«It is, in theory, a culture of building in which, while accepting the potentially liberative role of modernization, nonetheless resists being totally absorbed by the global imperatives of production and consumption.[1]»
«(Il Regionalismo Critico), in teoria, è una cultura del costruire che, mentre accetta un ruolo potenzialmente liberativo della modernizzazione, nondimeno resiste all'essere totalmente assorbita dagli imperativi globali della produzione e del consumo.»
Il regionalismo critico è un approccio all'architettura con il quale si cerca di opporsi all'idea di mancanza d'identità e/o di appartenenza di alcune architetture moderne avvalendosi del contesto geografico dell'edificio. Il termine fu introdotto dai teorici dell'architettura Alessandro Tzonis e Liane Lefaivre, successivamente, con un significato leggermente diverso, fu utilizzato dallo storico-teorico Kenneth Frampton.
L'idea di regionalismo critico emerse nel corso dei primi anni 1980 quando l'architettura postmoderna, che era nata a sua volta come reazione all'architettura moderna, era al suo apice. Tuttavia il maggior teorico del regionalismo critico, Kenneth Frampton, era critico anche verso il postmoderno. In realtà il regionalismo critico, a differenza del postmoderno piuttosto che pensare ad un affrettato rivolgimento all'indietro, tentò una rifondazione del moderno considerandolo, nei termini di Jürgen Habermas, un progetto incompiuto[2].
Proprio secondo quest'ultimo in questo contesto non prevale l'adozione di parametri efficientistici nel valutare gli spazi e i materiali dell'architettura ma si cerca di favorire lo sviluppo di "una cultura forte e carica di identità, che mantenga tuttavia aperti i contatti con la tecnica universale."[3]