Ritratto immaginario del poeta Ovidio.

Publio Ovidio Nasone, noto semplicemente come Ovidio (in latino: Publius Ovidius Naso[1], pronuncia classica o restituta: [ˈpuːblɪ.ʊs ɔˈwɪdɪ.ʊs ˈnaːsoː]; Sulmona, 20 marzo 43 a.C.[2]Tomi, 17 o 18 d.C.[2][3][4]), è stato un poeta romano, tra i principali esponenti della letteratura latina e della poesia elegiaca.

Fu autore di molte opere, il cui corpus è tradizionalmente suddiviso in tre sezioni. La prima sezione, che si colloca tra il 23 a.C. e il 2 d.C., è rappresentata dalle opere elegiache di argomento amoroso e comprende gli Amores[1][4], le Heroides[1][4] (Epistulae heroidum) e il ciclo delle elegie a carattere erotico-didascalico.

La seconda sezione, tra il 2 d.C. e l'8 d.C.[3], è caratterizzata dalle Metamorfosi[1][3][4] (Metamorphōses o Metamorphosěon libri) e dai Fasti[1][3][4], di intonazione religiosa, mitologica e politica.
La terza e ultima sezione, compresa tra l'8 d.C. e la morte (17 o 18 d.C.), include le elegie dell'invettiva e del rimpianto: Tristia[1][4] (Tristezze[3]), Epistulae ex Ponto[1][4] (Lettere dal Ponto[3]), Ibis[1][3].
Fu autore anche di altre opere, andate oggi perdute, tra cui una Gigantomachia e una tragedia, la Medea[1]. Di grande importanza sono le odi, di cui oggi ci restano solo piccoli frammenti.

La fama di Ovidio fu grande in vita quanto nelle epoche successive alla sua morte: ne riprendono i temi o ne imitano lo stile, tra gli altri, Dante Alighieri, Francesco Petrarca, Giovanni Boccaccio, Ludovico Ariosto, William Shakespeare, Giambattista Marino e Gabriele D'Annunzio.[3] Inoltre, innumerevoli sono gli spunti che le Metamorfosi hanno fornito a pittori e scultori italiani ed europei.[3][5]

Biografia

Sulla vita di Ovidio non si conosce molto e le uniche testimonianze provengono proprio dal poeta stesso: scrive infatti un'elegia di natura autobiografica (la quarta dei Tristia).

La giovinezza e gli studi

Ovidio immaginato dalle Cronache di Norimberga

Ovidio nacque a Sulmo (l'odierna Sulmona, in provincia dell'Aquila), nella Regio IV Samnium, il 20 marzo del 43 a.C. in una famiglia facoltosa appartenente alla classe equestre. All'età di 12 anni si reca a Roma con il fratello Lucio, poi morto prematuramente, per completare gli studi, dove ha appunto modo di frequentarne le lezioni di grammatica e retorica dai più insigni maestri dell'Urbe, quali Marco Aurelio Fusco e Marco Porcio Latrone.
Il padre lo vorrebbe oratore, ma Ovidio si sente già più portato per la poesia. Seneca il Vecchio ricorda che Ovidio declamava raramente, per lo più suasorie. Più tardi Ovidio si reca, com'era costume ormai da un secolo, ad Atene, visitando durante il viaggio di ritorno le città dell'Asia Minore; va anche in Egitto e per un anno soggiorna in Sicilia.

La carriera a Roma

Statua di Ovidio a Sulmona, opera di Ettore Ferrari, 1925

Tornato a Roma, Ovidio intraprende la carriera pubblica, senza distinguersi per zelo o importanza di honores. È uno dei decemviri stilibus iudicandis e dei tresviri, i funzionari, forse, di polizia giudiziaria. Non aspira poi al Senato romano, pago della propria dignità equestre; contrariamente al fratello e contro la volontà di suo padre si dedica agli studi letterari.
Inizialmente ha contatti con il circolo di Messalla Corvino (filorepubblicano), che lo stimola a dedicarsi alle lettere; più tardi invece entra nel circolo di Mecenate (filoaugusteo), conoscendo i più importanti poeti del tempo: Orazio, Properzio e, per poco, Virgilio. Questo ambiente culturale aiuta Ovidio, che in questi anni ritrova la serenità e l'incentivo necessario per esprimersi e produrre.
Siamo nel periodo storico della pax augustea e i costumi di Roma tendono a rilassarsi, c'è una concezione più libera e rilassata della morale che arriva dall'influenza ellenistica.

