Iliade
Titolo originale(GRC) Ἰλιάς
Frontespizio dell'edizione di Theodosius Rihel, databile 1572 ca.
AutoreOmero
1ª ed. originaleVIII secolo a.C.
VI secolo a.C.[1]
Editio princeps9 dicembre 1488
Generepoema
Sottogenereepica
Lingua originalegreco antico
AmbientazioneGuerra di Troia
ProtagonistiAchille
Aiace
Agamennone
Ulisse
Ettore
Priamo
Paride
Patroclo
Dei olimpici
SerieCiclo troiano
(GRC)

«Μῆνιν ἄειδε θεὰ Πηληιάδεω Ἀχιλῆως
οὐλομένην, ἥ μυρί’ Ἀχαιοῖς ἄλγε’ ἔθηκε,
πολλὰς δ’ ἰφθίμους ψυχὰς Ἄιδι προίαψεν
ἡρωων, αὐτοὺς δὲ ἐλώρια τεῦχε κύνεσσιν
οἰωνοῖσί τε πᾶσι, Διὸς δ’ἐτελείετο βουλή,
ἐξ οὗ δὴ τὰ πρῶτα διαστήτην ἐρίσαντε
Ἀτρείδης τε ἄναξ ἀνδρῶν καὶ δῖος Ἀχιλλεύς.»

(IT)

«Cantami, o Diva, del pelide Achille
l'ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco
generose travolse alme d'eroi,
e di cani e d'augelli orrido pasto
lor salme abbandonò (così di Giove
l'alto consiglio s'adempìa), da quando
primamente disgiunse aspra contesa
il re de' prodi Atride e il divo Achille.»

L'Iliade (in greco antico: Ἰλιάς?, Iliás) è un poema epico in esametri dattilici, tradizionalmente attribuito a Omero. Ambientato ai tempi della guerra di Troia, città da cui prende il nome[2], narra gli eventi accaduti nei cinquantuno giorni del decimo e ultimo anno di guerra, in cui l'ira di Achille è l'argomento portante. Opera antica e complessa, è un caposaldo della letteratura greca e occidentale.

Tradizionalmente datata al 750 a.C. circa[3], Cicerone afferma nel suo De oratore che Pisistrato ne abbia disposto la sistemazione in forma scritta nel VI secolo a.C., ma si tratta di questione discussa dalla critica.[4] In epoca ellenistica fu codificata da filologi alessandrini guidati da Zenodoto nella prima edizione critica, comprendente 15.696 versi divisi in 24 libri (ciascuno corrispondente a un rotolo, che ne dettava la lunghezza).[5] Ai tempi il testo era infatti estremamente oscillante, visto che la precedente tradizione orale aveva originariamente numerose varianti. Ciascun libro è contraddistinto da una lettera maiuscola dell'alfabeto greco e riporta in testa un sommario del contenuto.

Descrizione

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Datazione

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L'opera venne composta probabilmente nella regione della Ionia asiatica. La sua composizione seguì un percorso di formazione, attraverso i secoli e i vari cambiamenti politici e socio-culturali, che comprese principalmente tre fasi:

Le diverse edizioni

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La prima testimonianza sicura del poema è di Pisistrato, tiranno di Atene (561-527 a.C.). Dice infatti Cicerone nel suo De Oratore[6]: “primus Homeri libros confusos antea sic disposuisse dicitur, ut nunc habemus” ("Si dice che egli [Pisistrato] per primo abbia disposto, così come ora li abbiamo, i libri di Omero, fin allora confusi e disordinati")[7] Il primo punto fermo è quindi che nella Grande Biblioteca di Atene di Pisistrato erano contenuti i libri di Omero, ordinati.

L'oralità non consentì di stabilire delle edizioni canoniche. L'Iliade pisistratea non fu un caso unico: sul modello di Atene ogni città (di sicuro Creta, Cipro, Argo e Massalia, oggi Marsiglia) probabilmente aveva un'edizione “locale”, detta kata polin. Le varie edizioni kata poleis non erano probabilmente molto discordanti tra di loro.

Si hanno notizie riguardo edizioni precedenti all'ellenismo, dette polystikoiai, “con molti versi”; avevano sezioni rapsodiche in più rispetto alla versione pisistratea; varie fonti ne parlano ma non se ne conosce l'origine.

