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Chiodino
Armillaria mellea
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoFungi
DivisioneBasidiomycota
SottodivisioneAgaricomycotina
ClasseAgaricomycetes
SottoclasseAgaricomycetidae
OrdineAgaricales
FamigliaPhysalacriaceae
GenereArmillaria
SpecieA. mellea
Nomenclatura binomiale
Armillaria mellea
(Vahl) P. Kumm., 1871
Nomi comuni
  • Chiodino del miele, fungiu 'e troccanu, famigliola buona, Agarico di miele, fungo della zocca,
  • Gabireu, ciuìn (nel milanese e pavese)
  • Famiòla (in piemontese)
  • Ciodèl (in bresciano)
  • Aigagni (appennino tosco-emiliano)
  • Sementrecoli (Monti Cimini)
  • Ragagnén, murgaién (appennino bolognese)
  • Armillaire couleur de miel (FR)
  • Honiggelber Hallimasch (DE)
  • Katzbalger (DE)
Armillaria mellea
Caratteristiche morfologiche
Cappello
conico-ottuso
Imenio
Lamelle
decorrenti
Sporata
bianca
Velo
anello
Carne
immutabile
Ecologia
Commestibilità
commestibile dopo cottura

Il chiodino (Armillaria mellea (Vahl) P. Kumm., 1871) è un fungo basidiomicete della famiglia Physalacriaceae.[1]

Questo micete meriterebbe, secondo autori del passato, il nome di "asparago dei funghi" per il fatto che la parte commestibile di esso è costituita dall'estremità superiore del gambo unitamente al cappello, mentre il resto dei gambi (specialmente negli individui adulti) è coriaceo ed assai indigesto.

Tassonomia

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La specie venne originariamente denominata Agaricus melleus dal botanico danese-norvegese Martin Vahl nel 1790; venne spostata nel genere Armillaria nel 1871 da Paul Kummer.

Etimologia

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Descrizione della specie

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Schema a colori risalente al 1871 di Armillaria mellea.

Cappello

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4–7 (15) cm, carnoso, dapprima emisferico o conico, dopo sempre più spianato per poi diventare prima convesso, in seguito piano, e talvolta depresso; membranoso, leggermente umbonato al centro, con una cuticola liscia, dal colore che varia a seconda della pianta parassitata e dall'umidità dell'ambiente circostante, dal giallo-miele o bruno rossiccio al verdastro, con orlo sottile, arrotolato, lievemente striato. Sulla superficie del cappello sono presenti delle squame, addensate al centro e assenti negli esemplari maturi.[2][3][4]

Lamelle

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Non fitte, ineguali, bianche da giovani, brune o giallastre o con chiazze rossastre in età avanzata, un po' decorrenti sul gambo.

Gambo

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Esemplari maturi.

5–20 × 1–2,7 cm, cilindrico, affusolato, giallastro o brunastro, ingrossato, curvo, bruno-olivaceo e a volte nerastro verso la base, bruno al centro, di solito saldato con altri individui (fungo cespitoso), pieno, poi cavo, midolloso, pruinoso, giallo-roseo e segnato da leggeri solchi verticali al di sopra dell'anello. Alla base sono presenti delle rizomorfe nerastre che si inseriscono nel substrato di crescita. L'anello, oltre ad essere consistente e piuttosto evidente, è bianco e striato nella parte superiore, giallastro e d'aspetto fioccoso nella parte inferiore.[2][3][4]

Carne

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Tenera sul cappello e nella parte superiore del gambo, coriaceo-fibrosa nel resto, di colore bianco o carnicino.

Spore

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Bianche in massa, lisce, ellissoidali, 8–9 × 5–6,5 µm.[2][3][4][5]

Distribuzione e habitat

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Cresce in autunno, in boschi e foreste di latifoglie o conifere. È cespitoso e parassita di ceppi e tronchi d'albero, di cui può causare addirittura la morte. Il micelio del fungo è bioluminescente. È diffuso in Nord America, in Asia settentrionale ed in Europa, in aree dal clima temperato.[2][3][4][5] In Africa meridionale è stato introdotto.

Commestibilità

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Sbollentatura preventiva
Cottura in padella

Il fungo viene definito come avente una commestibilità condizionata. Ottimo per sapore e gusto, in realtà è tossico da crudo. Il fungo è molto ricercato, apprezzato e consumato da sempre, ma non esente da rischi e, poiché è uno dei funghi più consumati al mondo, sono molte le intossicazioni ascritte al suo consumo.

Contiene infatti tossine di natura proteica ("emolisine") termolabili dai 70 °C che si inattivano sottoponendo a prebollitura il fungo in acqua per almeno 15-20 minuti[6]. L'acqua di prebollitura deve sempre essere eliminata. Durante la cottura, se non sottoposto a questo trattamento, il fungo secerne un liquido viscoso leggermente tossico.

