Una targa con dedica al dadaismo presso il Cabaret Voltaire

Il cabaret Voltaire è un locale d'intrattenimento con intenzioni artistiche e politiche sperimentali, fondato a Zurigo il 5 febbraio 1916 dal regista teatrale Hugo Ball e da Emmy Hennings. È considerato universalmente la culla del dadaismo, movimento di rottura e rinnovamento delle logiche artistiche tradizionali, fra i cui membri figurarono Marcel Janco, Richard Huelsenbeck, Tristan Tzara e Hans Arp.

Storia

Durante la prima guerra mondiale la Svizzera è un paese neutrale; tra molti rifugiati che arrivano a Zurigo sono presenti molti artisti provenienti da tutta Europa. Ball e Hennings si accordano con il proprietario del Meitrei Bar al numero 1 di Spiegelgasse, chiedendo di poter usare la sala sul retro per degli eventi. Dal comunicato stampa che accompagna l'apertura del locale si legge:

«Cabaret Voltaire. Sotto questo nome un gruppo di giovani artisti e scrittori si è formato con lo scopo di creare un centro per l'intrattenimento artistico. L'idea del cabaret sarà che gli artisti ospiti verranno e offriranno esibizioni musicali e letture agli incontri quotidiani. I giovani artisti di Zurigo, qualunque sia il loro orientamento, sono invitati a partecipare mediante suggerimenti e contributi di ogni tipo.»

Il Cabaret è caratterizzato dalla danza, dalla musica e dalle letture. Al Cabaret si tenevano mostre d'arte russa e francese, danze, letture poetiche, esecuzioni di musiche africane. Spettacoli provocatori e dissacranti che si trasformavano in autentici "eventi" culturali. Specchiando la situazione generata dalla prima guerra mondiale l'arte esibita è caotica e brutale. In almeno un'occasione il pubblico attacca il palco del Cabaret Voltaire.

Il 28 luglio 1916 Ball rende pubblico il Manifesto Dada. A giugno, pubblica un periodico con lo stesso nome; contiene lavori di artisti come Guillaume Apollinaire e la copertina è disegnata da Jean Arp. Anche se è il luogo di nascita del movimento dadaista, il cabaret ha a che fare con ogni settore dell'avanguardia, incluso il futurista Marinetti. Vengono presentati artisti radicalmente sperimentali, molti dei quali finiscono col cambiare l'espressione delle loro discipline artistiche; gli artisti in questione includono Kandinsky, Paul Klee, de Chirico ed Ernst.

Mentre il movimento Dada sta iniziando, nel 1917, l'eccitazione generata dal Cabaret Voltaire si spegne e gli artisti sono costretti a trasferirsi in altri posti a Zurigo, come la Galerie Dada a Bahnhofstrasse 19, e in seguito a Parigi e Berlino. Le attività al cabaret generano il movimento culturale Dada che ha una forte influenza sul surrealismo.

David Woodard, Ma Anand Sheela e Christian Kracht lettura a Cabaret Voltaire nel 2008[1][2][3]

Eventi recenti

In anni recenti l'edificio che ha ospitato il Cabaret Voltaire cade in rovina e durante l'inverno 2001-2002 un gruppo di artisti autonominatisi Neo-Dadaisti, organizzati da Mark Divo, occupa illegalmente il palazzo per protestare contro la demolizione. Dichiarano che è il segnale per una nuova generazione di schierarsi per una rinascita di Dada.

Per oltre tre mesi si tengono un grande numero di esibizioni, feste, letture di poesie e visioni di film. Il palazzo viene, inoltre, decorato e restaurato sia all'interno che all'esterno. Migliaia di persone a Zurigo prendono parte all'esperimento. Il 2 marzo 2002 la polizia fa uscire gli occupanti.

Da quel momento l'edificio ha ripreso in parte la sua funzione originaria; ha aperto di nuovo come cabaret, negozio e vanta un programma piuttosto importante in fatto di mostre ed eventi.

Curiosità

La targa affissa dopo l'occupazione del locale nel 2001-2002: "in questo edificio, dal 5 febbraio al 2 aprile 2002 furono fatti rivivere nuovamente il Cabaret Voltaire ed il Dadaismo, r.i.p."

Note

  1. ^ Dreamachine: David Woodard, Sheela Birnstiel, Christian Kracht, 2 maggio–24 agosto 2008.
  2. ^ Paunić, N., "Cabaret Voltaire Securing its Future", Widewalls, Febbraio 2016.
  3. ^ Bronner, S., & B. Weyand, Christian Krachts Weltliteratur: Eine Topographie (Berlin & Boston: De Gruyter, 2018), p. 201.

Bibliografia

Voci correlate

Altri progetti

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