L'Iliade e l'Odissea erano la base dell'insegnamento elementare: i piccoli greci si avvicinavano alla lettura attraverso i poemi di Omero; molto probabilmente i maestri semplificarono i poemi affinché fossero di più facile comprensione per i bambini.

Si conosce anche l'esistenza di edizioni kata andra (personali): personaggi illustri si facevano fare edizioni proprie. Un esempio molto famoso è quello di Aristotele, che si fece creare un'edizione dell'Iliade e dell'Odissea (versioni prealessandrine). Si è arrivati, in seguito, a una sorta di testo base attico, una vulgata attica.

Teagene di Reggio, VI secolo a.C., fu il primo critico e divulgatore dell'Iliade, che fra l'altro pubblicò.

Gli antichi grammatici alessandrini tra il III e il II secolo a.C. concentrarono il loro lavoro di filologia del testo su Omero, sia perché il materiale era ancora molto confuso, sia perché era universalmente riconosciuto padre della letteratura greca. Molto importante fu un'emendatio (diorthosis) volta a eliminare le varie interpolazioni e a ripulire il poema dai vari versi formulari suppletivi, formule varianti che entravano anche tutte insieme.

Si arrivò dunque a un testo definitivo. Un contributo fondamentale fu quello di tre grandi filologi, vissuti tra la metà del terzo secolo e la metà del secondo: Zenodoto di Efeso, che elaborò la numerazione alfabetica dei libri e operò una ionizzazione (sostituì gli eolismi con termici ionici), Aristofane di Bisanzio, di cui non ci resta nulla, ma che sappiamo fu un gran commentatore, inserì la prosodia (l'alternarsi di sillabe lunghe e brevi), i segni critici (come la crux, l'obelos) e gli spiriti; Aristarco di Samotracia, che operò una forte e oggi considerata sconveniente atticizzazione - convinto che Omero fosse di Atene - e si occupò di scegliere una lezione per ogni vocabolo “dubbio”, curandosi però di mettere un obelos con le altre lezioni scartate. Non è ancora chiaro se si basò sull'istinto o comparò vari testi.

Il testo dell'Iliade giunto all'età contemporanea è piuttosto diverso da quello con le lezioni di Aristarco. Su 874 punti in cui egli scelse una particolare lezione, solo 84 tornano nei nostri testi; per quanto riguarda le parti considerate dubbie dai commentatori antichi, la vulgata alessandrina è quindi uguale alla nostra solo per il 10%. Si può anche ritenere che tale testo non fosse definitivo, ed è possibile che nella stessa biblioteca di Alessandria d'Egitto, dove gli studiosi erano famosi per i loro litigi, ci fossero più versioni dell'Iliade.

Peter Paul Rubens, Achille trafigge Ettore 1630-1635.

Un'invenzione molto importante della biblioteca di Alessandria furono gli scolia, ricchi repertori di osservazioni al testo, note, lezioni, commenti. Dunque i primi studi sul testo furono effettuati tra il III e il II secolo a.C. dagli studiosi alessandrini; poi tra il I secolo e il II secolo d. C. quattro scoliasti redassero gli scolia dell'Iliade, poi compendiati da uno scoliasta successivo nell'opera “Commento dei 4”. L'Iliade di Omero tuttavia non riuscì a influenzare tutte le zone dove era diffusa: anche in età ellenistica giravano più versioni, probabilmente derivanti dalla vulgata ateniese di Pisistrato del V secolo, che proveniva da varie tradizioni orali e rapsodiche.

Intorno alla metà del II secolo, dopo il lavoro di Alessandria, giravano il testo alessandrino e residui di altre versioni. Di certo gli Ellenisti stabilirono il numero e la suddivisione dei versi. Dal 150 a.C. sparirono le altre versioni testuali e si impose un unico testo dell'Iliade; tutti i papiri ritrovati da quella data in poi corrispondono ai nostri manoscritti medievali: la vulgata medievale è la sintesi di tutto.

Nel medioevo occidentale non era diffusa la conoscenza del greco, nemmeno tra personaggi come Dante Alighieri o Francesco Petrarca; uno dei pochi che lo conosceva era Boccaccio, che lo imparò a Napoli da Leonzio Pilato. L'Iliade era conosciuta in occidente grazie alla Ilias tradotta in latino di età neroniana.

