Nel diritto internazionale, s'intende per rappresaglia un'azione di autotutela effettuata da uno Stato contro un altro Stato, in risposta a un precedente atto illecito commesso dal secondo contro il primo[1].
Nel linguaggio comune viene inoltre definita rappresaglia un'azione militare punitiva caratterizzata da inumanità e da violenza indiscriminata, posta in essere da una forza occupante ai danni della popolazione civile della regione occupata[2]. In quest'ultima accezione, la rappresaglia è vietata dal diritto internazionale.
Il termine deriva dal latino medievale represalia, che indicava il diritto di riprendersi con la forza quanto bastasse a risarcire di un danno patito[2]. Nel diritto internazionale, sin dal XVII secolo designa un'azione di autotutela effettuata da uno Stato contro un altro Stato, in risposta a un precedente atto che si assume illecito commesso dal secondo contro il primo[1]. Il concetto di rappresaglia va distinto da quello di ritorsione, utilizzato anche in altre branche del diritto[3].
Le condizioni che devono necessariamente e congiuntamente sussistere affinché l'odierno diritto bellico, consuetudinario e pattizio, consideri legittima la rappresaglia sono le seguenti:
Altri Protocolli (adottati a Ginevra in data 8 giugno 1977 e aperti alla firma da parte dei vari Stati il 12 dicembre 1977) hanno nuovamente statuito l'assoluto divieto della rappresaglia e di ogni forma di repressione collettiva contro la popolazione civile; detti protocolli sono stati ratificati dallo Stato italiano con la legge 11 dicembre 1985, n. 762[8].