Giulio Nepote | |
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Imperatore dell'impero romano d'Occidente | |
Tremisse di Giulio Nepote | |
Nome originale | Iulius Nepos |
Regno | 474 - 22 giugno 480 (de iure) 474 – 28 agosto 475 (de facto) |
Titoli | Magister militum |
Nascita | Dalmazia |
Morte | 25 aprile, 9 maggio o 22 giugno 480 Salona |
Predecessore | Glicerio |
Successore | Romolo Augusto |
Consorte | Nipote di Leone I |
Dinastia | Trace |
Padre | Nepoziano |
Giulio Nepote (in latino Iulius Nepos; Dalmazia, ...[1] – Salona, 25 aprile - 9 maggio - 22 giugno 480[2]) è stato un imperatore romano d'Occidente dal 474 al 475. Giulio Nepote, uno dei caduchi imperatori succedutisi tra il 455 e il 476, fu l'ultimo ad essere esponente della volontà da parte della corte imperiale di Costantinopoli, dopo Antemio, di poter mettere un uomo di sua fiducia sul trono occidentale. Il suo breve regno, costellato da insuccessi a livello diplomatico nei rapporti coi Visigoti, terminò quando il patrizio Flavio Oreste lo costrinse a fuggire nella natìa Dalmazia ponendo sul trono di Ravenna suo figlio, Romolo Augusto. Nepote continuò a considerarsi imperatore de jure d'Occidente anche dopo il suo crollo ad opera di Odoacre fino alla morte, avvenuta violentemente nel 480.
Anche se gli fu successore Romolo Augusto, è considerato da alcuni storici l'ultimo imperatore legittimo d'Occidente[3], avendo de iure detenuto il titolo sino alla morte.
Giulio Nepote era figlio di Nepoziano, magister militiae tra il 458 circa e il 461[4], e nipote di Marcellino, comes della Dalmazia[5]. In seguito all'assassinio dello zio Marcellino avvenuto in Sicilia nel 468[6], gli successe nel governo della regione dalmata, che all'epoca si estendeva fino al fiume Drina[7] e, pur formalmente alle dipendenze dell'Impero romano d'Occidente, era di fatto largamente autonoma[8]. Come già Marcellino prima di lui, Giulio Nepote intrattenne strette relazioni con l'Impero romano d'Oriente: fu magister militum per la Prefettura del pretorio dell'Illirico[9] e giunse persino a sposare una non specificata nipote di Leone I, imperatore d'Oriente, parente della moglie di quest'ultimo, Elia Verina[10].
In Occidente si succedettero gli imperatori Antemio e Anicio Olibrio: dopo la morte di quest'ultimo nel 473, spettava a Leone indicare il nuovo imperatore, ma questi attese a nominare un collega, forse perché preferiva mantenere il controllo diretto sulla parte occidentale dell'impero, o forse per mancanza di candidati di rilievo.
Leone fu però obbligato ad agire, quando il patrizio Gundobado nominò imperatore Glicerio, un funzionario che rivestiva l'incarico di comes domesticorum[11]: era necessario infatti mettere sul trono d'Occidente un uomo fidato e non una marionetta di Gundobado come Glicerio, motivo per cui non fu accettato da Leone I[12]. La scelta dell'imperatore d'Oriente cadde su Nepote[13]: oltre a confermare la propria autorità sull'Occidente, Leone si sarebbe liberato di una possibile minaccia alla corte orientale[4].
Nel 474, dopo avere atteso la fine dell'inverno e la riapertura delle rotte marittime, Nepote partì per Roma: sbarcato a Ostia, senza combattere depose Glicerio, lo fece nominare vescovo di Salona (in Dalmazia)[14][N 1] e assunse la porpora, il 19 giugno[15]. È possibile, stando a diverse fonti, che l'elezione ad Augusto sia avvenuta a Ravenna, quindi prima della deposizione di Glicerio, che del resto non era considerato un legittimo imperatore e quindi non vi era necessità di una deposizione. Alternativamente, Nepote potrebbe essere stato nominato cesare a Ravenna dall'inviato dell'Oriente Domiziano[16], non appena giunto in Italia, e poi augusto successivamente a Roma, dopo la deposizione di Glicerio[17].
«Hoc tamen sancte Julius Nepos, armis pariter summus Augustus ac moribus...»
«Questo Giulio Nepote, sommo augusto pari nelle abilità militari e nei costumi...»
