Giovanni Pico della Mirandola | |
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Cristofano dell'Altissimo, Giovanni Pico della Mirandola, Galleria degli Uffizi | |
Conte di Mirandola e di Concordia | |
Nascita | Mirandola, 24 febbraio 1463 |
Morte | Firenze, 17 novembre 1494 |
Sepoltura | Chiesa di San Marco Vecchio, Firenze |
Dinastia | Pico |
Padre | Gianfrancesco I, Signore di Mirandola e Conte della Concordia |
Madre | Giulia Boiardo, Contessa di Scandiano |
Religione | cattolicesimo |
Giovanni Pico dei conti della Mirandola e della Concordia, noto come Pico della Mirandola[1] (Mirandola, 24 febbraio 1463 – Firenze, 17 novembre 1494), è stato un umanista e filosofo italiano.
È l'esponente più conosciuto della dinastia dei Pico, signori di Mirandola.
Giovanni nacque a Mirandola, presso Modena, il figlio più giovane di Gianfrancesco I, signore di Mirandola e conte della Concordia (1415-1467), e sua moglie Giulia, figlia di Feltrino Boiardo, conte di Scandiano.[2]
La famiglia aveva a lungo abitato il castello di Mirandola, città che si era resa indipendente nel XIV secolo e aveva ricevuto nel 1414 dall'imperatore Sigismondo il feudo di Concordia. Pur essendo Mirandola uno stato molto piccolo, i Pico governarono come sovrani indipendenti anziché da nobili vassalli.
I Pico della Mirandola erano strettamente imparentati agli Sforza, ai Gonzaga e agli Este, e i fratelli e le sorelle di Giovanni si legarono tramite ulteriori vincoli matrimoniali con le famigle regnanti di Corsica, Ferrara, Bologna, Mantova e Forlì.[2]
Durante la sua vita Giovanni soggiornò in molte dimore. Tra queste, quando visse a Ferrara, quella che si trovava in via del Turco gli permetteva di essere vicino agli Strozzi ed ai Boiardo.
Pico compì i suoi studi fra Bologna, Pavia, Ferrara, Padova e Firenze; mostrò grandi doti nel campo della matematica e imparò molte lingue, tra cui perfettamente il latino, il greco, l'ebraico, l'aramaico, l'arabo e il francese. Ebbe anche modo di stringere rapporti di amicizia con numerose personalità dell'epoca come Girolamo Savonarola, Marsilio Ficino, Lorenzo il Magnifico, Angelo Poliziano, Egidio da Viterbo, Girolamo Benivieni, Girolamo Balbi, Yohanan Alemanno, Elia del Medigo.
A Firenze in particolare entrò a far parte della nuova Accademia Platonica. Nel 1484 si recò a Parigi, ospite della Sorbona, allora centro internazionale di studi teologici, dove conobbe alcuni uomini di cultura come Lefèvre d'Étaples, Robert Gaguin e Georges Hermonyme. Ben presto divenne celebre in tutta Europa, e si diceva che avesse una memoria talmente fuori dal comune da conoscere l'intera Divina Commedia a memoria.
Nel 1486 fu a Roma dove preparò 900 tesi in vista di un congresso filosofico universale (per la cui apertura compose il De hominis dignitate), che tuttavia non ebbe mai luogo. Subì infatti alcune accuse di eresia,[3] in seguito alle quali fuggì in Francia dove venne anche arrestato da Filippo II presso Grenoble e condotto a Vincennes, per essere tuttavia subito scarcerato. Con l'assoluzione di papa Alessandro VI, il quale vedeva di buon occhio la volontà di Pico di dimostrare la divinità di Cristo attraverso la magia e la cabala, nonché godendo della rete di protezioni dei Medici, dei Gonzaga e degli Sforza, si stabilì quindi definitivamente a Firenze, continuando a frequentare l'Accademia di Ficino.