Prima del lavoro dei grammatici alessandrini, il materiale di Omero era molto fluido, ma anche dopo di esso altri fattori continuarono a modificare l'Iliade, e bisognerà aspettare il 150 a.C. per arrivare alla koinè omerica.

L'Iliade fu molto più copiata e studiata dell'Odissea. Nel 1170 Eustazio di Salonicco contribuì alla sua diffusione in modo significativo. Nel 1453 Costantinopoli fu presa dai turchi; un grandissimo numero di profughi migrarono da oriente verso occidente, portando con sé una gran mole di manoscritti. Questo accadde fortunatamente in concomitanza con lo sviluppo dell'Umanesimo, tra i punti principali del quale c'era lo studio dei testi antichi.

Nel 1920 si ammise che era impossibile fare uno stemma codicum per Omero perché, già in quel periodo, escludendo i frammenti papiracei, c'erano ben 188 manoscritti, e anche perché non si riesce a risalire a un archetipo di Omero. Spesso i nostri archetipi risalgono al IX secolo, quando, a Costantinopoli, il patriarca Fozio si preoccupò che tutti i testi scritti in alfabeto greco maiuscolo fossero traslitterati in minuscolo; quelli che non furono traslitterati, andarono perduti. Per Omero tuttavia non esiste un solo archetipo: le traslitterazioni avvennero in più luoghi contemporaneamente.

Il più antico manoscritto capostipite completo dell'Iliade è il Marcianus 454 A, presente a Venezia; risalente al X secolo, fu ricevuto dal cardinale Bessarione dall'oriente, da Giovanni Aurispa. I primi manoscritti dell'Odissea sono invece dell'XI secolo.

L'editio princeps dell'Iliade è stata stampata nel 1488 a Firenze da Demetrio Calcondila. Le prime edizioni veneziane, dette aldine dallo stampatore Aldo Manuzio, furono ristampate ben tre volte, nel 1504, 1517, 1512, indice questo senza dubbio del gran successo sul pubblico dei poemi omerici.

Tematiche generali

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L'eroicità è riconosciuta come accento fondamentale del poema, e per Omero "eroico" è tutto ciò che va oltre la norma, nel bene e nel male e per qualunque aspetto. Queste grandezze non sono guardate con occhio stupito, perché il poeta è inserito nel mondo che descrive, e l'eroico è dunque sentito come normalità. L'intera guerra è descritta come un seguito di duelli individuali, raccontati spesso secondo fasi ricorrenti[8].

L'opera non tratta, come si presumerebbe dal titolo, dell'intera guerra di Ilio (Troia), ma di un singolo episodio di questa guerra, l'ira di Achille, che si svolge in un periodo di 51 giorni. Aristotele lodò Omero nella Poetica, per aver saputo scegliere, nel ricco materiale mitico-storico della guerra di Troia, un episodio particolare, rendendolo centro vitale del poema, e affermò, inoltre, che la poesia non è storia, ma una fecondissima verità teoretica e di fatto.

L'ira è un motivo centrale nel poema. L'ira di Achille è determinata dall'arbitrio del capo supremo Agamennone che gli sottrae la schiava Briseide che a suo tempo gli era stata data. La parte del bottino razziato in battaglia veniva infatti assegnata al guerriero in proporzione al suo valore e al suo ruolo di combattente. Al tema dell'ira è legato quello della gloria che l'eroe conquista combattendo con valore e che gli permette di perpetuare la propria immagine alle generazioni future.

Gli dei sono antropomorfi, cioè hanno sembianze fisiche e sentimenti umani: si amano e si odiano, tramano inganni; mostrano desiderio, vanità, invidia. Al di sopra di loro sta il Fato ineluttabile (in greco. móira), cioè il Destino. Gli dei intervengono direttamente nelle vicende umane.

Altri motivi presenti sono: il senso del dovere, la vergogna del giudizio negativo e la necessità di proteggere i propri cari.

Personaggi principali

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Iliade, Libro VIII, versi 245-253 - da un manoscritto greco di fine V secolo o inizio VI secolo.

Achei

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Troiani

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Divinità

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Ritratto immaginario di Omero, copia romana del II secolo d.C. di un'opera greca del II secolo a.C. Conservato al Museo del Louvre di Parigi.

