Il conservatorismo sociale è l'insieme delle teorie politiche sostenute dal conservatorismo sui temi della giustizia sociale. È un’ideologia di destra che pone l'accento sul potere tradizionale rispetto al pluralismo sociale e cerca di invertire o frenare il cambiamento sociale e il progresso[1] opponendosi infatti a diritti civili in materia di divorzio, matrimoni omosessuali, aborto, eutanasia, antiproibizionismo.
Il sociologo Harry F. Dahms suggerisce che il conservatorismo sociale si riferisce a un "impegno" per i valori tradizionali riguardanti le strutture familiari, i rapporti sessuali, il patriottismo, il possesso di armi e le invasioni militari.[2] I conservatori sociali apprezzano i diritti delle istituzioni religiose di partecipare alla sfera pubblica, sostengono infatti un governo-religioso, opponendosi a laicismo o ateismo.[3][4][5]
Pur se sostenuto e studiato fin dalla storia antica, il suo significato attuale si riferisce soprattutto allo sviluppo nella società industriale dell'era moderna, utilizzando come punto di partenza la critiche storiche e sociali alle rivoluzioni di fine XVIII secolo in America e Francia, critiche sviluppate in modo sostanziale nei lavori di Edmund Burke e in epoca recente da sociologi quali Robert Nisbet[6] e Russel Kirk.
Secondo la definizione è una teoria politica, storica e sociale che tende a opporsi ai mutamenti sociali, preferendo mantenere inalterati nel tempo gli usi e costumi preesistenti, nonché la riorganizzazione della divisione in classi sociali e a ritenerne preferibile una sostanziale immutabilità o lenta e prudente modifica, pur nel passare del tempo e al mutare delle istanze, tendendo a un mantenimento dello "status quo". Tende pertanto anche a ridurre le possibilità di mobilità sociale, cioè il passaggio da una classe sociale a un'altra, soprattutto a una superiore, per i ceti ritenuti subordinati, le cui istanze sociali devono essere regolate in base alle decisioni delle classi dirigenti e strettamente secondo quelle che sono le tradizioni o le leggi già preesistenti. Ne consegue che spesso queste posizioni politiche considerano in modo assai guardingo e sospetto la evoluzione della società, valutandone le modificazioni con estrema prudenza rispetto al reale svolgersi, cercando comunque di frenarle o ritardarle.[7]
Anche le tutele dello Stato sociale sono ritenute dover essere distribuite alle classi più deboli in modo assai moderato, secondo la generale visione liberista dello Stato, e spesso con criteri più legati a una generosità compassionevole elargita dalle classi dirigenti, piuttosto che considerate come facente parte delle regole sociali obbligatorie per uno stato di diritto a tutela delle classi meno abbienti.[8][9]
La diversità di ceto e classe è considerata valore fondante delle politiche conservatrici, contrarie ad uno Stato egualitario[7], essendo invece favorevoli alle regole del darwinismo sociale e del "laisser faire".[10]
Questo ha portato spesso a considerazioni critiche su altre istanze dell'evoluzione dello stato sociale, spesso appoggiandosi anche al conservatorismo sociale espresso dalle religioni[11], quali il rifiuto dell'omosessualità, la pari dignità lavorativa e di voto fra i sessi e dure critiche su divorzio e aborto.[12]
Queste politiche fanno parte, in varie forme e secondo diversi gradi di severità, dei programmi di governo dei partiti conservatori, spesso considerati appartenenti all'area moderata e di destra[13]. Spesso buona parte dei conservatori sociali sono assimilati ai cristiano-sociali e ai cristiano-democratici, sebbene nel conservatorismo diverse personalità non siano necessariamente cristiane, ma basano i propri principi appoggiandosi sui valori della religione predominante nel proprio paese per difendere la tradizione sociale, etica e morale della propria nazione, opponendosi strenuamente a matrimoni omosessuali, aborto, eutanasia e antiproibizionismo.