Morì improvvisamente il 17 novembre 1494, all'età di trentun anni, per un avvelenamento da arsenico,[4][5] mentre Firenze veniva occupata dalle truppe francesi di Carlo VIII durante le guerre d'Italia.[6]
Già all'epoca della morte si vociferò che Pico fosse stato avvelenato: molti sospettarono come mandante Piero de' Medici, che temeva l'avvicinamento di Pico e Poliziano, già suoi amici, al governo di Savonarola.[4][7] Fu sepolto nel cimitero dei domenicani dentro il convento di San Marco. Le sue ossa saranno rinvenute da padre Chiaroni nel 1933 accanto a quelle di Angelo Poliziano e dell'amico Girolamo Benivieni.[8]
«Siamo vissuti celebri, o Ermolao, e tali vivremo in futuro, non nelle scuole dei grammatici, non là dove si insegna ai ragazzi, ma nelle accolte dei filosofi e nei circoli dei sapienti, dove non si tratta né si discute sulla madre di Andromaca, sui figli di Niobe e su fatuità del genere, ma sui principî delle cose umane e divine.»
Nel novembre del 2018, più di 500 anni dopo, uno studio coordinato del dipartimento di Biologia dell'Università di Pisa, del Reparto Investigazioni Scientifiche dell'Arma dei Carabinieri di Parma e di studiosi spagnoli, britannici e tedeschi, ha appurato che Pico della Mirandola sarebbe stato effettivamente avvelenato con l'arsenico.[5][9]
Una lapide lo ricorda nella Certosa di Bologna, nel corridoio di accesso al Chiostro del 1500 che ospita varie lapidi cittadine qui spostate a seguito delle spoliazioni napoleoniche.[10][11]
Di Pico della Mirandola è rimasta proverbiale la prodigiosa memoria. Si dice conoscesse a mente numerose opere su cui si fondava la sua vasta cultura enciclopedica, e che sapesse recitare la Divina Commedia al contrario, partendo dall'ultimo verso, impresa che pare gli riuscisse con qualunque poema appena terminato di leggere.[12]
Ancora oggi si usa attribuire l'appellativo Pico della Mirandola a chiunque sia dotato di ottima memoria.[13] Sulla scia di questa fama, il personaggio Disney Ludwig von Drake si chiama, nella sua versione italiana, Pico De Paperis.
Secondo voci popolari Pico della Mirandola avrebbe avuto un'amante o una concubina segreta.[14] Ad Arezzo nel 1486, ebbe effettivamente una disavventura amorosa per una certa Margherita.[15] Si è sostenuto poi che potrebbe aver avuto un rapporto amoroso con l'umanista Girolamo Benivieni, sulla base di alcuni scritti, tra cui sonetti, che quest'ultimo aveva dedicato a Pico,[16] e di alcune allusioni poco chiare di Savonarola.[14] Pico era comunque un seguace dell'ideale dell'amor socratico,[14] privo cioè di contenuti erotici e passionali. Anche la figura femminile ricorrente nei suoi versi viene celebrata su un piano prevalentemente filosofico.[17]
Genitori | Nonni | Bisnonni | Trisnonni | ||||||||||
Francesco II Pico | Paolo Pico | ||||||||||||
Isabella Malaspina | |||||||||||||
Giovanni I Pico | |||||||||||||
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Gianfrancesco I Pico | |||||||||||||
Guglielmo Bevilacqua | Francesco Bevilacqua | ||||||||||||
Anna Zavarise | |||||||||||||
Caterina Bevilacqua | |||||||||||||
Taddea Tarlati | ? | ||||||||||||
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Giovanni Pico della Mirandola | |||||||||||||
Matteo Boiardo | ? | ||||||||||||
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Feltrino Boiardo | |||||||||||||
Bernardina Lambertini | ? | ||||||||||||
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Giulia Boiardo | |||||||||||||
Gherardo VI da Correggio | Giberto IV da Correggio | ||||||||||||
Orsolina Pio | |||||||||||||
Guiduccia da Correggio | |||||||||||||
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Il pensiero di Pico della Mirandola si riallaccia al pensiero neoplatonico di Marsilio Ficino, senza però occuparsi della polemica anti-aristotelica.[18] Al contrario, egli cerca di riconciliare aristotelismo e platonismo in una sintesi superiore, fondendovi anche altri elementi culturali e religiosi, come per esempio la tradizione misterica di Ermete Trismegisto e della cabala.[19]
