Ateneo di Naucrati (in greco antico: Ἀθήναιος Nαυκρατίτης? o Nαυκράτιος, trasl. Athḕnaios Naukratítēs o Naukrátios; Naucrati, ... – dopo il 192) è stato uno scrittore egizio di lingua greca, attivo nell'età imperiale.
Di Ateneo si sa solo ciò che si può estrapolare da brani della sua opera.
Dovrebbe aver scritto dopo la morte di Commodo (192 d.C.) perché ne parla con esecrazione,[1] tra l'altro introducendo come anfitrione del banchetto da cui prende nome l'opera Publio Livio Larense, procurator dell'imperatore tra 189 e 192.[2] Sappiamo dalle titolazioni dei manoscritti che fu di Naucrati e, dunque, greco egiziano, probabilmente grammatico e consultatore della Biblioteca di Alessandria, visto che cita circa 700 autori e 2500 opere che, pur non consultate tutte direttamente, erano conservate ad Alessandria.[3]
Lo stesso argomento in dettaglio: Deipnosophistai.
|
Ateneo scrisse - come egli stesso afferma - almeno due opere che non ci sono giunte: un commento sul pesce thratta, citato dai comici attici, e una Storia dei re di Siria. L'unica sua opera giunta a noi è la miscellanea Δειπνοσοφισταί (I Deipnosofisti o I dotti a banchetto), redatta in quindici libri.[4] Dei primi tre libri dell'opera (oltre a parti dei libri XI e XV), perduti, è sopravvissuta solo una epitome, che consente di avere idea dell'inizio dell'opera:[5]
«Ateneo è il padre di questo libro, destinatario della sua opera è Timocrate, e Dotti a banchetto ne è il titolo. Il soggetto dell’opera è il seguente: il romano Larense, uomo di condizione economica e sociale splendida, elegge a commensali i massimi esperti in ogni disciplina tra quelli del suo tempo, e fra di loro non ce n’è uno del quale l’autore non abbia riportato i bellissimi interventi nella conversazione. Ecco perché ha introdotto nell’opera pesci, con i relativi modi d’impiego e le spiegazioni dei nomi; molteplici varietà d’ortaggi e di animali d’ogni specie; autori di storia, poeti e dotti in ogni campo, strumenti musicali e innumerevoli tipi di scherzi, e ha incluso nell’esposizione differenze tra le coppe, ricchezze di re, dimensioni di navi e altri argomenti, tanto numerosi che non mi sarebbe facile neppure richiamarli alla memoria: se ne andrebbe l’intera giornata ad esporre un genere dopo l’altro. E ancora, il disegno generale dell’opera vuole imitare la sontuosa abbondanza del banchetto, e l’articolazione del libro rispecchia il menu servito nel corso della trattazione. Tale, dunque, si presenta il sopraffino banchetto di discorsi messo in scena da Ateneo, che del disegno generale dell’opera è il mirabile ideatore, e che, superando se stesso, come gli oratori di Atene, con l’ardore della sua eloquenza s’innalza di grado in grado attraverso le parti che si succedono nel libro.»
Nell'opera Ateneo racconta all'amico Timocrate (secondo il modello classico del Simposio di Platone) un simposio, appunto, in cui uomini dotti si intrattengono in un dialogo[6] in cui dibattono riguardo a un ampio spettro di argomenti. Lusso, dieta, salute, sesso, musica, umorismo e lessicografia greca sono tutti argomenti che vengono trattati, ma il centro del dialogo sono il cibo, il vino e il divertimento. Pur nell'estrema confusione dell'opera, è possibile individuare alcuni nuclei tematici che seguono lo svolgersi del banchetto: si passa dai vini e i bagni[7] a battute, musica di intrattenimento e spettacoli grandiosi dell'antichità;[8] da parassiti, schiavi e adulatori celebri[9] a pesci, vegetali e uccelli,[10] per continuare con vari vizi, come gola, lusso, amore, prostituzione e omosessualità[11] e finendo con intrattenimenti e profumi.[12]
Senza il lavoro di Ateneo sarebbero andate perdute molte importanti informazioni sul mondo antico e molti autori (inclusi i poeti parodici Archestrato di Gela, Matrone di Pitane e il medico Androne) sarebbero rimasti totalmente sconosciuti; Ateneo riporta di loro numerose ed ampie citazioni, specie da commediografi. Inoltre, all'interno del XV libro, è presente una raccolta di 25 scolii attici risalente a fine VI-V secolo a.C. Si tratta di una collezione di brevi poesie legate all'uso di recitare, o improvvisare, versi simposiaci; alcune di esse furono quindi composte per improvvisazione durante un banchetto (e successivamente trascritte nella raccolta), altre sarebbero state composte, invece, al fine di essere in seguito recitate a convito. In ogni caso si sentono forti i tratti della recitazione orale e dell'improvvisazione, come si può osservare (all'interno di tutta la lirica greca) soltanto nella raccolta di elegie di Teognide.[13]