Sistemi legali nel mondo.

Il fiqh (in arabo فقه?, [fɪqh]) è la giurisprudenza islamica che nasce dal prosieguo del lavoro di istituzione della shari'a. Nel corso della storia l'Islam ha riconosciuto l'esigenza di leggi conformi agli insegnamenti del Corano e del profeta Maometto; fu dunque necessario raccogliere detti e fatti autentici attribuiti a Maometto, per redigere leggi secondo l'attendibilità degli ḥadīth.

Lo storico Ibn Khaldun definisce il fiqh come la «conoscenza dei comandamenti di Dio [inerenti a] le azioni, qualificate come wājib (‘obbligatorie’), ḥarām (‘vietate’), mandūb (‘raccomandate’), makrūḥ (‘disapprovate’) o mubāḥ (‘indifferenti’)»[1].

Le scuole giuridiche sunnite

Scuole giuridiche islamiche
Scuole giuridiche islamiche

Nel Sunnismo si distinguono quattro principali scuole giuridico-religiose, le quali si differenziano tra loro sia per gli strumenti ermeneutici usati per l'interpretazione della Legge Coranica, sia nella ritualità adottata per il suo rispetto.

  1. Hanafita: diffusa in Iran e Iraq dagli Abbasidi, poi fiqh ufficiale per gli Ottomani, oggi il più diffuso. Prevede un ampio ricorso alla valutazione personale del giurista (raʾy), alla consuetudine (ʿurf) e a valutazioni di opportunità.
  2. Malikita: diffusa soprattutto nel Maghreb (un tempo anche in al-Andalus e nella Sicilia islamica), si basa sulle tradizioni e gli usi medinesi dei primi seguaci del Profeta (Sunna), procedendo per analogia (qiyās) e utilizzando criteri sussidiari quali la valutazione del bene comune.
  3. Shafi'ta: riduce l'uso dell'analogia e dà più importanza alla Sunna, ma solo in quelle parti direttamente risalenti al Profeta. È diffusa in Bahrein, Yemen, India, Indonesia, Africa Orientale.
  4. Hanbalita: ribadisce la supremazia dei testi sacri sul ragionamento personale, e rifiuta l'analogia come fonte del diritto.

Va tenuto presente che queste scuole giuridiche nell'islam, non sono altro che un impegno da parte delle varie scuole a seguire il profeta Maometto nel modo migliore, ma non sono fonti in sé. L'unica fonte a cui ritornano ed a cui deve ritornare ogni musulmano sono il Corano e la Sunna (detti e fatti del profeta islamico Maometto).

Il diritto penale tradizionale islamico

Esistono tre categorie di reati nel diritto penale islamico dell'VIII-X secolo:

  1. Ḥudūd (limiti, sing. ḥadd): per il quale il Corano prevede esplicitamente una pena
  2. Qiṣāṣ (delitti di sangue): omicidio e ferimento, punito con compensazione o rappresaglia (legge del taglione)
  3. Taʾzīr (altri crimini): usura, gioco d’azzardo, omosessualità, spergiuro (discrezione del giudice)

Tra i reati-ḥadd si ritrovano:

  1. Relazioni sessuali illecite (zināʾ)
  2. Falsa accusa di zināʾ
  3. Furto
  4. Rapina a mano armata
  5. Apostasia e blasfemia
  6. Ribellione contro i governanti

Tali reati vengono considerati i più gravi (a differenza dell'omicidio) al fine della difesa della proprietà, della nuova religione nascente e dell'onore, in un contesto di transizione da una società nomade e poligamica ad una società sedentaria, urbanizzata e monogamica.

Condizioni per la condanna a pene-ḥadd:

  1. testimonianza oculare di 4 uomini musulmani adulti
  2. confessione ripetuta 4 volte di fronte a 4 giudici diversi, precisa e dettagliata, e ritrattabile in qualsiasi momento prima della pena.

Le pene variano inoltre in base allo status degli accusati: musulmani, sposati e uomini liberi sono soggetti a pene maggiori rispetto a non musulmani, non sposati e schiavi. Queste variazioni sono tutte incluse e dettagliate nel Corano e nella Sunna e non sono applicate al debole e perdonate al potente, anzi il profeta Maometto ha detto:

«Giuro per Colui che mantiene la mia anima, se mia figlia Fatima rubasse le taglierei la mano come comanda Dio»

Detto autentico riferito da Al-Bukhari (6788)

Questo non vuol dire che il profeta Maometto non amava sua figlia, anzi è il contrario, disse anche:

«Chi fa arrabbiare mia figlia Fatima fa arrabbiare me, e chi mi fa arrabbiare provoca di seguito l'ira di Allah».

