Epitoma rei militaris | |
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Altri titoli | De re militari L'arte della guerra |
Incipit dell'editio princeps | |
Autore | Publio Vegezio Renato |
1ª ed. originale | IV/V secolo |
Editio princeps | Utrecht, Nicolaus Ketelaer e Gerardus de Leempt, 1473-1474 circa |
Genere | Trattato |
Sottogenere | Arte militare |
Lingua originale | latino |
L'Epitoma rei militaris (conosciuta anche come De re militari o con il titolo italiano di «L'arte della guerra») è un'opera in lingua latina scritta da Publio Vegezio Renato tra la fine del IV e gli inizi del V secolo.
Si tratta di un compendio di idee per riformare l'esercito romano e riportarlo all'antico splendore. Il primo libro fu composto inizialmente come un'opera a sé stante; dato il suo successo l'autore compose i restanti tre libri.
L'Epitoma rei militaris è, come dichiarato da Vegezio stesso, un compendio di opere sull'arte militare scritte da autori precedenti, tra cui Catone il Censore, Celso, Frontino e Paterno, nonché di costituzioni emanate in materia da Augusto, Traiano e Adriano.[1] L'intento che l'epitome si propone è quello di porre rimedio alle difficoltà della macchina militare imperiale attraverso il recupero di schemi tattici e strategici tratti dal repertorio della gloriosa tradizione dell'antica Roma.
Si divide in quattro libri, che trattano rispettivamente di:
Il primo libro fu spontaneamente composto dall'autore come "un opuscolo sulla selezione e sull'addestramento delle reclute"[2] e dedicato all'imperatore regnante; questi approvò il libro, che nelle intenzioni iniziali di Vegezio avrebbe dovuto essere l'unico, e gli chiese di continuare l'opera, cosicché l'autore compose i restanti libri.
La data di redazione è incerta: fu scritta certamente dopo il 383 e prima del 450, anno a cui si riferisce la data consolare di una recensione di Flavio Eutropio, ricordata nei manoscritti.[3] Controversa anche l'identificazione dell'imperatore, non specificato, a cui il testo si riferisce: Teodosio I,[4][5] Valentiniano III[6] o, forse più verosimilmente, Teodosio II.
L'opera fu enormemente celebre nel Medioevo e ne sono sopravvissuti 324 manoscritti, di cui 243 in latino.[7] Uno dei primi volgarizzamenti conosciuti risale al XIV secolo (attribuita a Bono Giamboni), e fu in seguito tradotta anche in inglese, francese, catalano, spagnolo, ceco e yiddish, ancora in epoca precedente all'invenzione della stampa. La prima edizione tipografica fu l'incunabulo stampato a Utrecht nel 1473, e ancora nel XV secolo seguirono edizioni a Colonia, Parigi, Roma e Pisa.
Fu base dell'educazione militare fino a Carl Von Clausewitz e la conobbero Federico il Grande e Napoleone. Ha esercitato influenza anche in campo politico e letterario e fu apprezzata da Tommaso d'Aquino e da Niccolò Machiavelli.