Ero e Leandro (1828), dipinto di William Etty.

Ero e Leandro sono i protagonisti di una struggente storia d'amore giunta sino a noi attraverso due autori classici: Publio Ovidio Nasone, poeta latino del I secolo d.C.; e Museo Grammatico, autore greco del V/VI secolo d.C.
L'amore appassionato fra i due e il tragico epilogo della vicenda hanno nel tempo ispirato vari autori i quali hanno rivisitato il mito arricchendolo via via di pathos, levigandone le vicende e accrescendone il dramma. In tempi e luoghi diversi, Bernardo Tasso e Christopher Marlowe hanno entrambi esaltato in un poemetto l'amore della giovane coppia.

Si racconta che Lord Byron abbia voluto provare sulla propria persona la veridicità della storia attraversando da solo, a nuoto e di notte, l'Ellesponto.

Franz Liszt e Robert Schumann sono tra i compositori che hanno dato veste musicale al mito.

Leggenda

[modifica | modifica wikitesto]

Ero e Leandro sono due giovani innamorati e bellissimi che vivono sulle sponde opposte di uno stretto braccio di mare, attraversato da correnti fortissime e da moltissime navi. L'opposizione delle famiglie al loro amore e la distanza non li scoraggia: Leandro, forte della sua gioventù intrepida e del suo amore, ogni notte si tuffa nelle acque inquiete e pericolose per raggiungere di nascosto l'amata. Ero, consapevole dei pericoli che Leandro corre per lei attraversando le terribili acque agitate, l'attende alla finestra della sua casa affacciata sullo stretto con una candela accesa in mano, affinché la luce possa far da guida all'amante indicandogli la rotta da seguire.
Una notte però la fiamma improvvisamente si spegne e, prima che Ero se ne accorga, Leandro smarrito perde la via nell'impetuoso mare e, stremato, vi trova la morte.

La versione di Ovidio

[modifica | modifica wikitesto]

La storia d'amore, con la prova di coraggio e fedeltà costante, e l'attesa reiterata e speranzosa della giovane amante ha ispirato Ovidio, che include Ero e Leandro tra le coppie celebrate nelle sue Eroidi e rintraccia nella tragica vicenda temi cari alla sua poetica (l'attesa, l'amore fedele, la speranza vacillante di chi non si crede più amata).
Le lettere dedicate alla coppia sono la XVIII (Leandro a Ero) e la XIX (Ero a Leandro)[1].

Lettera XVIII

[modifica | modifica wikitesto]

Leandro descrive con vivide immagini il suo amore assoluto e devoto per Ero. Dice Leandro alla giovane amata che traversando il mare egli è nello stesso tempo atleta e naufrago:

«Se credi alla verità, venendo mi sembra di essere
nuotatore, tornando mi sembra di essere un naufrago.
E se mi credi, verso di te la via mi sembra in discesa,
quando parto da te, è un monte di acqua insensibile»

L'arrivo del maltempo, le tempeste sul mare, rendono impossibile la traversata; l'angosciata costatazione che occorrerà aspettare del tempo per rivedersi offre l'occasione ad Ovidio per inserire, nel contesto di questa storia d'amore travagliata, un'altra vicenda: l'allusione ad Elle e Frisso, elegante citazione mitologica, evoca già un destino di morte e annientamento:

«Mi lamentavo di non avere altro modo di giungere
da te, ora mi lagno che anche questo mi manchi, per via del vento.
L’acqua dell’Ellesponto biancheggia dei marosi smodati,
a stento le navi restano sicure nel loro porto.
Così, penso, era questo mare quando per la prima volta
prese dalla vergine annegata il nome che ha ancora.»