Ovidio elegiaco

Ovidio è il più giovane dei poeti elegiaci e si differenzia in gran parte da loro. Se essi rifiutavano il mos maiorum (le tradizioni degli avi), ma ne desideravano i benefici, Ovidio rifiuta questa contraddizione e il mos in toto. Si può parlare anche di relativismo poiché rifiuta i valori fissi e rigidi della vecchia società romana per aprirsi alle mode del tempo, cercando di assecondare il gusto volubile del pubblico.

L'amore

Ovidio si sposa per tre volte: ma, se nei primi due casi, divorzia presto, il terzo matrimonio è invece il più significativo. Delle prime due mogli non si sa nulla, tranne che da una di loro nasce Ovidia, a sua volta scrittrice colta. Il terzo matrimonio avviene con Fabia, appartenente all'omonima gens, vedova con una figlia e fedele consorte nella gioia e nel dolore, della quale il poeta, nelle sue opere, conserva un ricordo commosso.

La relegatio a Tomis e la morte

Nell'8 d.C. Ovidio cade in disgrazia presso l'imperatore Augusto e viene relegato nella lontana Tomis (oggi Costanza), un piccolo centro portuale sul mar Nero, nell'attuale Romania. Nei Tristia, scrive:

(LA)

«Perdiderint cum me duo crimina, carmen et error
alterius facti culpa silenda mihi»

(IT)

«Due crimini mi hanno perduto, un carme e un errore:
del secondo debbo tacere le mie colpe»

Il poeta dunque attribuisce l'esilio a un carmen et error, ma tale vaga espressione ha favorito il proliferare di interpretazioni diverse, alcune probabili, altre più fantasiose, riguardo al possibile error:

Il termine carmen farebbe invece riferimento alle opere di Ovidio, in contrasto con i princìpi della restaurazione augustea (specialmente l'Ars amatoria)[7]: secondo Felice Vinci e Arduino Maiuri[7], avrebbe rivelato in un carme il nome segreto di Roma, che sarebbe stato Maia, la Pleiade madre di Mercurio; tale atto era passibile di pena capitale, ma Augusto lo avrebbe punito solo con l'esilio, mantenuto da Tiberio. D'altra parte, l'Ars amatoria, cioè il carmen, fu pubblicato oltre sette anni prima la condanna alla relegatio, per cui non può essere stata la sola causa della condanna: è necessario anche l'error citato da Ovidio insieme al carmen. Non si sa esattamente quale sia stato l'error ma deve sicuramente essere un fatto personale molto grave, tale da giustificare l'improvvisa decisione di Augusto il quale, per di più, non perdonò mai il poeta, nonostante le suppliche sue e degli amici.

Nemmeno Tiberio, succeduto ad Augusto nel 14 d.C. perdonò Ovidio, tant'è che il poeta muore tra il 17 e il 18 d.C. (più probabilmente nel 18), nella stessa terra, a lui del tutto estranea, dove è stato relegato un decennio prima.

Il 14 dicembre 2017 il Comune di Roma riabilita Ovidio.[8]

La relegatio: finzione o realtà?

L'oscurità delle cause dell'esilio di Ovidio ha dato luogo a infinite spiegazioni. Ovidio fa più volte riferimento al suo reato, fornendo però spiegazioni vaghe o contraddittorie, certamente soffrendo la relegatio che questo reato gli avrebbe causato.[9] Per questo, nel 1923, J.J. Hartmann propose una nuova teoria: che Ovidio in realtà non abbia mai patito la relegatio, e che il riferimento all'esilio sia il prodotto della sua fervida immaginazione. Questa teoria ha avuto alterne fortune negli anni trenta del Novecento (i maggiori sostenitori furono alcuni autori olandesi).

