta e, anzi, Clodio e Pisone minacciarono il ricorso alla violenza se Cicerone non se ne fosse andato spontaneamente.

Così l'Arpinate abbandonò Roma probabilmente il 20 marzo, rifugiandosi in un primo momento nei dintorni della città, ma Clodio fece approvare la lex de exilio Ciceronis[9], un nuovo plebiscito emanato il 25 marzo e votato il 24 aprile dal Concilium Plebis (l'assemblea popolare), che decretava l'esilio di Cicerone, la confisca dei suoi beni, la demolizione della sua casa, la messa a bando di coloro che lo ospitassero e l'obbligo per l'Arpinante di tenersi lontano da Roma quattrocento miglia, poi aumentate per impedirgli di risiedere in Sicilia e a Malta.

Esilio di Cicerone

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Il 29 aprile del 58 a.C. Cicerone lasciò definitivamente l'Italia, imbarcandosi da Brindisi. In questo periodo egli cercò di ripristinare il concursus honorum omnium per cercare di tornare, ma, non riuscendoci, entrò in uno stato depressivo, pensando addirittura al suicidio e prendendosela con tutto e tutti, come l'amico Attico, per averlo mal consigliato, e Pompeo, per averlo abbandonato in mano ai nemici[8]. Quest'ultimo però, o per il rimorso o pensando che Cicerone potesse tornare utile o per la sua ostilità sempre maggiore verso Clodio e Crasso, iniziò a muovere le prime trame per il ritorno dell'Arpinate. A maggio, mentre Cicerone era in Macedonia (grazie a Gneo Plancio, suo amico e questore in quella provincia nel 58 a.C.), lo storico, erudito e uomo politico Marco Terenzio Varrone e Publio Plauzio Ipseo, amici di Pompeo, fecero i primi tentativi, ma Clodio, per mezzo delle sue bande armate, riuscì a bloccarli. Il console Gabinio, vecchio sostenitore di Pompeo, fece scontrare per strada una delle sue bande con quelle di Clodio (anche se l'odio di Cicerone verso di lui non si placherà[8]).

Il tribuno Lucio Ninnio Quadrato, sostenuto da Pompeo, il 1º giugno propose al Senato il richiamo di Cicerone dall'esilio e tutti furono favorevoli, tranne il tribuno Elio Ligure, che oppose il veto.

Pompeo intanto si stava impegnando attivamente per la causa ciceroniana, ma Clodio, servendosi della fobia di Pompeo di essere ucciso, lo spinse a ritirarsi nella sua casa di campagna per tutto l'anno.

Il genero di Cicerone invece cercò di portare dalla sua parte il console Pisone, suo parente, arrivando addirittura a rinunciare alla partenza per la sua provincia come questore; mentre il tribuno della plebe del 57 a.C. , Publio Sestio, si recò da Cesare in Gallia per ottenere il suo aiuto, ma pare che sia stato accolto con freddezza[8].

Nel 57 a.C. però le nuove elezioni, che designarono come console Publio Lentulo Spintero, amico di Cicerone, e Quinto Metello Nepote (cugino di Clodio), che iniziò a deporre la sua vecchia inimicizia verso l'Arpinate, sorrisero a Cicerone. Tanto più che gli otto tribuni in carica, tra cui Tito Annio Milone, vedendo un evolversi favorevole della situazione, il 29 ottobre avanzavano una proposta per il rientro di Cicerone dall'esilio (Rogatio VIII tribunarum de reditu Ciceronis); ancora una volta, però, Elio Ligure oppose il veto, così Cicerone, che intanto si era spostato da Salonicco a Durazzo per seguire più da vicino la situazione, si sentì ulteriormente demoralizzato.