Sono stati registrati inoltre casi di disturbi gastrointestinali, di breve latenza, procurati da esemplari di A. mellea congelati a fresco, ovvero senza prebollitura. Tale fenomeno non è ancora chiaro dal punto di vista scientifico. La teoria più accreditata è che con la congelazione le "emolisine" vengano fissate nella struttura fungina e, pertanto, anche se poi si scongelano i funghi in maniera corretta e si cuociono successivamente attraverso una prolungata cottura, tali principi attivi non vengono smaltiti completamente. Questo fenomeno si registra anche in caso di gelate notturne, per cui è generalmente sconsigliato raccogliere questa specie e le specie affini dopo il verificarsi delle prime gelate autunnali o invernali.[7]

Durante la cottura la carne diventa scura, quasi nera e salvo esemplari molto giovani, si cucina solo il cappello. Viene consumato in umido, trifolato, come condimento per risotti e con carne e salsiccia. Gli esemplari piccoli e sodi si prestano egregiamente alla conservazione sott'olio o sott'aceto[8]. Quelli cresciuti su ceppi di latifoglia sono considerati migliori di quelli cresciuti su ceppi di conifera, a causa del loro gusto meno amaro.[2][3][4]

Malgrado l'assoluta commestibilità del prodotto dopo cottura, anche seguendo le dovute prescrizioni per cucinarli, vi sono persone che hanno manifestato una certa intolleranza, reazioni allergiche o comunque sensibilità all'A. mellea, specie se consumata in quantità eccessive.

Aspetti fitopatologici

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Disegno di A. mellea.
Tronco intaccato da A. mellea

Armillaria mellea è un fungo parassita di piante arboree, in cui provoca il marciume radicale fibroso. Esternamente la corteccia delle grosse radici appare depressa e imbrunita; sotto di essa compaiono spesse placche di micelio di colore bianco-crema, che si insinuano tra il tessuto corticale e il tessuto legnoso, per cui la corteccia finisce per staccarsi facilmente dal legno sottostante. La chioma della pianta appassisce e muore, mentre alla base delle piante attaccate compaiono i corpi fruttiferi del fungo. Il parassita si propaga nel terreno a macchia d'olio attraverso cordoni di ife dette "rizomorfe", per cui passa dalle piante malate a quelle sane. La lotta si effettua con l'estirpazione delle piante colpite; la buca deve essere disinfettata con prodotti chimici. Quando si comporta da saprofita, vegeta sulla pianta morta per più anni, fino a consumare le sostanze nutritive del legno morto.[2][3][4]

Questo fungo, contaminando la corteccia delle querce da sughero, sembra essere tra i principali responsabili del caratteristico difetto enologico del "sentore di tappo".[9]

Specie simili

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[2][3][4][5]

Sinonimi e binomi obsoleti

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Galleria d'immagini

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Note

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  1. ^ (EN) Armillaria mellea, in Index Fungorum, CABI Bioscience.
  2. ^ a b c d e f g h Funghi: Conoscere, riconoscere e ricercare tutte le specie di funghi più diffuse, su books.google.it. URL consultato il 5 marzo 2015.
  3. ^ a b c d e f g h Armillaria mellea, su natura.cr-surfing.net. URL consultato il 5 marzo 2015 (archiviato dall'url originale il 15 settembre 2015).
  4. ^ a b c d e f g h Armillariella mellea (Vahl: Fr.) Singer, su agraria.org. URL consultato il 5 marzo 2015.
  5. ^ a b c Armillaria mellea, su rogersmushrooms.com. URL consultato il 6 marzo 2015 (archiviato dall'url originale il 2 aprile 2015).
  6. ^ AA.VV., Informazioni utili (PDF), in Francesca Assisi (a cura di), I funghi: guida alla prevenzione delle intossicazioni, Ministero della Salute - Regione Lombardia, 2012, p. 21. URL consultato il 13 novembre 2018.
  7. ^ Ettore Bielli, Armillaria mellea, in Funghi: conoscere, riconoscere e ricercare tutte le specie di funghi più diffuse, De Agostini, pp. 89. URL consultato il 13 novembre 2018.
  8. ^ Luisa Cabrini e Fabrizia Malerba, L'Italia delle conserve, Touring Editore, 2004, pp. 44. URL consultato il 13 novembre 2018.
  9. ^ Sentore di Tappo (PDF), su itozieri.gov.it. URL consultato il 13 ottobre 2020 (archiviato dall'url originale il 14 ottobre 2020).
  10. ^ Armillaria mellea, su speciesfungorum.org. URL consultato il 5 marzo 2015.

Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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