Nel poema, alcune divinità aiutano i Troiani e altre gli Achei. Gli dei a favore dei Troiani sono Eris, Afrodite, Apollo, Ares, Artemide, Dione, Latona, Scamandro (dio dell'omonimo fiume). Gli dei a favore degli Achei sono Atena, Poseidone, Era, Efesto, Ermes, Teti. Restano invece neutrali Zeus, Peone, Iride, Ebe e le Moire. Inoltre compare Ipno (dio del sonno), che addormenterà temporaneamente Zeus su richiesta di Era.

Struttura

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L'Iliade è articolata in 24 libri che raccontano 51 giorni dell'ultimo anno della guerra di Troia. Il nucleo conduttore della storia è l'ira di Achille, valoroso guerriero acheo. Attorno alla sua ira si snodano le varie aristie, ovvero le narrazioni di gesta di altri eroi. Parallelamente a queste si svolgono anche le teomachie (battaglie di dei).

L'autore, Omero - in greco Ὅμηρος, Hómēros - si ritiene sia vissuto nell'VIII secolo a.C. Sia l'Iliade sia l'Odissea, viaggio di Ulisse fino a casa, erano parte di una raccolta chiamata Storie di Troia.

I poemi del ciclo troiano erano otto e oltre a Odissea e Iliade comprendevano anche: Cypria, L'Etiopide, La Piccola Iliade, La caduta di Troia, I Nostoi, Telegonia, in gran parte andati perduti. Si conoscono i loro nomi e parte dei contenuti grazie a Proco, poeta greco vissuto nel V secolo, che li riassunse in un manoscritto.

Nell'Iliade, oltre agli dei e agli uomini, si trova una sottocasta di semidei antropomorfi. Tra questi vi è anche Achille. Nei testi epici tali personaggi si possono riconoscere dal fatto che hanno un genitore divino e uno umano. Le ambientazioni della storia sono meno realistiche rispetto all'Odissea.

Le città sono poco descritte, a differenza delle navi achee, descritte con molti più dettaglio da parte dell'autore.

Sinossi del poema

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Achille che cura Patroclo, vaso con figure rosse del pittore di Sosia.

Paride, principe troiano, rapisce Elena, moglie del re spartano Menelao. Per questa ragione si mobilita tutta la Grecia achea per vendicare l'offesa. Dopo nove anni di assedio, Agamennone, capo dell'armata achea e fratello di Menelao, si rifiuta di restituire a Crise, sacerdote di Apollo, la figlia Criseide, che egli ottenne come preda di guerra. Perciò il dio infligge una pestilenza al campo dei Greci, costringendo Agamennone a restituire Criseide. Per compensarsi della perdita egli sottrae ad Achille la sua schiava Briseide.
Il Pelide, sdegnato, ritenendo di avere ricevuto un affronto, decide di non combattere più a fianco degli Achei, che senza di lui subiscono gravi perdite. Patroclo, compagno di Achille, decide di scendere in campo con le sue armi fingendosi Achille, ma viene ucciso da Ettore, principe ereditario troiano e comandante in capo dell'esercito, che solo dopo averlo sconfitto lo riconosce.
Achille, riarmato da Efesto, torna a combattere per vendicare la morte del compagno; trova lo scontro con Ettore che uccide in duello, legando il suo corpo a un carro, trascinandolo attorno alle mura di Troia e confiscando il cadavere. Priamo, re dei troiani, giunge nel campo dei Greci a chiedere la restituzione di Ettore; Achille fa dunque una pace personale con Priamo, permettendogli di riscattare la salma del figlio.
Il destino della città di Troia privo del suo eroe più forte sarà comunque senza speranza.

Trama

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Prologo dello scoppio della guerra secondo il mito

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Giunti gli eserciti della Grecia a Troia, la sorte per i nemici della Grecia è segnata, perché gli abitanti divini dell'Olimpo, divisi in tre parti, di cui una parteggia per il popolo avversario, aiutano i guerrieri con i loro prodigi.

Il proemio

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Il proemio.