Detto autentico riferito da Al-Bukhari (3523, 3556) e Muslim (2449)

L'amministrazione della cosa pubblica (siyāsa sharʿiyya)

La definizione di “diritto musulmano”, spesso tradotto genericamente con il termine fiqh, riguarda indubbiamente «le parti di fiqh che sono veramente giuridiche dal punto di vista occidentale» [Schacht], tuttavia «comprende sia quello che per i musulmani è siyāsa sharʿiyya (amministrazione della cosa pubblica che non contraddica la Shari'a), sia alcuni istituti, tollerati solo in epoca tarda».

Il concetto di fiqh, infatti, esclude molte parti di quelle discipline che per gli occidentali rientrano nel diritto pubblico e nel diritto privato in quanto prive di riscontri sostanziali nel testo sacro; esempi di questo tipo sono la dottrina dello stato e del suo capo, molta parte del diritto amministrativo (cioè la siyasa shar'iyya), ecc. Le tre branche del diritto in discussione (costituzionale, amministrativo e internazionale) presentano un «carattere essenzialmente teoretico e fittizio» e possiedono una «intima connessione degli istituti che le compongono più con la storia politica degli stati islamici che con la storia del diritto musulmano».

Il sovrano dello Stato musulmano, tecnicamente detto imām, deve in primo luogo predisporre la società affinché si possano applicare le norme del fiqh e i giudici dei tribunali, qadi, possano svolgere la loro funzione giuridica. Tuttavia, nei casi in cui non vi sia una disciplina sciaraitica, ricade sull'imām la competenza esecutiva, in parte attribuitagli dalla Legge in maniera esplicita, laddove egli deve attuare le sentenze fondate sulle pene discrezionali (taʾzir) emesse dal qadi, e in parte ricollegata alla consuetudine locale, che va a colmare il vuoto normativo sciaraitico. In teoria, perciò, il califfo/imam «è rappresentante ed esecutore della legge e non può che osservarla quando essa è esplicita (nass). Quando la legge tace, al contrario, egli acquista maggior libertà d'azione; anche in questo caso egli non ha libertà assoluta, ma deve tornare ai detti e fatti dei compagni di Maometto e seguire i loro insegnamenti, come deve seguire anche gli insegnamenti dei sapienti che vennero dopo di loro (soprattutto quelli che sono vissuti nei primi 3 secoli a partire dalla vita di Maometto stesso), poiché egli disse:

«I migliori della mia comunità sono quelli della mia generazione, poi quelli che li seguono, e poi quelli che li seguono»

Detto autentico riferito da Al-Bukhari (3/171) e Muslim (2651)

«Trattandosi di norme regolamentari si capisce bene che, almeno a livello di dottrina giuridica, non è possibile che queste soverchino le norme del fiqh, che – in quanto di discendenza sciaraitica – sono delle norme di legge, collocate perciò su un livello gerarchico superiore. Eppure storicamente questo scavalcamento è avvenuto di continuo. Con gli Ottomani, in particolare, la siyāsa (e i relativi qānūn che da essa dipendono) acquisisce nuovo vigore, divenendo sempre meno sharʿiyya (vincolata dalla Legge sacra), e sempre più yasamalı (legata alle tradizioni non islamiche dell'Anatolia e dell'Asia centrale). Il termine qānūn, perciò, indica ora degli atti che oltrepassano di gran lunga il limite succitato della gestione amministrativa e del diritto penale.»

Note

  1. ^ Reuben Levy, The Social Structure of Islam, Cambridge University Press, 1957, p. 150; con alcune variazioni formali.

Bibliografia

Una prima veloce panoramica sul diritto islamico e le sue scuole, nonché ulteriori indicazioni bibliografiche sulla complessa materia, si può avere leggendo i capitoli relativi all'argomento in:

Fonti tradotte in italiano

Trattazioni classiche in italiano o tradotte

Trattazioni più recenti, in italiano o tradotte

Trattazioni relative ad alcune tematiche particolari, giuridiche e economiche

Trattazioni relative al tema dei diritti umani e delle minoranze

Trattazioni di autori musulmani in italiano o tradotte

Voci correlate

Altri progetti

Controllo di autoritàThesaurus BNCF 7381 · GND (DE4409409-7