Nonostante Alfred Rosenberg dalle colonne del Völkischer Beobachter avesse attaccato alcune sue opere, Arno Breker godette sin dall'inizio dell'appoggio di vari gerarchi ed, in particolare, del Führer in persona. Successivamente, lo stesso Rosenberg mutò la propria opinione sulle sculture di Breker, arrivando a definirle come l'espressione del "possente slancio e forza di volontà" ("Wucht und Willenhaftigkeit") della nuova Germania nazista.[2]
Nel 1936 gli fu commissionata la realizzazione di due sculture destinate ai Giochi della XI Olimpiade di Berlino: una rappresentante un decatleta ("Zehnkämpfer") e l'altra chiamata "Die Siegerin" (La Vittoriosa). Nel 1937 sposò Demetra Messala (Δήμητρα Μεσσάλα), una modella greca. Nello stesso anno si iscrisse al Partito e fu nominato "scultore ufficiale di Stato", cosa che gli consentì di ottenere un'ampia proprietà e uno studio munito di 43 assistenti.[3] Allo scoppio della guerra, Hitler lo esentò dal servizio militare. Breker mantenne anche un rapporto molto stretto con Albert Speer e, infatti, le sue statue "Die Partei" (Il Partito) e "Die Wehrmacht" (L'Esercito) furono poste all'ingresso della nuova Cancelleria del Reich, ideata dallo stesso Speer. Inoltre, i due collaborarono anche nel progetto Welthauptstadt Germania per la rifondazione di Berlino. Il 23 giugno 1940 Breker fu tra gli accompagnatori di Hitler nella sua visita a Parigi, occupata dalle armate tedesche. Due anni più tardi la capitale francese ospitò presso il Museo dell'Orangerie una sua mostra, accolta con entusiasmo da vari artisti francesi, tra cui Jean Cocteau. Fino alla caduta del regime nazista fu professore di arti visive a Berlino.
Il neoclassicismo delle sculture di Breker, espressione di concetti quali la plastica bellezza e il cameratismo, la forza e il sacrificio, rispecchiava al meglio la visione dell'arte tipica del nazionalsocialismo. Tuttavia, è possibile notare anche delle similitudini tra la sua produzione artistica e quella di scultori sovietici come Vera Muchina. Lo stesso Stalin dimostrò notevole ammirazione per Breker, tanto da offrirgli di lavorare per l'URSS a guerra finita (proposta declinata dallo scultore): «Gli unici che trattarono con rispetto il mio lavoro - dichiarò in seguito Breker in un'intervista - furono i sovietici. Stalin era mio grande ammiratore. Durante la guerra, tramite valigia diplomatica, gli avevo inviato alcune riproduzioni fotografiche delle mie opere, formato cartolina, ed egli mi aveva invitato a Mosca, a guerra terminata, perché aveva bisogno di artisti del mio talento».[4]
Al termine della guerra, oltre il 90% delle sculture pubbliche di Breker vennero distrutte dagli alleati. Egli intraprese l'attività di architetto ma continuò a ricevere commissioni per sculture da parte di artisti e uomini d'affari. Realizzò, tra gli altri, busti raffiguranti personaggi come Hailé Selassié I, Mohammed V del Marocco, Anwar al-Sadat, Ezra Pound e Salvador Dalí. Negli anni '80, per le sculture che creò ebbe come modelli alcuni sportivi, come il decatleta Jürgen Hingsen, la saltatrice in alto Ulrike Nasse-Meyfarth e il nuotatore Walter Kusch, che posarono nudi.
Nonostante alcuni casi di dimostrazioni contrarie alla riabilitazione di Arno Breker, essa culminò nel progetto di un museo dedicato alle sue opere, sito nel castello di Nörvenich e inaugurato nel 1985. Sei anni più tardi lo scultore morì. È seppellito nel cimitero Nordfriedhof di Düsseldorf.