Leandro, con commozione, sfoga la sua frustrazione per la distanza che lo separa da Ero e per il mare in tempesta; promette, infine, di raggiungere presto l'amata, anche a costo di morire:

«Non ti avrò dunque mai se non quando lo vorrà il mare,
nessun inverno dunque mi vedrà felice?
E poiché niente è meno certo del vento e dell’acqua,
la mia speranza deve essere sempre riposta nel vento e nell’acqua?
Adesso è ancora estate, ma quando le Pleiadi,
Boote e la capra Olenia, sconvolgeranno il mare?
O non so fino a che punto ho coraggio, oppure anche
senza cautela, Amore mi getterà in mezzo alle onde.
E perché tu non creda che io prometta per un futuro lontano,
ti darò presto un pegno della mia promessa:
se il mare resterà gonfio ancora per poche notti,
cercherò di andare per i flutti ostili;
o avrò sano e salvo il premio della mia audacia,
o la morte sarà la fine di questo amore affannoso.»

Lettera XIX

[modifica | modifica wikitesto]

La risposta di Ero a Leandro apre una porta sulla vita in tempi passati, sulle differenti occupazioni in cui sono impegnati uomini e donne, guardando ogni cosa da una delicata prospettiva giovane ed innamorata, molto femminile:

«Troppo lungo è ogni indugio che ritarda la nostra gioia;
perdona la mia confessione: il mio amore non è paziente
Bruciamo dello stesso fuoco, ma non sono pari le forze:
sospetto che negli uomini sia più forte il carattere
Come il corpo, così anche la mente delle ragazze è fragile:
morirò se prolunghi ancora un poco l’indugio.
Voi, andando a caccia o coltivando i poderi,
mettete molto tempo in vari indugi.
Vi trattengono il foro, gli esercizi in palestra,
o reggete col freno il collo del vostro cavallo,
o prendete con la rete l’uccello o con l’amo i pesci:
passa più svelto il tempo col vino in tavola
A me, che sono reclusa, se anche bruciassi di meno,
non resterebbe nient’altro da fare che amare.»

La ragazza, turbata e in ansia per l'assenza dell'amato, anche se da lui ha ricevuto conferme e promesse d'amore, vacilla e si abbandona ad un accenno di gelosia: che l’indugio di Leandro sia dovuto a un’altra causa?

«Non temo tanto i venti, che ritardano i miei desideri,
ma che non si disperda, simile al vento, il tuo amore,
che io conti meno per te, che i pericoli superino
il motivo per venire, e il compenso non valga più la fatica.
Talvolta temo che mi danneggi la patria e si dica
che una ragazza di Tracia non è all’altezza di un letto di Abido.
Eppure sono in grado di sopportare tutto piuttosto
che tu resti in ozio, conquistato da non so che rivale,
e abbraccino il tuo collo braccia estranee, e un nuovo
amore sia la fine del nostro amore.
Piuttosto morire che soffrire questa sciagura,
e il mio destino si compia prima del tuo tradimento!»

La lettera si chiude con un presagio di morte, che Ero ipotizza sia determinata dal tradimento di lui, spingendo, di fatto, con la sua insistita impazienza, Leandro tra i flutti in tempesta, mandandolo incontro a un triste destino.

Il testo di Museo

[modifica | modifica wikitesto]

Risale al tardo V secolo d.C. un poemetto, Τὰ καθ’ Ἡρὼ καὶ Λέανδρον, di cui è sopravvissuto il solo epillio, 343 esametri, dedicato ai due giovani amanti, opera di Museo Grammatico, influenzato da trame e peripezie proprie del romanzo greco d'età ellenistica.
Dopo l'invocazione alla Musa, Museo entra nel vivo della vicenda presentando i due giovani protagonisti; sappiamo così che Ero è di Sesto e Leandro è di Abido:

«L’una abitava a Sesto, l’altro nella città di Abido
di entrambe le città bellissimi astri pari l’uno all’altro.
Se un giorno passerai il mare in quel punto
cerca una torre, dove un tempo Ero di Sesto
stava dritta tenendo la lampada e così indicava la via a Leandro.
cerca il risonante stretto dell’antica Abido
che ancora piange l’amore e la morte di Leandro»

Leandro, vista Ero durante una festa, se ne innamora follemente; la ragazza è sacerdotessa di Afrodite e inizialmente è ritrosa e resiste all'amore, tuttavia Leandro insiste e non demorde, nonostante le resistenze, ed Ero, alla fine, cede all'amore per il ragazzo:

«Così quegli, parlò d'amor facendo
L' anima accesa gareggiar co' detti,
Ed in tal modo persuasa ei vinse
Della donzella la ritrosa mente.»