I tentativi per il rientro

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Lentulo Spintero, intanto, il 1º gennaio del 57 propose in Senato il richiamo di Cicerone, ottenendo il beneplacito di Nepote e di Appio Claudio Pulcro, fratello maggiore di Clodio. Lucio Cotta, console nel 65, sosteneva che Cicerone non solo doveva essere richiamato, ma che dovesse ricevere anche pubblici onori, mentre Pompeo, da parte sua, era d'accordo: l'unica eccezione che poneva era che si dovesse consultare prima il popolo. L'obiettivo era quello di votare entro gennaio, ma due nuovi tribuni, Quinto Numerio Rufo e Atilio Serrano, riuscirono ad impedirlo: infatti, il giorno previsto per la votazione popolare, il 25 gennaio, fecero presidiare il foro da bande armate e il tribuno Quinto Fabricio, sostenitore di Cicerone, non poté presentare al popolo la sua proposta, la Rogatio Fabricia (o detta genericamente Rogatio VIII tribunarum de reditu Ciceronis)[10] e, anzi, ne nacque una furibonda guerriglia, durante la quale lo stesso fratello dell'Arpinate, Quinto Cicerone, sfuggì per miracolo alla morte.

La lotta fra bande continuava, soprattutto in seguito alla decisione di Sestio e di Milone di arruolare proprie bande, ma il fenomeno eversivo era destinato ad essere arginato dal Senato, che era obbligato a ripristinare la propria autorità. Ma ormai le cose stavano evolvendo a favore di Cicerone.

Lentulo Spintero, infatti, propose una mozione, con la quale si chiedeva ai governatori delle province di proteggere Cicerone e a tutti i cittadini presenti sul territorio italico di recarsi a Roma per votare il ritorno dell'Arpinate. Dal canto suo, Pompeo, rassicurato Cesare e ottenuta la sua neutralità, iniziò ad impegnarsi con maggior fervore per la causa ciceroniana, tenendo discorsi nel foro e girando per tutti i municipi d'Italia allo scopo di ottenere consensi: la sua argomentazione principale era che Cicerone aveva salvato la patria in occasione della congiura di Catilina, argomentazione che il Senato ordinò, con un solo voto contrario (quello di Clodio), che fosse messa a verbale. Così il giorno dopo lo stesso Senato decretò che venisse considerato nemico pubblico chi avesse impedito le votazioni per il ritorno di Cicerone.

Il voto popolare si tenne il 4 agosto 57 a.C.: per l'occasione ci fu una straordinaria affluenza popolare, soprattutto di italici. Mentre Lentulo Spintero presentava la sua proposta, Milone era pronto ad intervenire con le sue bande, anche se Clodio non poteva ormai fare più nulla, in quanto lo stesso Pompeo si era pubblicamente dichiarato favorevole al ritorno di Cicerone[8].

La lex Cornelia Caecilia de revocando Cicerone[11] (che prese appunto il nome dei due consoli proponenti, Publio Cornelio Lentulo Spintero e Quinto Cecilio Metello Nepote) fu così approvata dai comizi centuriati e Cicerone, salpato da Durazzo il 4 agosto, giunse il giorno successivo a Brindisi, dove fu accolto con grande giubilo[8]. Dopo aver ricevuto qualche giorno dopo la conferma del voto favorevole, partì alla volta di Roma, dove entrò trionfalmente il 4 settembre attraverso la porta Capena, e il popolo romano gli tributò grandi festeggiamenti nel foro e sul Campidoglio.

Contenuto dell'opera

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La Post Reditum in Senatu è una gratiarum actio, cioè un'orazione di ringraziamento, pronunciata da Cicerone il 5 settembre del 57 a.C. davanti al Senato per ringraziare appunto tutti coloro che avevano reso possibile il suo ritorno dal triste esilio. L'orazione si compone di 15 capitoli e 39 paragrafi, (in riferimento all'edizione considerata, ossia UTET), ed è così strutturata[12]:

La Post reditum in senatu fa il paio con l'altra orazione di ringraziamento pronunciata da Cicerone davanti al popolo, la Post reditum ad Quirites. Le due orazioni, pur nella loro somiglianza, divergono su alcuni punti, tra cui uno in particolare, e cioè che nella Post reditum in senatu, trattandosi di un'orazione davanti al Senato, viene dato maggiore spazio ai sostenitori della repubblica, soprattutto naturalmente gli ottimati, come Pompeo, che allora era gradito alla maggioranza dei senatori; mentre nella Ad Quirites viene ridotta la portata dell'attacco ai consoli Gabinio e Pisone[13].