Il proposito di Pico, esplicitamente dichiarato ad esempio nel De ente et uno, consiste infatti nel ricostruire i lineamenti di una filosofia universale, che nasca dalla concordia fra tutte le diverse correnti di pensiero sorte sin dall'antichità, accomunate dall'aspirazione al divino e alla sapienza, e culminanti nel messaggio della Rivelazione cristiana. In questo suo ecumenismo filosofico, oltre che religioso, vengono accolti non solo i teologi cristiani ed esoterici insieme a Platone, Aristotele, i neoplatonici e tutto il sapere gnostico ed ermetico proprio della filosofia greca, ma anche il pensiero islamico, quello ebraico e appunto cabalistico, nonché dei mistici di ogni tempo e luogo.[20]
Il congresso da lui organizzato a Roma in vista di una tale "pace filosofica" avrebbe dovuto inserirsi proprio in questo progetto culturale basato su una concezione della verità come princìpio eterno ed universale, al quale ogni epoca della storia ha saputo attingere in misura in più o meno diversa. In seguito tuttavia ai vari contrasti che gli si presentarono, sorti a causa della difficoltà di una tale conciliazione, Pico si accorse che il suo ideale era difficilmente perseguibile; ad esso, a poco a poco, si sostituirà nella sua mente il proposito riformatore di Girolamo Savonarola, rivolto al rinnovamento morale, più che culturale, della città di Firenze. L'armonia universale da lui ricercata in ambito filosofico si trasformerà così nell'aspirazione religiosa ad una santità e una moralità meno generica e più attinente al suo particolare momento storico. A differenza di Ficino, nel Pico emergono dunque nei suoi ultimi anni un maggiore senso di irrequietezza e una visione più cupa ed esistenziale della vita.[20]
Al centro del suo ideale di concordia universale risalta fortemente il tema della dignità e della libertà umana. L'uomo infatti, dice Pico, è l'unica creatura che non ha una natura predeterminata, poiché:
«[...] Già il Sommo Padre, Dio Creatore, aveva foggiato, [...] questa dimora del mondo quale ci appare, [...]. Ma, ultimata l'opera, l'Artefice desiderava che ci fosse qualcuno capace di afferrare la ragione di un'opera così grande, di amarne la bellezza, di ammirarne la vastità. [...] Ma degli archetipi non ne restava alcuno su cui foggiare la nuova creatura, né dei tesori [...] né dei posti di tutto il mondo [...]. Tutti erano ormai pieni, tutti erano stati distribuiti nei sommi, nei medi, negli infimi gradi. [...]»
Dunque, per Pico, l'uomo può stabilire per se stesso a quale grado della scala degli esseri collocarsi:[22]
«[...] Stabilì finalmente l'Ottimo Artefice che a colui cui nulla poteva dare di proprio fosse comune tutto ciò che aveva singolarmente assegnato agli altri. Perciò accolse l'uomo come opera di natura indefinita e, postolo nel cuore del mondo, così gli parlò: "non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché [...] tutto secondo il tuo desiderio e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai senza essere costretto da nessuna barriera, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai." [...]»
Pico della Mirandola afferma, in sostanza, che Dio ha posto nell'uomo non qualità già fissate, ma un'indeterminatezza che è dunque la sua propria natura, e che si regola in base alla volontà, cioè all'arbitrio dell'uomo, che dirige tale indeterminatezza dove vuole, verso lo spirito (in alto), o verso la materia (in basso):
«[...] "Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine." [...] Nell'uomo nascente il Padre ripose semi d'ogni specie e germi d'ogni vita. E a seconda di come ciascuno li avrà coltivati, quelli cresceranno e daranno in lui i loro frutti. [...] se sensibili, sarà bruto, se razionali, diventerà anima celeste, se intellettuali, sarà angelo, e si raccoglierà nel centro della sua unità, fatto uno spirito solo con Dio. [...]»