Nel 1985, uno studio di Fitton Brown ha avanzato nuove argomentazioni a sostegno dell'ipotesi[10], scrivendo un articolo che provocò una piccola polemica, con una serie di riprese e confutazioni.[11] L'elemento principale affermato da Fitton Brown per negare la realtà dell'esilio è che questo viene menzionato solo o soprattutto nelle opere dello stesso Ovidio, e non si trovano riferimenti a esso anche dove sarebbe stato lecito aspettarseli (ad esempio in storici che hanno trattato l'età di Augusto come Tacito o Svetonio). Le eccezioni, di poco posteriori alla morte di Ovidio, sono costituite da due brevissimi passaggi in Plinio il Vecchio,[12] e in Stazio.[13] Poi, più niente fino al IV secolo, con brevi menzioni in Girolamo e nell'Epitome de Caesaribus.[14]

Oggi, tuttavia, la maggior parte degli studiosi ritiene poco credibili le ipotesi che negano la realtà dell'esilio di Ovidio.[15]

Il ricordo in Abruzzo

A Sulmona nel XV secolo fu costruita una statua di Ovidio, citata da Edward Lear nei suoi diari di viaggio in Abruzzo, ora conservata nel Museo civico archeologico Santissima Annunziata. Nel 1925 una nuova statua monumentale viene realizzata da Ettore Ferrari in piazza XX Settembre, lungo il corso intitolato al poeta. Di Ovidio a Sulmona si occuparono per primo Ercole Ciofano umanista, poi Emiliano De Matteis, storico, e poi Antonio De Nino e Giovanni Pansa.

Opere

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della letteratura latina (31 a.C. - 14 d.C.).

Ovidio scrisse un gran numero di opere, che possono essere facilmente divise in tre gruppi: le opere giovanili o amorose, le maggiori o della maturità e le opere dell'esilio. Altre opere sono andate pressoché perdute, mentre altre sono state erroneamente attribuite al poeta.

Opere giovanili o amorose

La giovinezza e gli studi:

Le metamorfosi di Ovidio, con annotazioni di M. G. Horologgi - copertina di Nicolas-Denis Derome

Opere maggiori o della maturità

Il capolavoro di Ovidio, ultimato poco prima dell'esilio, contiene più di 250 miti di trasformazioni, dal Caos all'apoteosi di Cesare e Augusto. L'opera si chiude con una preghiera agli dei, affinché questi preservino a lungo l'imperatore Augusto. Scritto in esametri, in quindici libri (per circa 12 000 versi), vi si trova tutta la storia mitica del mondo, ma riorganizzata da Ovidio in una serie di racconti continuati. Il criterio generale di compilazione segue l'ordine cronologico, ma molto spesso Ovidio introduce eventi anteriori al fatto narrato o posteriori, collega le storie in base a rapporti familiari, elabora i racconti secondo affinità o diversità. Insomma si tratta di un racconto mosso e articolato, talvolta al limite dell'artificio, che mostra l'abilità stupefacente del poeta di legare tra di loro storie che apparentemente non hanno un filo logico comune. L'unico principio unificatore è la metamorfosi. Tra gli strumenti adottati dal poeta vi è il racconto nel racconto, grazie al quale il poeta trasforma i personaggi "narrati" in personaggi "narranti" che raccontano vicende proprie o altrui. L'opera lo rese illustrissimo presso i contemporanei. Contiene anche un invito al vegetarianesimo rivolto ai romani, con una spiegazione della teoria della metempsicosi di intonazione orfico-neopitagorica
Nelle intenzioni dell'autore avrebbe dovuto essere di dodici libri, uno per ogni mese dell'anno, ma Ovidio ne scrisse solo sei (da gennaio a giugno) a causa dell'esilio. Egli intendeva illustrare (secondo un procedimento simile a quello utilizzato negli Aitia di Callimaco) le feste religiose e le ricorrenze varie del calendario romano introdotto da Cesare. Si tratta di un'opera di carattere eziologico ed erudito, ispirata al gusto alessandrino; Ovidio narra aneddoti, favole, episodi della storia di Roma, impartisce nozioni di astronomia, spiega usanze e tradizioni popolari. Ma l'intento celebrativo rimane esteriore, non essendo sorretto né da un interesse storico-religioso, né dal senso patriottico della grandezza di Roma.

Opere della relegazione

Altre opere minori

Ovidio scrisse canti di vario genere, ai quali il poeta allude in particolare nelle Epistulae ex Ponto; sono:

Opere erroneamente attribuite

Non sono di Ovidio né il poemetto Nux di 182 versi (elegia in cui un noce si lamenta delle sassate che riceve ingiustamente dai passanti), né una Consolatio ad Liviam di 474 versi, carme consolatorio alla moglie di Augusto per la morte del figlio Druso, nel 9 a.C. Qualche tardo manoscritto li attribuisce a Ovidio, ma ragioni stilistiche e metriche, oltre che di contenuto, fanno pensare a qualche imitatore posteriore.