Decisiva per la divulgazione della favola antica in età umanistica fu la stampa dell'idillio di Museo nel 1495 ad opera di Aldo Manuzio, a cui segui, per cura dello stesso, la traduzione latina con testo a fronte tra il 1495 e il 1497; le edizioni aldine ebbero lunga fortuna e furono ristampate più volte con pochi ritocchi e costituirono un testo di riferimento per edizioni successive. Vi accennano anche altri autori, ma deve la sua fortuna soprattutto a un poemetto in esametri di Museo Grammatico, del V o VI secolo dopo Cristo.

Il giovane Leandro, che viveva ad Abido, amava Ero, sacerdotessa di Afrodite a Sesto, sulla costa opposta, e attraversava lo stretto ellespontino a nuoto ogni sera per incontrare la sua amata. Ero, per aiutarlo a orientarsi, accendeva una lucerna. Una notte una tempesta spense la lucerna e Leandro, disorientato, morì tra i flutti. All'alba Ero vide il corpo senza vita dell'amato sulla spiaggia e, affranta dal dolore, si uccise gettandosi da una torre.

Altre narrazioni del mito

[modifica | modifica wikitesto]
(ES)

«[…]
Tello:
 ¿No te cansa y te amohína
tanto entrar, tanto partir?
Alonso:
 Pues yo ¿qué hago en venir,
Tello, de Olmedo a Medina?
 Leandro pasaba un mar
todas las noches, por ver
si le podía beber
para poderse templar;
[…]»

(IT)

«[…]
Tello:
 Non ti stanca o reca noia
tanto andare e venire?
Alonso:
 Ma, cosa mai sarà, Tello,
il mio andare da Olmedo a Medina?
 Leandro attraversava un mare intero
ogni notte per vedere
se, bevendolo,
potesse trovar refrigerio [alle pene d'amore];
[…]»

Curiosità

[modifica | modifica wikitesto]

Note

[modifica | modifica wikitesto]
  1. ^ Publio Ovidio Nasone, Ero a Leandro, su it.wikisource.org. URL consultato il 9 gennaio 2021.
  2. ^ Biblioteca: Museo Grammatico, Ero e Leandro, su ilcrepuscolo.altervista.org. URL consultato il 9 gennaio 2021.
  3. ^ Francesco Petrarca, Triumphus Cupidinis - Trionfo d'Amore Capitolo III, in Trionfi, 1374.
  4. ^ Dante Alighieri, XXVIII Canto del Purgatorio.
  5. ^ (ES) El caballero de Olmedo — Segunda jornada, su cervantesvirtual.com. URL consultato il 9 gennaio 2021.
  6. ^ Domenico Accorinti, Cave Amorem: letture allegoriche e morali del mito di Ero e Leandro, su books.openedition.org. URL consultato il 9 gennaio 2021.
  7. ^ Ero e Leandro - Libretto, su opera.stanford.edu, University of Stanford. URL consultato il 9 gennaio 2021.
  8. ^ Fantasiestücke, Op.12 (Schumann, Robert), su imslp.org. URL consultato il 9 gennaio 2021.
  9. ^ R. Schumann, Lettera a Clara Wieck, 21/4/1838, su Herbert M. (a cura di), The Early Letters of Robert Schumann, Archive.org, Londra, George Bell & Sons, 1888. URL consultato il 9 gennaio 2021.

Altri progetti

[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni

[modifica | modifica wikitesto]
Controllo di autoritàVIAF (EN57411227 · LCCN (ENno2019047265 · GND (DE118811169