L'iperbole (dal greco antico: ὑπερβολή?, hyperbolḗ, "eccesso") è una figura retorica che consiste nell'esagerare la descrizione della realtà tramite espressioni che l'amplifichino, per eccesso o per difetto.[1]
«È un secolo che non ti vedo!»
«Darei la testa per quella macchina!»
«Il prezzo del petrolio è schizzato alle stelle!»
«Affogare in un bicchiere d'acqua»
Troviamo numerose iperboli in Arietta, un poema di Arnaut Daniel:
«...Io sono Arnaldo, che corro con il vento, caccio con il bue la lepre e nuoto contro la marea montante...
Un esempio è nel brano di Ariosto che parla di come Angelica fugge da Rinaldo:
«Quivi parendo lontana a Rinaldo mille miglia.»
In Nanà, Delacorta inserisce questa metafora iperbolica:
«Si sentiva come se avesse attraversato il deserto del Gobi a piedi, bevendo solo dell'acqua piovana.»
L'iperbole presuppone la "buona fede" di chi la usa: non si tratta infatti di un'alterazione della realtà al fine di ingannare[2] ma, al contrario, allo scopo di dare credibilità al messaggio attraverso un eccesso nella frase che imprima nel destinatario il concetto che si vuole esprimere[3][4]
Un'iperbole che ha forma di paradosso è l'adynaton.[5] La figura retorica contraria dell'iperbole è l'understatement.