Luigi Pareyson[1] (Piasco, 4 febbraio 1918 – Milano, 8 settembre 1991) è stato un filosofo italiano.
Nato il 4 febbraio 1918 a Piasco, in provincia di Cuneo, da genitori entrambi originari della Valle d'Aosta, si laureò con Guzzo[2] in Filosofia all'Università degli Studi di Torino a soli ventun anni, nel 1939, con una tesi dal titolo Carlo Jaspers e la filosofia dell'esistenza, che poi venne pubblicata nel 1940 dall'editore Loffredo di Napoli. Durante l'università, compì spesso viaggi di studio in Francia e in Germania, dove ebbe modo di conoscere personalmente Jacques Maritain, Karl Jaspers e Martin Heidegger.[3] In quegli anni partecipò agli incontri che avevano luogo di venerdì sera nella casa parigina di Gabriel Marcel (cui prendevano parte anche personaggi del calibro di Paul Ricœur, Merleau-Ponty, Levinas, Pareyson, Berdjaev, Landsberg e Sartre).[4]
A soli 24 anni è nominato libero docente di filosofia teoretica a Torino, dove dal '45[5] al 1984 è titolare della cattedra di etica (filosofia morale) ed estetica, creata appositamente per lui. Inoltre, nel '48 e '49 tiene corsi all'Università di Mendoza[5] e, dal '51 al '52, insegna anche storia della filosofia presso l'Università di Pavia.[6]
Per la sua precocità, si fece notare dai più importanti filosofi del tempo, tra i quali Giovanni Gentile.
Allievo di Gioele Solari e Augusto Guzzo, dopo aver seguito in Germania i corsi di Karl Jaspers insegnò filosofia al Ginnasio Liceo Camillo Benso di Cavour di Torino e al liceo classico di Cuneo, dove ebbe come allievi alcuni futuri esponenti della Resistenza italiana, tra i quali Uberto Revelli e Ildebrando Vivanti. Nel 1944 fu arrestato per alcuni giorni. In seguito agì nella Resistenza, insieme con Norberto Bobbio, Leonardo Ferrero, Duccio Galimberti e Pietro Chiodi e Maurilio Carle, continuando a pubblicare anonimamente articoli sui temi della scuola e dell'educazione. Fu anche amico di Augusto Del Noce, Xavier Tilliette e Alberto Caracciolo.[2]
Nel dopoguerra insegnò al liceo classico Vincenzo Gioberti e in vari atenei tra cui l'Università di Pavia e quella di Torino dove, conseguito l'ordinariato nel 1952, ebbe la prima cattedra di estetica, appositamente creata per lui. Nel 1964 passò alla cattedra di storia della filosofia che resse fino al pensionamento, nel 1984, quindi la nomina a professore emerito, nel 1988.
Fu accademico dei Lincei e membro dell'Institut international de philosophie, oltre che direttore della Rivista di estetica, succedendo a Luigi Stefanini che la fondò nel 1956 a Padova.
Ebbe molti allievi, fra cui Umberto Eco, Gianni Vattimo, Francesco Tomatis, Francesco Moiso, Mario Perniola, Sergio Givone, Giuseppe Riconda, Diego Marconi, Giuseppe Massimino, Marco Ravera, Ugo Perone, Claudio Ciancio, Maurizio Pagano, Aldo Magris e Valerio Zanone, segretario del Partito Liberale Italiano, ministro della Repubblica e sindaco di Torino. Pareyson fu il capo della cosiddetta "Scuola di Torino" i cui altri principali esponenti furono Vattimo ed Eco.[7]
Morì nel 1991 a Milano.[8]
Nato al confine con la Francia e non lontano dalla Svizzera, per lui la cultura francofona, italiana e germanica erano realtà prossime. Lettore instancabile, si interessò della cultura ebraica, anglosassone, russa e ispanica.[6]
Cattolico, considerato tra i maggiori filosofi italiani del XX secolo, assieme a Nicola Abbagnano fu tra i primi a far conoscere in Italia l'esistenzialismo tedesco, facente capo principalmente ad Heidegger e Jaspers, e a riconoscersi in questa visione (La filosofia dell'esistenza e Carlo Jaspers, 1940), in un quadro dominato dal neoidealismo. Si dedicò anche a dare una nuova interpretazione dell'idealismo tedesco non più in chiave hegeliana (Fichte, 1950), individuando in Friedrich Schelling un precursore a cui l'esistenzialismo doveva la propria ascendenza, sostenendo che «gli esistenzialisti autentici, i soli veramente degni del nome, Heidegger, Jaspers e Marcel, si sono richiamati a Schelling o hanno inteso fare i conti con lui».[9]
Per Pareyson l'esistenzialismo tedesco andava ripreso in chiave ermeneutica: considerava la verità non un dato oggettivo, come avviene nella scienza, ma come interpretazione del singolo, che richiede una responsabilità soggettiva. Chiamava la propria posizione «personalismo ontologico».[10]
Si è dedicato anche a ricerche storiografiche, individuando nella filosofia tedesca post-hegeliana due correnti, riconducibili rispettivamente a Søren Kierkegaard e a Ludwig Feuerbach, e che sarebbero sfociate rispettivamente nell'esistenzialismo e nel marxismo.