I protagonisti

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I protagonisti di questa orazione sono:

Edizioni

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Tra le principali edizioni dell'orazione Post reditum in senatu si possono ricordare:

Note

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  1. ^ vd. Ad Att. II, 23,2;
  2. ^ a b Giovanni Rotondi, Leges publicae populi romani: elenco cronologico con una introduzione sull’attività legislativa dei comizi romani, Hildesheim, Olms, 1962;
  3. ^ Giovanni Rotondi, Leges publicae populi romani: elenco cronologico con una introduzione sull’attività legislativa dei comizi romani, Hildesheim, Olms, 1962, p.397;
  4. ^ con ciò Clodio abrogava di fatto la lex Aelia (158 a.C.) e la lex Fufia (154 a.C.) de modo legum ferundarum, che permetteva di trarre gli auspici per tutti i comizi e di proclamare l’obnuntiatio, un istituto che consentiva di sospendere i comizi, qualora gli auspici fossero stati sfavorevoli. Gli ottimati, ovviamente, abusavano di esso per ostruire le iniziative dei popolari. Vd. Giovanni Rotondi, Leges publicae populi romani: elenco cronologico con una introduzione sull’attività legislativa dei comizi romani, Hildesheim, Olms, 1962, pp. 288-289;
  5. ^ Giovanni Rotondi, Leges publicae populi romani: elenco cronologico con una introduzione sull’attività legislativa dei comizi romani, Hildesheim, Olms, 1962, p. 393;
  6. ^ Giovanni Rotondi, Leges publicae populi romani: elenco cronologico con una introduzione sull’attività legislativa dei comizi romani, Hildesheim, Olms, 1962, pp. 394-395:
  7. ^ Giovanni Rotondi, Leges publicae populi romani: elenco cronologico con una introduzione sull’attività legislativa dei comizi romani, Hildesheim, Olms, 1962, pp. 393-394;
  8. ^ a b c d e f David Stockton, Cicerone: biografia politica, Milano, Rusconi, 1994;
  9. ^ Giovanni Rotondi, Leges publicae populi romani: elenco cronologico con una introduzione sull’attività legislativa dei comizi romani, Hildesheim, Olms, 1962, pp.395-396;
  10. ^ Giovanni Rotondi, Leges publicae populi romani: elenco cronologico con una introduzione sull’attività legislativa dei comizi romani, Hildesheim, Olms, 1962, pp. 400-402;
  11. ^ Giovanni Rotondi, Leges publicae populi romani: elenco cronologico con una introduzione sull’attività legislativa dei comizi romani, Hildesheim, Olms, 1962, p. 403;
  12. ^ Marcus Tullius Cicero, Le orazioni, a cura di Giovanni Bellardi, 4 voll., Torino, UTET, 1975-1981;
  13. ^ Emanuele Narducci, Introduzione a Cicerone, Roma - Bari, Laterza, 2005, pp. 97-98;
  14. ^ a b Renata Raccanelli, Cicerone, Post reditum in senatu e ad Quirites: come disegnare una mappa di relazioni, Bologna, Patron, 2012, pp. 69-84;
  15. ^ Renata Raccanelli, Cicerone, Post reditum in senatu e ad Quirites: come disegnare una mappa di relazioni, Bologna, Patron, 2012, pp. 51-60;
  16. ^ P. red. in sen. 10,25;
  17. ^ Renata Raccanelli, Cicerone, Post reditum in senatu e ad Quirites: come disegnare una mappa di relazioni, Bologna, Patron, 2012, pp. 23-29;
  18. ^ Renata Raccanelli, Cicerone, Post reditum in senatu e ad Quirites: come disegnare una mappa di relazioni, Bologna, Patron, 2012, pp. 84-93;
  19. ^ P. red. in sen. 6,14;
  20. ^ Renata Raccanelli, Cicerone, Post reditum in senatu e ad Quirites: come disegnare una mappa di relazioni, Bologna, Patron, 2012, pp. 60-65;
  21. ^ P. red. in sen. 6,13;
  22. ^ P. red. in sen. 7,18;
  23. ^ P. red. in sen. 13,33;
  24. ^ P. red. in sen. 2,3.

Bibliografia

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Controllo di autoritàVIAF (EN19159474046227660424 · BAV 492/6368 · LCCN (ENno2022096794 · GND (DE4316864-4 · BNF (FRcb17896131c (data)