Come imperatore, Nepote cercò di consolidare i territori dell'Italia e della Gallia che ancora si trovavano sotto il controllo dell'Impero d'Occidente e nominò nuovo patrizio e magister militum Ecdicio Avito, figlio dell'imperatore Avito[5], suscitando l'esaltazione del vescovo di Clermont Sidonio Apollinare che, tramite la moglie, era imparentato con quest'ultimo[18]. I Visigoti avevano occupato la Provenza tra il 473 e il 474 e Nepote, conscio della debolezza militare in cui versava la Pars Occidentalis dell'Impero[N 2], inviò una ambasciata guidata, secondo quanto stabilito dal concilio provinciale della Liguria riunito a Milano[19], dal vescovo di Pavia, Epifanio. Questi riuscì a instaurare dei buoni rapporti con Eurico, re dei Visigoti, e a far sì che si ponessero le basi per l'accordo con questo popolo[20]. Come testimoniato dall'esito di una seconda ambasciata (475), composta ancora una volta da vescovi, si giunse a un accordo, con i Visigoti che cedettero la Provenza in cambio della città di Clermont-Ferrand e della regione dell'Alvernia, suscitando le proteste e lo sdegno di Sidonio Apollinare[21]. Le trattative con il re dei Vandali, Genserico, furono meno fortunate: i Vandali continuarono a sferrare attacchi contro l'Italia, in quanto avevano recentemente siglato la pace con l'Impero d'Oriente e non ritenevano necessario scendere a patti con Nepote. Quest'ultimo tentò di negoziare la pace ma, non avendo la forza militare necessaria per piegare i Vandali, dovette riconoscere la perdita dell'Africa, della Sicilia, della Sardegna, della Corsica e delle Isole Baleari[4].
L'autorità imperiale si era ormai ridotta a poche aree: Nepote coniò moneta a Roma, Ravenna e Milano; una quantità limitata, forse simbolica, di solidi d'oro venne coniata ad Arles, in Gallia, a testimonianza dell'interesse per quella provincia. Monete d'argento vennero coniate nel Nord della Gallia, da quel Siagrio magister militum per Gallias che governava uno Stato autonomo detto Dominio di Soissons, ormai solo formalmente legato a Roma. È notevole anche il fatto che Nepote fece coniare alcuni solidi recanti le effigi degli imperatori d'Oriente Zenone e Leone II, più a testimonianza del legame personale e politico con la corte orientale che a indicare un'alleanza formale[22].
Il 28 agosto 475 il generale Flavio Oreste, nominato secondo Giordane nuovo magister militum quale successore di Ecdicio[24], si ribellò all'Imperatore e, guidando un esercito che doveva essere forse inviato contro un esercito nemico (probabilmente visigoto[24]), prese il controllo di Ravenna e costrinse Nepote a fuggire in Dalmazia[25]. Oreste, che era di origini germaniche e non poteva quindi diventare imperatore, fece acclamare per quella carica suo figlio, Romolo Augusto, di madre romana, malgrado fosse molto giovane.
I fatti sono oscuri, ma una possibile interpretazione è che Nepote sia stato vittima di un colpo di Stato ordito da Oreste e dal Senato romano, che non gradiva le sue simpatie e il suo legame con l'Impero romano d'Oriente, a cui Nepote doveva la corona[26]. Oreste sarebbe quindi insorto contro l'imperatore, che si sarebbe rifugiato a Ravenna, dopo avere richiamato Ecdicio; all'arrivo di Oreste, però, Nepote si sarebbe trovato nell'impossibilità di organizzare una difesa e avrebbe preferito ritirarsi nel dominio "di famiglia", la Dalmazia: tutto questo il 28 agosto del 475[27]. Ironicamente, a Salona trovò, come vescovo, proprio Glicerio, che aveva deposto l'anno precedente[28].
Tradizionalmente Romolo Augusto è considerato l'ultimo imperatore d'Occidente. Tuttavia quando Romolo venne deposto da Odoacre, capo degli Eruli, il 4 settembre 476, non venne nominato un nuovo imperatore: un imperatore in realtà esisteva già e si trattava di Giulio Nepote, il quale regnava de jure con il sostegno dell'Imperatore d'Oriente, Zenone[29], dopo che quest'ultimo riprese il potere in seguito alla breve parentesi di regno dell'usurpatore Basilisco. Secondo lo storico Malco[30] Odoacre, saputo che Zenone era ritornato al potere, aveva inviato un'ambasciata di senatori a Costantinopoli per farsi riconoscere come rappresentante imperiale in Italia e ottenere il titolo di patricius; lo stesso fece Giulio Nepote, rammentandogli che non aveva mai abdicato ufficialmente dalla carica imperiale e che aspirava ancora al governo dell'Italia[9]. Davanti alle due ambascerie Zenone accettò una soluzione di compromesso: Odoacre sarebbe rimasto rappresentante imperiale in Italia con il titolo richiesto, mentre Giulio Nepote avrebbe potuto continuare a mantenere il suo titolo imperiale senza però esercitare alcun potere effettivo[31]. Quest'ultimo, pertanto, rimase in Dalmazia, regnando solo nominalmente sull'Impero d'Occidente, mentre Odoacre governava effettivamente in Italia, coniando monete a nome di Giulio Nepote Augusto[32].