Una delle versioni più note del proemio è quella di Vincenzo Monti, benché ne esistano di maggiormente fedeli all'originale:

«Cantami, o diva, del Pelìde Achille
l'ira funesta che infiniti addusse
lutti agli Achei, molte anzi tempo all'Orco
generose travolse alme d'eroi,
e di cani e d'augelli orrido pasto
lor salme abbandonò (così di Giove
l'alto consiglio s'adempia), da quando
primamente disgiunse aspra contesa
il re de' prodi Atride e il divo Achille.
»

Ira di Achille (libri I-VIII)

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Nel frattempo scendono in campo anche gli dei, divisi gli uni per i greci e gli altri per i troiani.

I greci allora scavano una fossa per difendere le navi.

Ambasciata ad Achille (canto IX)

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La Grecia avrebbe bisogno che Achille tornasse a combattere facendo riacquistare il buon umore ai soldati demoralizzati, ma l'eroe di Ftia ha deciso, e nemmeno Patroclo può fargli cambiare idea.

Aiace ed Ettore si scambiano doni, Xilografia da Andrea Alciato, Emblematum libellus, 1591.

Dolonía: imprese di Odisseo e Diomede (canto X)

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Intanto l'esercito greco continua a subire perdite sempre più pesanti e accade anche che l'esercito di Ettore arrivi a sfiorare le navi nemiche, cercando di bruciarle. Ulisse e Diomede sono mandati da Agamennone in ricognizione e catturano Dolone, un troiano, che verrà poi decapitato. I due greci quindi sgozzano il re di Tracia Reso, sorpreso nel sonno, che era appena arrivato in soccorso dei troiani.

Ripresa della guerra e morte di Patroclo (canti XI-XVII)

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Furia di Achille e morte di Ettore (canti XVIII-XXII)

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Automedonte con i cavalli Balio e Xanto di Achille, dipinto di Henri Regnault.

La ninfa si reca nella fucina di Efesto, dio zoppo, che crea uno scudo stupefacente assieme a nuove armi.

Dialogo con Priamo e fine dell'ira di Achille (canti XXIII-XXIV)

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Analisi

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L'ira di Achille

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La furia di Achille, di François-Léon Benouville (1821–1859) (Museo Fabre).

La prima parola del poema è ira (μήνιν), ossia il motivo guida di gran parte delle vicende dei Greci nella guerra finale. E’ messa in risalto la reazione che scaturisce da un'offesa fatta al prototipo della boria e superpotenza eroica per eccellenza, Achille, essendo privato del bottino di battaglia: Briseide da Agamennone.

L'ira di tale genere rispecchia anche la condizione sociale dei Greci arcaici, ossia quella del sistema feudale e dei possedimenti. Briseide è un vero e proprio bottino di guerra, nonché offre un'immagine di potere del padrone stesso dinanzi ai suoi superiori e alla collettività. Purtuttavia rappresentando questo sistema feudale arcaico, Omero raffigura anche il polo estremo dell'avidità e della boria dell'eroe super potente, che appunto per la sua irrefrenabilità emotiva, ritirandosi nelle tende dalla guerra, favorisce l'avanzata di Ettore e la rovina dei Greci.

L'eroe è orgoglioso e brutale (ἀγήνωρ), geloso della propria figura onnipotente. Tuttavia vi sarà un cambiamento nell'animo, specialmente dopo la morte di Patroclo, perché improvvisamente vulnerabile nei sentimenti, essendo Patroclo il suo più degno compagno, con cui si riteneva immortale. Dopo la selvaggia furia di combattere, i sentimenti di Achille vengono intaccati alla fine da Priamo con le sue suppliche di restituzione del corpo di Ettore. Omero tratteggia sapientemente l'obbligo della vendetta per l'affermazione e il ripristino del proprio onore, tipico nei clan greci arcaici.

Ettore defensor patriae

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Bassorilievo custodito al Museo Nazionale di Reggio Calabria, raffigurante il funerale di Ettore.

Ettore è rappresentato invece con un aspetto più umano e mite. Egli incarna i valori fondanti del soldato difensore della città; egli è mosso dall'"onore-rispetto" (τιμή) e dalla "vergogna" (αἰδώς). Ettore è il buon conduttore dell'esercito, il buon marito che, nella scena delle Porte Scee, preferisce di gran lunga combattere morendo sotto le mura, perendo da vero eroe valoroso, piuttosto che pensare alla cura della famiglia e vivere un'esistenza da vigliacco. Il suo sacrificio sarà di esempio per il futuro del figlio Astianatte, che nell'episodio tocca simbolicamente l'elmo del padre. Nella scena del duello finale l'eroe è rappresentato in tutta la sua umanità, perché cede alla furia di Achille, scappando. Tuttavia il fuggire gli ricorda i suoi doveri di eroe, e pur sapendo che morirà, decide di affrontare in guerra il Pelide.