Stile

La tendenza al galante e al piccante, a un certo ateismo di maniera, e l'indifferenza alla vita politica gli derivano dalla gioventù dorata imperiale, della quale Ovidio era uno dei rappresentanti più onesti, e per la quale egli scriveva.

I rapporti dell'autore con le sue fonti, sono problema importante per il filologo; ma più che ai suoi predecessori, egli deve molto all'ambiente culturale che lo circondava.

La vitalità del poeta è inesauribile. Il Medioevo lo considerò non inferiore a Virgilio e un'intera stagione della letteratura medievale volgare e mediolatina, la rinascita del XII secolo, può essere considerata anche come un rinascimento ovidiano (Ludwig Traube coniò per questo il termine di Aetas Ovidiana[16]): in Italia, Francia, Germania, egli fu il "chierico d'amore". Brunetto Latini scrive di lui: «e in un ricco manto - vidi Ovidio Maggiore - che gli atti de l'amore - rassembra e mette in versi».

Lo testimoniano anche gli Integumenta super Ovidii Metamorphoses, le traduzioni di Giovanni del Virgilio, di Giovanni de' Buonsignori e di Arrigo Simintendi e l'Ovide moralisé.

Ebbe notevole influenza su poeti e scrittori inglesi quali Chaucer (La casa della fama, La leggenda delle donne eccellenti) e Shakespeare (Venere e Adone, Il ratto di Lucrezia, Romeo e Giulietta), così come su tutta la poesia umanistica italiana e sullo stile dotto e sui carmi dei filologi franco-olandesi.

Fortuna nel Medioevo e in età moderna

Ovidio godette di un grande credito in tutti i secoli del medio evo e dell'età moderna. Dante Alighieri nella Divina commedia colloca Ovidio nel Limbo (I cerchio infernale) tra gli "spiriti magni" come personalità illustre, ma senza battesimo. Collocato da Dante accanto ai poeti Orazio e Lucano, ossia i principali poeti del Medioevo dopo Virgilio, presentati con un ordine indicativo in base probabilmente a una gerarchia d'importanza, Ovidio viene dopo Orazio ma prima di Lucano. I quattro 'Spiriti Magni' si felicitano per il ritorno di Virgilio nel Limbo e accolgono Dante nella loro 'bella scola': Dante si gloria di essere il sesto di 'cotanto senno'. L'importanza di Ovidio e della sua poesia ha un'importanza vitale nella Commedia: il repertorio mitografico delle Metamorfosi è per Dante strumento poetico fondamentale nonché inestinguibile fonte di immagini, similitudini e riferimenti al mondo classico. L'Alighieri non manca però di citare spesso l'autore e il suo poema anche in situazione di contrasto, come nel caso della poesia di Virgilio (episodio infernale di Caco, figlio di Vulcano), o per gareggiare in maniera esplicita con Ovidio stesso nel descrivere le trasmutazioni dei ladri della VII Bolgia, mettendole a confronto con quelle degli episodi narrati di Cadmo e Aretusa nelle Metamorfosi (IV, 563 ss. e V 572 ss.). Dante infatti in tutti i suoi scritti quando accenna alla mitologia antica si rifà sempre a Ovidio. Un altro periodo in cui l'autore latino venne particolarmente ammirato e preso a modello è il barocco, in primo luogo perché il gusto della Metamorfosi era particolarmente grato alla sensibilità di questo periodo. Basti citare il capolavoro del Bernini, Apollo e Dafne, che è una perfetta rappresentazione visiva dei versi ovidiani sull'argomento.

