Conquista di Tunisi parte delle guerre ottomano-asburgiche | |||
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Data | giugno 1535 | ||
Luogo | Tunisi | ||
Causa | Scorrerie ottomane lungo le coste dell'Italia meridionale | ||
Esito | Effimera vittoria degli Asburgo e degli alleati | ||
Modifiche territoriali | Momentaneo controllo Imperiale-Spagnolo su Tunisi | ||
Schieramenti | |||
Comandanti | |||
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Perdite | |||
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La conquista di Tunisi nel 1535 fu un episodio delle guerre ottomano-asburgiche che vide l'intervento di Carlo V per togliere all'Impero ottomano la città di Tunisi.
Il timore che la conquista ottomana di Tunisi - portata a termine da Khayr al-Din (detto il “Barbarossa”), che nel 1534 l'aveva occupata scacciando il legittimo sultano hafside Muley Hassan - potesse agevolare Solimano il Magnifico nella pianificazione di un'invasione della Sicilia, nonché le numerose incursioni lungo le coste dell'Italia meridionale dei pirati del Barbarossa, lo sbarco di questi a Cetraro, il saccheggio, da parte del Dey, delle città di Fondi e Sperlonga ed infine l'incendio del castello di Capri seguito dalla devastazione dell'Isola d'Ischia e la temporanea occupazione di Procida, spinsero Carlo V, sollecitato da Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga viceré di Napoli, ad organizzare una campagna contro La Goletta e la stessa Tunisi.
L'imperatore salpò da Cagliari con una armata che – a seguito dei rinforzi inviati dagli alleati – risultava forte di 335 imbarcazioni tra navi da guerra, galee, hulk e caravelle, 25.000 fanti e 2.000 cavalieri[1]. Il 1º giugno 1535, protetto dalla flotta genovese, Carlo V riuscì ad annientare la flotta del Dey e il 15 giugno la flotta spagnola era già all'àncora davanti alle rovine di Cartagine: quello stesso giorno La Goletta, fortezza posta a difesa di Tunisi, fu posta sotto assedio; la campagna e la conquista di La Goletta e Tunisi durarono alcune settimane e si conclusero con una decisiva vittoria spagnola. L'assedio ed il saccheggio di Tunisi provocarono circa 30.000 vittime.[2]. Nella città vennero trovate palle di cannone con impresso il giglio di Francia che provavano l'esistenza di un'alleanza franco-ottomana contro la Spagna.
In seguito alla capitolazione di Tunisi "ai Turchi, o piuttosto ai barbareschi, non rimase altro vigore offensivo verso l'Italia meridionale che d'incursioni, saccheggi e prede da corsari"[3]. Il dominio spagnolo sulla città sarebbe terminato solo alcuni decenni dopo, con la definitiva riconquista ottomana del 1574.
Carlo V, al ritorno dall'Africa, sbarcò il 20 agosto a Trapani, "civitas invictissima in qua Caesar primum juravit", con i 20.000 schiavi cristiani liberati in Tunisia e qui si trattenne fino al 25 agosto risolvendo problemi cruciali per le finanze locali. Più lunga fu la visita a Palermo dove giunse il 12 settembre dopo avere sostato una notte nel Castello di Inici[4][5][6], ospite di Giovanni Sanclemente, un nobile di origine catalana suo compagno d’armi a Tunisi, due notti ad Alcamo, città feudale dei Cabrera, ospitato nel castello trecentesco, e a Monreale. L'ingresso trionfale a Palermo fu sapientemente orchestrato sul modello antico del trionfo militare: l'imperatore entrò in città preceduto da schiere di prigionieri e seguito dagli schiavi cristiani liberati dirigendosi verso il duomo dove il governo ed il patriziato cittadino, prosternandosi in tre riverenze, presentarono al sovrano i privilegi della città e del Regno chiedendogli di riconfermarli. Il trionfo di Messina, dove l'imperatore si fermò per 13 giorni, fu più elaborato e qui egli volle formalizzare la nomina di Ferrante Gonzaga a viceré del Regno di Sicilia[7]. Nella città dello Stretto il complesso cerimoniale dell’accoglienza trionfale si avvalse anche dell’opera di Francesco Maurolico, che compose i distici latini da incidere sugli apparati e sugli archi realizzati, per l’occasione, da Polidoro Caldara da Caravaggio.
Lasciando la Sicilia Carlo V risalì verso Napoli, dove la sua entrata mise in luce la dimensione cittadina dell'evento che stava a significare per la città la riconsacrazione del suo ruolo di capitale del Regno e la visita risultò rafforzare l'autorità imperiale. La tappa successiva fu Roma, la cui visita tendeva a ribadire che non poteva realizzarsi senza di essa l'idea di Impero; il trionfo dei due massimi poteri della cristianità, ovvero il Papato e l'Impero, fu resa un'occasione irripetibile per ripristinare l'antica grandezza della città; per l'entrata dell'imperatore non si prevedeva, perciò, di costruire una scenografia, ma di svelare e riscoprire la città stessa; l'entrata romana fu quindi profondamente differente da quelle napoletana e messinese sia dal punto di vista ideologico sia dal punto di vista formale risultando segnata soltanto in parte da interventi architettonici provvisori; l'ingresso ebbe il carattere di una poderosa sfilata militare e durante il soggiorno l'imperatore preferì "andare vedendo privatamente con alcuni suoi più familiari le cose antiche e curiose". Dopo la partenza da Roma il viaggio di Carlo V prese un ritmo diverso: sostò a Firenze, dove la raffinata elaborazione del trionfo raggiunse il culmine, a Lucca dove fu festeggiato con i consueti archi trionfali, a Siena infine dove ricevette il cardinale Giovanni di Lorena per un ultimo inutile tentativo di concordare la pace[7].
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