Giulio Nepote concepì di organizzare una spedizione militare per tornare sul trono imperiale che nominalmente era suo; fu, però, ucciso in una data indefinita oscillante tra l'aprile e il giugno 480 nella sua villa nei pressi di Salona da due dei suoi stessi collaboratori, i comites Ovida e Viatore[33], forse dietro istigazione di Glicerio che pure non disperava di tornare sul trono[34]. Si è ritenuto addirittura che Odoacre, avendo saputo della volontà di Nepote di restaurare il suo dominio effettivo in Italia, avesse deciso di prendere contatti con Glicerio per organizzare una congiura, prospettandogli una sua nomina a vescovo di Milano. Si tratta di una fonte non ritenuta attendibile, in quanto nella cronotassi dei vescovi di Milano non è presente alcun Glicerio a quell'altezza cronologica[N 3].
Comunque Odoacre, avendo saputo dell'assassinio di Nepote, salpò subito per la Dalmazia, che era difesa dal generale Ovida, con la scusa di vendicare il cesaricidio ma con lo scopo di annettersi quella regione[35]. Odoacre sconfisse Ovida in battaglia e lo uccise, il 9 dicembre 481/482[36], annettendo la Dalmazia al suo regno[37].
La moglie di Giulio Nepote fu l'ultima imperatrice dell'Impero romano d'Occidente. Il suo nome di battesimo non è in nessuna fonte primaria, che la riportano semplicemente come la neptis di Leone I il Trace dell'Impero romano d'Oriente (r. 457-474) e sua moglie Verina. La parola nepti potrebbe tradursi come nipote o parente (stretto), ma di solito si presume che la moglie di Giulio fosse la nipote di Leone, e più probabilmente imparentata con Verina piuttosto che con Leone. Lo storico Malco riporta: «Anche Verina si unì a sollecitarlo, dando una mano alla moglie di Nepote, sua parente»[38].
Il matrimonio di Giulio potrebbe aver fatto parte di un modello di patrocinio familiare: «il matrimonio nella famiglia imperiale era un affare molto vantaggioso e il matrimonio con la figlia di un imperatore permetteva al genero di sperare nella porpora»[39]. Sia gli imperatori sia le imperatrici, una volta elevati alla loro posizione, avrebbero tentato di promuovere i parenti alle alte cariche e di aiutarli a sposarsi in illustri lignaggi. Sebbene queste famiglie allargate a volte non riuscissero a succedere al trono, riuscirono a sopportare sconvolgimenti politici e rimasero importanti per generazioni[39]. Verina sembra certamente aver svolto la sua parte nell'avanzare i parenti. Tra il 468 e il 476 Basilisco, Armazio e Nepote assunsero incarichi militari di alto rango e tutti e tre erano imparentati con lei per sangue o matrimonio. Nello stesso periodo le figlie di Verina, Ariadne e Leonzia, si sposarono rispettivamente con Zenone e Marciano, poi rispettivamente imperatore e usurpatore. Potrebbe anche avere qualcosa a che fare con l'ascesa alla ribalta del barbaro Odoacre, teorizzato come suo ipotetico nipote[40].
La figura di Giulio Nepote negli ultimi anni ha suscitato in alcuni scrittori italiani un certo interesse in quanto ultimo imperatore "legittimo" di quella civiltà romana che per secoli ha plasmato l'Europa e il resto del mondo conosciuto e che ora è tramontata davanti all'avanzare dei popoli barbari. Ne è esempio, in particolare, il romanzo storico di Giulio Castelli, 476 A.D. L'ultimo imperatore (facente parte di una trilogia intitolata Il romanzo dell'Impero Romano), in cui l'autore traccia un ritratto morale e fisico di Giulio Nepote, cercando di rimanere nell'alveo delle narrazione storica oggettiva[41]. Al contrario, Nepote viene citato di sfuggita nel celebre romanzo L'ultima Legione di Valerio Massimo Manfredi quale esponente della causa patrocinata da Zenone: il soggetto principale, infatti, è Romolo Augustolo, dipinto come ultimo vero imperatore.