Celebrazioni

Bimillenario della nascita di Publio Ovidio Nasone - 1957

Note

  1. ^ a b c d e f g h i Publio Ovidio Nasone, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 10 maggio 2018. Modifica su Wikidata
  2. ^ a b Biografia di ovidio 20 marzo 43 a.C., Appunti di Latino. liceo classico, in Docsity. URL consultato il 10 maggio 2018.
  3. ^ a b c d e f g h i Francesco Ursini, Ovidio, Publio Nasone, in Enciclopedia dei ragazzi, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2006. URL consultato il 10 maggio 2018.
  4. ^ a b c d e f g Publio Ovidio Nasone, in Riflessioni.it. URL consultato il 10 maggio 2018.
  5. ^ Il recente volume di Paolo Isotta, La dotta lira, Marsilio, Venezia 2018, ricostruisce l'influenza di Ovidio e della sua opera, in particolare delle Metamorfosi, su importanti momenti di storia della creazione musicale.
  6. ^ Aldo Luisi, Convegno su "Ovidio e l’esilio. Riflessioni duemila anni dopo", Taranto, College de France -Fayard, 21 novembre 2009 (archiviato dall'url originale il 1º febbraio 2014).
    «[...] il tono divertito di Ovidio nel narrare questa vicenda forse allude alla situazione, troppo evidentemente parallela, di Giulia maggiore (sola a Roma) con Elena (sola a Sparta), di Menelao (lontano a Creta) con Tiberio (da sette anni lontano a Rodi, altra isola greca), e di Paride con Iullo Antonio. Ovidio così danneggiava l’immagine di Tiberio, erede designato, anche se non il solo, mentre Livia si prometteva di assicurargli la successione imperiale: il poeta con questo episodio metteva in moto un meccanismo che poteva intralciare i piani di Livia. In seguito il poeta si affiancava all’altra Giulia (la nipote di Augusto): questo fu il suo error, scontato con la relegatio a Tomi.»
  7. ^ a b Vi è però anche una teoria secondo cui l'errore ed il carme formerebbero un'endiadi, e che quindi l'errore sarebbe stato nell'includere qualcosa in un carme: Vinci-Maiuri, Mai dire Maia. Un’ipotesi sulla causa dell’esilio di Ovidio e sul nome segreto di Roma, “Appunti Romani di Filologia” (XIX – 2017).
  8. ^ Roma riabilita Ovidio dopo 2000 anni. Sì unanime assemblea capitolina, accolte richieste Sulmona, su ansa.it, 14 dicembre 2017. URL consultato il 26 settembre 2019.
  9. ^ Circa 33 menzioni dell'esilio, secondo J. C. Thibault, The Mystery of Ovid's Exile, Berkeley, 1964, pp. 27-31.
  10. ^ A. D. F. Brown, The unreality of Ovid's Tomitan exile, in Liverpool Classical Monthly, 10.2 (1985), pp. 18-22.
  11. ^ Ad esempio A. W. J. Holleman, Ovid's exile, in Liverpool Classical Monthly, 10.3 (1985), p. 48. E ancora H. Hofmann, The unreality of Ovid's Tomitan exile once again, sempre in Liverpool Classical Monthly, 12.2 (1987), p. 23. Vedi comunque il consuntivo di A. Alvar Ezquerra, Exilio y elegía latina entre la Antigüedad y el Renacimiento, Huelva, 1997, pp. 23-24.
  12. ^ Naturalis Historia, XXXII, 152: “His adiciemus ab Ovidio posita animalia, quae apud neminem alium reperiuntur, sed fortassis in Ponto nascentia, ubi id volumen supremis suis temporibus inchoavit”.
  13. ^ Silvae, I, 2, vv. 254-255: “nec tristis in ipsis Naso Tomis”. A. Hollis (in Ovidius Exulans, recensione a G. Williams, Banished Voices, in The Classical Review, 46, 1996, pp. 26-27) cita inoltre il caso, in verità molto dubbio, del graffito ercolanese (CIL IV, nr. 10595) MORIERIS TOMI.
  14. ^ Girolamo, Chronicon, 2033, an. Tiberii 4, an. Dom. 17: “Ovidius poeta in exilio diem obiit et iuxta oppidum Tomos sepelitur”. Epitome de Caesaribus, I, 24: “Nam [Augustus] poetam Ovidium, qui et Naso, pro eo, quod tres libellos amatoriae artis conscripsit, exilio damnavit”.
  15. ^ Si veda, tra gli altri, J. M. Claassen, Error and the imperial household: an angry god and the exiled Ovid's fate, in Acta classica: proceedings of the Classical Association of South Africa, 30, 1987, pp. 31-47.
  16. ^ (DE) Ludwig Traube, Vorlesungen und Abhandlungen. Vol. 2. Einleitung in die lateinische Philologie des Mittelalters, München, 1911 (p. 113)
  17. ^ Rousseau, Le confessioni, ed. Mondadori, 1990, p. 362

Voci correlate

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