Giovanni Pico, in definitiva, sostiene che è l'uomo a «forgiare il proprio destino», secondo la propria volontà, e la sua libertà è massima, poiché non è né animale né angelo, ma può essere l'uno o l'altro secondo la «coltivazione» di alcuni tra i «semi d'ogni sorta» che vi sono in lui.
Questa visione verrà, seppur solo in parte, ripresa nel Seicento dallo scienziato e filosofo Blaise Pascal, che afferma che l'uomo non è né «angelo né bestia», e che la sua propria posizione nel mondo è un punto mediano tra questi due estremi; tale punto mediano, però, per Pico non è una mediocrità (in parte angelo e in parte bruto) ma è la volontà (o l'arbitrio) che ci consente di scegliere la nostra posizione. Dunque l'uomo, per Pico, è la più dignitosa fra tutte le creature, anche più degli angeli, poiché può scegliere quale creatura essere.[23]
Il secondo grande interesse di Pico è rivolto alla cabala, che viene da lui spiegata come una fonte di sapienza a cui attingere per decifrare il mistero del mondo, e nella quale Dio appare oscuro, in quanto apparentemente irraggiungibile dalla ragione; ma l'uomo può ricavare la massima luce da tale oscurità.[24]
«Nulla est scientia quae nos magis certificat de divinitate Christi, quam Magia et Cabala.»
«Non esiste alcuna scienza che possa attestare meglio la divinità di Cristo che la magia e la cabala.»
Connessa alla sapienza cabalistica è la magia: infatti, il mago, per Pico, opererebbe attraverso simboli e metafore di una realtà assoluta che è oltre il visibile, e dunque, partendo dalla natura, può giungere a conoscere tale sfera invisibile (ossia metafisica) attraverso la conoscenza della struttura matematica che è il fondamento simbolico-metaforico della natura stessa, per poi agire attivamente in essa.[26] Principale prosecutore della sua dottrina cabalistica sarà l'umanista tedesco Johannes Reuchlin.
Se la magia è giudicata positivamente da Pico della Mirandola, per quanto riguarda invece l'astrologia egli ebbe un atteggiamento diverso, che lo portò a distinguere nettamente tra «astrologia matematica o speculativa», cioè l'astronomia, e l'«astrologia giudiziale o divinatrice»; mentre la prima ci consente di conoscere la realtà armonica dell'universo, e dunque è giusta, la seconda crede di poter sottomettere l'avvenire degli uomini alle congiunture astrali.[27] Partendo dall'affermazione della piena dignità e libertà dell'uomo, che può scegliere cosa essere, Pico muove una forte critica a questo secondo tipo di credenze e di pratiche astrologiche, che costituirebbero una negazione proprio della dignità e della libertà umane.
Secondo Pico, questa scienza astrologica attribuisce erroneamente ai corpi celesti il potere di influire sulle vicende umane (fisiche e spirituali), sottraendo tale potere alla Provvidenza divina e togliendo agli uomini la libertà di scegliere. Egli non nega che un certo influsso vi possa essere, ma mette in guardia contro il pericolo insito nell'astrologia di subordinare il superiore (cioè l'uomo) all'inferiore (ossia la forza astrale). Le vicende dell'esistenza umana sono tanto intrecciate e complesse che non se ne può spiegare la ragione se non attraverso la piena libertà d'arbitrio dell'uomo.
Il suo Disputationes adversus astrologiam divinatricem (tale è il titolo dell'opera a cui Pico si dedicò nell'ultimo periodo della sua vita) rimase incompiuto e come tale fu pubblicato postumo, nel 1494, con il commento di Giovanni Manardo; tuttavia, alcuni concetti base furono ripresi e rielaborati da Girolamo Savonarola nel suo Trattato contra li astrologi.[28]
Secondo alcuni studi, a Pico della Mirandola sarebbe da attribuire anche la paternità dell'Hypnerotomachia Poliphili (Amoroso combattimento onirico di Polifilo).[29]