Dopo la morte, Omero mostra un esempio di "purificazione" dal sangue e dal genocidio nei confronti di Achille. L'eroe stesso non ha previsto che con la morte di Ettore, egli si sarebbe purificato di tutte le colpe commesse sin dall'inizio del poema, ritornando a uno stato di quiete e di purezza, pronto per una nuova battaglia verso l'inevitabile morte. L'elemento purificatore è proprio Priamo, che lo convince a restituirgli il corpo, come segno di benevolenza e rispetto tra i nemici.

Società tribale omerica

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Agamennone seduto su una roccia mentre sorregge uno scettro, particolare da un frammento di coperchio di un lekanis attico a figure rosse della cerchia del Pittore dei Meidei, ca. 410-400 a.C., proveniente dalla contrada Santa Lucia a Taranto, attualmente al Museo Archeologico Nazionale di Taranto.

I due poemi omerici, e in particolare l'Iliade, mostrano come siano il prodotto di una società arcaica, dell'epoca dei Micenei, plasmata su valori di casta, di suddivisione precisa del potere, e di profondo credo religioso. Il mito rappresenta la componente fondante della società, dal quale si trae esempio e modello per la società futura, come appunto fu l'intento di Omero, essendo i due poemi dell'VIII secolo a.C.

Cultura omerica della Vergogna e del Rispetto

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Nel poema vi sono due elementi portanti: la Vergogna o Colpa (ma in senso lato anche Rispetto o Onore) (αἰδώς) e il Rispetto o Gloria (κλέος). Il Rispetto tuttavia si guadagna con bottini di guerra, ed è un'approvazione materiale da parte della comunità; mentre la Gloria si conquista con eroiche azioni militari. La privazione del Rispetto di Achille mediante la confisca della schiava, provoca vergogna e colpa, perché Achille perde di immagine davanti alla collettività.

Un altro caso di "vergogna", che consiste anche nella contaminazione fisica e interiore per l'eroe guerriero, consiste nell'episodio di Tersite, il guerriero storpio che incarna i mali della società, e che ingiuria gli eroi delle loro colpe. Il personaggio è ambiguo perché da una parte è l'anti-eroe per la deformità e la cattiveria di animo, dall'altra è una "voce" di Omero che precisa le motivazioni del destino per cui la guerra tarda a finire, dacché anche gli eroi si macchiano di colpe, e necessitano di purificazione da parte degli dei.

La figura dell'eroe

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La virtù dell'eroe omerico è incentrata nell'ἀρετή', ossia la virtù, intesa qui come valore militare, un'innata eccellenza, spesso voluta dal fatto che l'eroe è il prodotto dell'unione tra un dio e una mortale, o tra una dea e un mortale. Propria dell'eroe è quindi la καλοκἀγαθία ("kalokagathía"), cioè la Perfezione (da καλός καί ἀγαθός "kalós kaí agathós", cioè "bello e buono". Tale "eccellenza innata" porta l'eroe ad avere gli appellativi di "bello e valoroso", caratteristiche particolari per distinguersi nelle battaglie, e soprattutto per essere cantato dai poeti dopo la morte. Lo spirito competitivo nelle vicende porta l'eroe a una ricerca dell'onore, e da qui la disperata ricerca smisurata di Achille, che si converte in eccesso e peccato; in quanto il successo nella battaglia per l'eroe deve raggiungere l'approdo ultimo del "rispetto collettivo" e dell'approvazione della comunità.

Tra gli eroi giovani vi sono anche i due anziani Fenice e Nestore. Costoro rappresentano il profondo rispetto che i giovani hanno per gli anziani più sapienti, che hanno compiuto esperienze anni prima della loro nascita, e custodi del sapere antico e del rispetto religioso. Nestore inoltre è raffigurato da Omero come "pastore di genti", perché incarna la buona figura dell'oratore che riesce, con la quiete e la saggezza, a calmare gli animi e a portare sempre la concordia tra i contendenti. Fenice dal canto suo è l'unico anziano in grado di riuscire a placare la furia di Achille, dopo l'offesa di Agamennone, e a tentare di farlo ragionare.

