Nibelunghi ("Popolo delle nebbie", in norreno Niflúngar) è il nome dato dalla tradizione germanica a una stirpe mitologica di nani che viveva sotto terra e conosceva i segreti della fusione del ferro.[1] Secondo il Nibelungenlied tale popolo era detentore di un vastissimo tesoro, in seguito conquistato dall'eroe Sigfrido; di qui il nome Nibelunghi passa ad indicare tutti i possessori del leggendario tesoro e soprattutto i principi dei Burgundi, Günther (anche conosciuto come Gunnarr o Gundicaro) e Hagen (Högni), designati anche con il patronimico "Gjúkungar" (figli di Gjúki).

Nascita del mito

Non si sa chi abbia raccontato per primo le imprese dei Nibelunghi e da chi siano state trascritte. Il nucleo mitologico originario si è probabilmente formato intorno agli eventi del V-VI secolo, in particolare alla guerra tra i Burgundi e gli Unni. Dai Nibelunghi sarebbe infatti derivata la stirpe regale dei Burgundi[2], la popolazione che nel V secolo formò il primo nucleo di un regno romano-barbarico sulla riva sinistra del Reno. Le prime forme di narrazione scritta che raccontano le vicende dei Nibelunghi risalgono al XIII secolo.

La materia nibelungica è trattata in numerosissime opere, ma se ne distinguono due filoni principali, la tradizione germanica e quella nordica, le cui fonti principali sono:

Altre opere di minore importanza che trattano lo stesso mito sono:

I personaggi sono noti con nomi diversi nelle differenti tradizioni e talvolta vi sono differenze anche nel ruolo che svolgono nella storia.

Riproposizione in età moderna

In età moderna i manoscritti contenenti le diverse versioni della materia nibelungica vengono riscoperti in Germania e riscritti ai fini dell'esaltazione del carattere germanico, tema proprio del nazionalismo tedesco[1]. Nel 1755 Johann Jakob Bodmer trova un manoscritto del Nibelungenlied e, nel clima preromantico e in seguito romantico, il poema diventa il poema nazionale del popolo tedesco. Il Nibelungenlied subisce fin dall'inizio una serie di riscritture, mescolando le fonti tedesche e quelle nordiche, cercando di ricostruire un ipotetico originale perduto.

La più celebre riscrittura del mito nibelungico è quella effettuata da Richard Wagner, che scrive e mette in musica il ciclo L'anello del Nibelungo, la cui composizione si svolge tra il 1848 e il 1874. È da notare comunque che il capolavoro wagneriano (letterario oltre che musicale) è sorto dalla fusione di vari miti ed elementi derivanti da numerose fonti più antiche del Nibelungenlied e meno dipendenti di questo dal pensiero cristiano: le saghe islandesi e scandinave sono la più vera e autentica fonte mitologica dell'Anello del Nibelungo. Quest'opera immane nasce nel clima del '48: il ribelle Sigfrido che spezza la lancia del padre degli Dei, Wotan, simbolicamente accende la speranza di un cambiamento radicale. Lo scrittore irlandese George Bernard Shaw vide in Siegfried una trasposizione artistica del rivoluzionario anarchico russo Bakunin.

J. R. R. Tolkien ha riscritto la saga dei Nibelunghi durante i suoi anni di studi riguardanti la letteratura medievale Norrena, ispirandosi alle fonti Eddiche, cioè alle versioni islandesi della saga. Suo figlio Christopher Tolkien ha raccolto questi suoi appunti in un libro, uscito nel 2009, chiamato La leggenda di Sigurd e Gudrún.

Il tentativo cinematografico più riuscito di mettere in scena la saga dei Nibelunghi è stato quello del regista tedesco Fritz Lang, che con il lungo film muto in due parti I nibelunghi (in tedesco Die Nibelungen) ha creato un capolavoro del cinema.[3][4].

Vengono inoltre citati nella canzone "La Certa" dell'album Exuvia di Caparezza

Nella cultura di massa

La parola "Nibelunghi" compare anche nella serie dei Cavalieri dello zodiaco, in particolare nella parte della serie ambientata ad Asgard. I cavalieri di Atena dovranno salvarla dalle grinfie di Hilda, sacerdotessa di Odino, che è sotto l'influsso malefico dell'anello dei Nibelunghi.

Nella serie di videogiochi Valkyrie Profile, incentrata sulla mitologia scandinava, le tre valchirie, Lenneth, Silmeria e Hrist, e la principessa Alicia utilizzano una tecnica d'attacco denominata "Nibelung valesti", esplicito richiamo alla stirpe mitologica.

Per quanto riguarda il gioco World of Warcraft, la parola "Nibelunghi" si riferisce chiaramente alla classe dei nani, locati ad Ironforge, una città sotterranea dove è presente un'enorme fornace. Ironforge è il paradiso per il "blacksmith" principiante e medio. Il blacksmith è colui che fa il mestiere del fabbro nel gioco, ovvero chi fonde i minerali per creare armi e oggetti non comuni. La città sotterranea di Ironforge è circondata da un terreno innevato, altro particolare in comune con le terre e le mitologie norrene.

Il popolo dei "Nibelunghi" è anche citato nella Harlock Saga - L'anello dei Nibelunghi ' e in Capitan Harlock (film) quali adattamenti in chiave fantascientifica dell'opera di Wagner.

Anche nel film Army of Thieves l'anello dei Nibelunghi è citato attraverso i nomi delle casseforti inespugnabili che il protagonista del film, calatosi nei panni di un rapinatore, è chiamato a scassinare.

Alla canzone dei Nibelunghi vengono anche fatti cenni in una scena del film Django Unchained, film scritto e diretto da Quentin Tarantino, dove Brunilde è il nome della moglie dello stesso Django (in verità Broomhilda, con un gioco di parole tra il nome Brunhilda e broom, 'scopa' in inglese, che richiama la sua condizione servile), della quale i due protagonisti sono alla ricerca fin dalle prime scene di questa epopea western.

Note

  1. ^ a b Domenico Russo, Nibelunghi, in Enciclopedia dei ragazzi, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2006. URL consultato il 24 settembre 2015.
  2. ^ nibelungo, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 24 settembre 2015.
  3. ^ Lotte Eisner, Lo schermo demoniaco. Le influenze di Max Reinhardt e dell’espressionismo, traduzione di Martine Schruoffeneger, Roma, Editori Riuniti, 1983, pp. 202-203, ISBN 88-359-2640-8.
  4. ^ Georges Sadoul, Storia del cinema mondiale dalle origini ai nostri giorni, a cura di Ettore Capriolo, traduzione di Mariella Mammalella, Milano, Feltrinelli, 1964, pp. 111-114, SBN IT\ICCU\PAL\0033910.

Traduzioni

Bibliografia

Voci correlate

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