Domizio Torrigiani (Lamporecchio, 14 luglio 1876 – Lamporecchio, 30 agosto 1932) è stato un avvocato italiano, gran maestro del Grande Oriente d'Italia dal 1919 al 1925.
Torrigiani lega il suo nome ad uno dei periodi più difficili della storia della Massoneria italiana: fu eletto gran maestro del G.O.I. il 23 giugno 1919, dopo la fine della prima guerra mondiale e poco prima dell'avvento del fascismo. Succedette nella carica ad Ernesto Nathan.
Inizialmente i rapporti tra il Grande Oriente d'Italia di Torrigiani ed il regime fascista furono tutt'altro che conflittuali[1]. Tuttavia con il passare degli anni il regime mutò atteggiamento. Nel 1923 fu stabilita l'incompatibilità dell'appartenenza contemporanea al Partito Nazionale Fascista ed alla Massoneria; nel 1925 il regime attua con maggiore decisione il proprio attacco contro la massoneria italiana: vengono più volte distrutte varie sedi del Grande Oriente d'Italia, viene occupato palazzo Giustiniani, e a novembre entra in vigore la legge che sanziona con il licenziamento tutti gli impiegati pubblici che risultano affiliati a «società segrete»[2]. Torrigiani fu perciò obbligato dal decreto del 22 novembre 1925, a sciogliere tutte le logge massoniche[3].
Già nel 1924 Torrigiani aveva svolto un ruolo nella divulgazione dei memoriali di Filippelli[4] e di Cesarino Rossi[5], vanificando più volte i tentativi di occultare le responsabilità del regime fascista nel delitto Matteotti.
Quando in quel periodo la Massoneria italiana fu accusata di anteporre gli interessi stranieri a quelli italiani[6], Torrigiani rispose inviando direttamente a Benito Mussolini una protesta formale in rappresentanza del Grande Oriente d'Italia, nella quale lamentava le devastazioni fasciste ai danni delle logge massoniche[6], rivendicando al proprio ordine il merito di propugnare idee di libertà, giustizia e indipendenza[7].
Nell'aprile 1927 Torrigiani, di ritorno dalla Francia, viene arrestato principalmente per ragioni politiche[8]. Inizialmente è tradotto presso il carcere di Regina Coeli, successivamente è inviato al confino dapprima a Lipari, poi a Ponza. Le misure di sicurezza adottate nei suoi confronti erano particolarmente dure e intense; prevedevano infatti vigilanza diurna e notturna con la scorta raddoppiata, pattuglie militari a vigilanza della sua abitazione ed un servizio di pattugliamento marino al fine di evitare qualsiasi tipo di fuga[9].
A Ponza nel 1931, Torrigiani insieme ad altri massoni lì confinati fra cui Bruno Misefari[10], costituisce una nuova loggia aderente al Grande Oriente d'Italia denominata "Carlo Pisacane", per celebrare proprio il patriota che attraccò sull'isola per la cosiddetta Spedizione di Sapri[11]. La "Pisacane" assunse il ruolo di Loggia Madre del GOI, considerato che dal 1925 la massoneria in Italia era stata soppressa[10].
Liberato solamente nell'aprile del 1932, si ritrova quasi cieco a causa delle sofferenze patite al confino[12]. Trasferitosi nella sua casa toscana di Lamporecchio, muore il 30 agosto 1932.
"Secondo una ricostruzione del dopoguerra, il feretro poté essere scortato solo da fascisti, essendo proibito a chiunque, pure alla famiglia, di seguirlo. La salma fu cremata all’imbrunire e le ceneri deposte nella cappella di famiglia a Lamporecchio"[13].