Il suo percorso filosofico, da lui stesso sintetizzato,[11] ha attraversato principalmente tre fasi:[12]
Pareyson reinterpreta le tre fasi del suo pensiero alla luce del passaggio dalla filosofia negativa a quella positiva di Schelling, ossia il momento in cui la ragione, prendendo atto della propria nullità, si apriva allo stupore dell'estasi, in una maniera non necessaria né automatica, bensì fondata su una libertà che non esclude tuttavia la continuità.[16] Solo ammettendo questa libertà si può approdare da una filosofia puramente critica, negativa, ad una comprensione dell'esistenza reale, oltre che della possibilità del male e della sofferenza.
«Il discorso sulla negatività non sarebbe affatto completo se non si parlasse della sofferenza, ma dato che la sofferenza è non solo negatività, ma è una tale svolta nella realtà che capovolge il negativo in positivo, [...] questo fa già parte di quella tragedia cosmoteandrica che è la vicenda universale.»
La libertà sta al centro dell'essere, che è pura, assoluta e adialettica libertà. Essere e libertà si convertono. La libertà può affermarsi o distruggersi nell'essere, che può tradirla dandosi una norma interna.[17]
Come in Schelling, la libertà è intesa come "facoltà del bene e del male".[18]
L'uomo è l'autore del male, ma non ne è l'origine. Infatti, Isaia 45:7[19] afferma: "ego Dominus, faciens pacem et creans malum”. In altre parole, solo Dio ha facoltà di creare sia il bene che il male. Egli ha discriminato dall'eternità, scegliendo irreversibilmente il bene e l'essere. La libertà dell'uomo ha scelto il male, introducendolo nel mondo.
Pareyson critica la filosofia e la teologia tradizionali che riducono il male a mero non-essere, mancanza e privatio boni, finendo col negarne il peso e la realtà storica.[18] Anche il male, nella sua scandalosità storica, trae da Dio l'essere un momento positivo di distruzione.[2]
Il problema del male non è né solo etico né solo gnoseologico, come in Spinoza. Esso è un problema ontologico che la ragione non può esprimere se non negando Dio o affermandolo, al prezzo di cadere in numerose obiezioni e aporie. Occorre un nuovo mito cristiano, linguaggio che si ispira al romanzo moderno e in particolare a I fratelli Karamazov.[18]
Secondo Pareyson Dio è Libertà, libero da qualsiasi necessità, assolutamente sovrano, padrone non solo dell'essere, ma anche della propria essenza. Il biblico Io sono colui che sono è interpretato come un "Io sono chi voglio essere" o "Io sono chi mi pare". Dall'eternità Dio ha compiuto una scelta libera e irreversibile a favore dell'essere, che si identifica col bene e la positività. L'alternativa scartata una volta per sempre non era compiere il male, ma semplicemente non-essere, che si identifica col male, il nulla e la negatività. La scelta è intemporale, avviene dall'eternità, prima del tempo e dello spazio.[20]
Quando Dio pone sé stesso in essere dall'eternità, avviene in Lui uno sdoppiamento tra l'Essere-Bene e il Dio che in origine c'è e non c'è, è al di là e al di sopra dell'essere e del non-essere. In questo il Dio di Pareyson è simile all'Uno di Plotino che dall'eternità esce fuori di sé in estasi, sdoppiandosi e diventando Uno-che-è. Tuttavia, il monismo emanazionistico è un processo eterno e necessario, mentre il Dio di Pareyson decide liberamente di darSi l'esistenza. Pareyson non esplicita se questo Dio, prima dell'autoposizione di Sé nell'essere, fosse indicibile, ineffabile e inesprimibile, vale a dire oggetto di una sola possibile teologia negativa.
Se 1 Giovanni 1:5[21] afferma che "Dio è luce e in lui non ci sono tenebre", diversamente dal Dio cristiano, Pareyson teorizza l'esistenza di un lato oscuro di Dio nel quale il nulla, il male e la negatività permangono per sempre come aufheben (resta come tolta e negata), come mera possibilità scartata dall'eternità con la scelta di essere, rimossa, dimenticata, occulta, sopita, inattuale ma (in taluni passaggi) che potrebbe anche essere ridestata e resa nuovamente disponibile. Dio, in quanto sovranamente e assolutamente libero, potrebbe anche scegliere il male. Come nell'Uno plotiniano, in Dio coesistono i contrari in una misteriosa, armonica e indissolubile unità: essere e non-essere, bene e male, positivo e negativo. L'Essere-Bene è frutto di una scelta libera dell'Uno di darsi l'esistenza, è uno sdoppiamento che è altro dall'Uno.
In secondo luogo, secondo Pareyson, è diversa la concezione della prescienza divina.[20] Diversamente dal Dio cristiano, pur vivendo al di fuori del tempo in un eterno presente, Dio non conosce e non vede le cose primaché avvengano, ma soltanto mentre esse si verificano. La conoscenza è istantanea e non si differenzia da quella degli angeli, che -secondi la concezione tomistica- non possono vedere il futuro a meno che Dio lo conceda loro.
Le "Opere complete" sono pubblicate a cura del "Centro studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson", Edizioni Mursia, Milano.
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