L'epiteto formulare

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L'epiteto è un complemento dei nomi dei personaggi dei poemi omerici, ed è un complemento-aggettivo che serve a completare delle porzioni di verso, essendo una "formula" tipica per descrivere le qualità di ciascun eroe, come "divino", "veloce", "molto potente". Nell'epoca della composizione del "ciclo Troiano" fu molto utile agli aedi e agli autori papiracei per l'integrazione dei versi in esametri o distici.

L'epiteto più semplice e frequente è l'aggettivo «divino» (in greco antico: δῖος?, dîos), applicabile senza distinzione a tutti gli eroi epici. Alcuni epiteti, infatti, potevano essere applicati a molte persone: Diomede (per esempio Iliade, VI, 12) e Menelao (per esempio Odissea, XV, 14) vengono definiti «dal potente grido di guerra» (in greco antico: βοὴν ἀγαθός?, boèn agathós). Altri sono invece personalizzati: solo Zeus è definito «portatore di egida» (in greco antico: αἰγίοχος?, aighíochos), solo Achille è detto «piede leggero» (in greco antico: πόδας ὠκύς?, pódas okýs) e solo Atena «occhi azzurri» (in greco antico: γλαυκῶπις?, glaukôpis).

Stile

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Omero scrive in esametri e utilizza come lingua una mescolanza di vari dialetti greci.[10] Tale lingua proveniva dall'antico indoeuropeo, e possedeva la consonante del digamma (Ϝ), presente nell'alfabeto miceneo. Se ne accorse il filologo Richard Bentley, studiando il comportamento dello iato omerico, usato molto per scopi metrici. Fra i dialetti, il più frequente è quello eolico, ma vi sono anche presenze ioniche e attiche. Questo perché il poema fu prima tradotto nelle regioni eoliche (dove si praticava la poesia), e poi nella Ionia, la nuova regione greca.

L'andamento dei canti è molto lineare, appunto per la presenza degli epiteti e di tipiche formule sintattiche del racconto, come scambio di battute o di dialoghi, ripetute più volte nella stessa forma. I dialoghi spesso sono molto solenni e lunghi, e raccontano varie vicende del passato, o addirittura di secoli prima dell'avvenimento dei presenti fatti, come tesi usata, da parte del dialogante, per rafforzare le proprie opinioni, o per ricordare a bella posta un fatto antico che sia di esempio ed educazione per il lettore, nonché per gli ascoltatori stessi della vicenda. La figura dell'autore-narratore è di pregio: egli, nella buona tradizione degli aedi, invoca la Musa ispiratrice, Calliope, affinché lo aiuti a comporre i versi adatti per plasmarli nella migliore forma possibile. Il narratore, oltretutto, è onnisciente, e spesso interviene con commenti e opinioni personali durante il racconto.

Altri poemi nell'antichità incentrati sulla guerra di Troia

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Fuga di Enea da Troia, Federico Barocci - 1598 - Galleria Borghese - Roma.

Oltre all'Iliade di Omero esistono altri poemi epici che trattano la guerra fra achei e troiani. Tra questi vi sono:

L'Iliade nella cinematografia

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Note

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  1. ^ Stesura scritta promossa da Pisistrato
  2. ^ Il titolo deriva dal greco antico Ílion (Ἴλιον), altro nome dell'antica città di Troia
  3. ^ Eva Cantarella, Itaca, Feltrinelli, 2003, p. 47, ISBN 978-8807946202.
  4. ^ Mario Zambarbieri, L'Odissea com'è: Canti I-XII: Lettura critica, LED Edizioni Universitarie, 2002, p. 46, ISBN 978 8879161893.
  5. ^ Ilìade, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 27 ottobre 2016.
  6. ^ Libro III, 34, 137.
  7. ^ Cicerone, Opere retoriche, vol. I, a cura di Giuseppe Norcio, Torino, Utet, 1970, p. 529
  8. ^ Letteratura greca, Mondadori, 1989, vol. I, p.104.
  9. ^ Dolone è un nomen loquens, cioè un nome che parla e significa "inganno"
  10. ^ (EN) Ancient Greece - Homer - The Iliad, su ancient-literature.com.

Bibliografia

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Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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