In economia una startup o impresa emergente è una nuova impresa o un’impresa che si è appena quotata in borsa.[1][2]
Di solito una startup ha la forma di un'organizzazione temporanea o una società di capitali in cerca di soluzioni organizzative e strategiche che siano ripetibili e possano crescere indefinitamente. Aziende consolidate appartenenti ad un altro settore economico possono sperimentare le stesse soluzioni. Spesso queste società vengono gestite con un approccio di tipo Lean Startup, partendo dalla creazione di un Minimum Viable Product (MVP). Di solito le startup attraggono inizialmente capitali da investitori privati allo stato iniziale per poi procedere, una volta maturato il modello di affari, ad una eventuale quotazione sui mercati finanziari. Nel linguaggio finanziario, una "matricola" è una società di nuova quotazione presso una borsa valori, per definizione quindi una "startup" può essere "matricola", ma non è vero il contrario in quanto una matricola può essere anche una società dai contenuti tradizionali.
Come emerge dalla definizione di Steve Blank, la scalabilità è un elemento cardine di questa tipologia di impresa. L'avvio di un'attività imprenditoriale non scalabile, come l'apertura di un ristorante, non coincide dunque con la creazione di una startup ma di una società tradizionale.[3]
Il termine startup deriva dal verbo inglese to start up, che significa partire, avviarsi, mettersi in moto.[2][4] Originariamente, il vocabolo venne utilizzato per indicare il processo di accensione e avvio di un computer o di altro dispositivo elettronico. La prima accezione economica faceva perlopiù riferimento alla fase iniziale di una nuova impresa nata nel settore internet o delle tecnologie dell’informazione. Il termine si è affermato ed è entrato nel dizionario finanziario italiano, ai tempi della bolla speculativa di internet.[4]
Il termine può essere declinato sia al maschile che al femminile, sebbene sia più comune la versione femminile, in riferimento alla parola "azienda".[2]
Lo startup comprende quindi tutte le spese relative alla costituzione della società e agli investimenti strutturali (arredamento degli uffici, impianti, macchinari, ecc.), gli stipendi, l'eventuale cauzione per l'affitto, le spese relative al materiale di consumo e l'indicazione del capitale proprio. In questo modo l'imprenditore ha un quadro chiaro dello scenario finanziario relativo ai mesi successivi e della sua capacità di remunerare il capitale investito.
Lo startup può anche essere collegato ad una offerta pubblica di vendita, ovvero a quell'operazione con la quale un'impresa immette sul mercato titoli propri, come le azioni. Questa operazione può essere concomitante con lo startup, in quanto un'azienda può decidere di quotarsi alla Borsa valori proprio per agevolare la raccolta di capitale per avviare i propri processi produttivi.
Le startup companies, di solito imprese appena costituite, nelle quali vi sono ancora processi organizzativi in corso, essendo state appena avviate, utilizzano generalmente una limitata quantità di capitale, lavoro e terreni.[5] Questo tipo di imprese, in caso di insuccesso, non sono particolarmente rischiose data l'esigua quantità di capitali investiti.
Al fine di valutare preliminarmente il valore di una startup, è opportuno procedere con una pre-money valuation prima di effettuare l'investimento.
È importante valutare le immobilizzazioni (impianti, attrezzature, software, ecc.) richieste in fase di avvio e il capitale circolante necessario per sostenere i costi di gestione iniziali.
L'imprenditore deve valutare:
Per determinare i ricavi della futura attività, prima è necessario procedere alla previsione delle vendite. Si stabilisce il livello di vendite atteso, si descrivono gli eventi che potrebbero assicurare il pieno raggiungimento del volume di vendite ipotizzato e si individuano le minacce che potrebbero inficiare le previsioni.
È un prospetto simile al conto economico e serve a determinare la convenienza del progetto imprenditoriale; infatti, attraverso l'individuazione dei costi e dei ricavi si determina l'utile della futura attività.
Per misurare la redditività dell'impresa, si utilizzano due indicatori: ROI (return on investiment) e il ROE (return on equity).
La redditività del capitale investito indica la capacità del progetto imprenditoriale di remunerare il capitale investito. Si calcola dividendo il reddito operativo (utile lordo) per il capitale investito.
La redditività del capitale proprio impegnato nell'attività si calcola dividendo l'utile netto per il capitale proprio.
Il decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (cosiddetto "Crescita 2.0"),[6] definisce una start-up innovativa nel modo seguente:
«Ai fini del presente decreto, l'impresa start-up innovativa, di seguito «start-up innovativa», è la società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente in Italia ai sensi dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione, che possiede i seguenti requisiti:
A gennaio del 2020, il Ministero dell'Innovazione Digitale ha pubblicato l'opuscolo informativo intitolato 2025. Strategia per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione del Paese. Le Prime azioni per l’Italia del futuro,[7][8] che fissa alcuni principi giuridici generali della strategia pubblica di sviluppo digitale, del tutto prive di norme attuative e regolamentari, di analisi quantitative, riscontri bibliografici e documentali, o di un cronoprogramma dettagliato anche in termini di costi e risorse assegnate.
Per acceleratore di startup si intende un programma per lo sviluppo di una azienda che ha la finalità di renderla autonoma. Per incubatore di startup (detto anche Business Innovation Centre) si intende il luogo fisico nel quale le startup risiedono.[9] Secondo Forbes nel 2012 i migliori acceleratori ed incubatori erano Y Combinator, TechStars e DreamIt Ventures.[10]
Le startup hanno attirato molta attenzione mediatica negli anni 2010. A conferma di ciò la visita del presidente statunitense Barack Obama all'incubatore 1776 avvenuta il 3 luglio 2014[11] e quella del Presidente del Consiglio dei Ministri Matteo Renzi all'incubatore H-Farm avvenuta il 26 febbraio 2014.[12] A queste si aggiunge l'annuncio del Presidente della Repubblica Francese François Hollande di misure per le startup d'oltralpe[13] e quello del Primo Ministro del Regno Unito David Cameron di un prestito di 82 milioni di sterline in tre anni per giovani imprenditori.[14]
Dall'analisi dei dati relativi alle startup italiane, è emerso che:
Da uno studio di Confimpreseitalia emerge quanto segue:
«Il valore della produzione media, calcolato sulle 2.860 startup innovative delle quali si hanno a disposizione i bilanci per l’esercizio 2014, è pari a circa 114mila euro, ma la metà delle startup innovative ha prodotto nel 2014 non più di 21.303 euro. L’attivo è pari in media a circa 214mila euro a impresa, ma per la metà delle startup innovative non supera 62mila euro. Numeri che risultano poco soddisfacenti per un settore che gode di quel livello di incentivi pubblici e una normativa ad hoc.»
Da uno studio del 2016, ripreso da diverse testate nazionali e poi dallo stesso Ministero dello Sviluppo Economico,[16] emerge che al 31 Dicembre 2015, delle startup iscritte al Registro delle Imprese Innovative funzionano solo due siti web su tre, e di questi oltre il 30% non è responsivo.[17][18]
In un recente libro, Disrupted, my misadventure in the start-up bubble, il giornalista Dan Lyons ha scritto come nelle startup i dipendenti vengano trattati come se fossero in gita scolastica. Le persone che lavorano in quella startup non hanno esperienze pregresse e possono essere licenziati senza motivo in qualunque momento. Il prodotto commercializzato è mediocre e l'azienda punta più sull'apparenza e la pubblicità, che sulla qualità del servizio offerto.[19]
Nel 2006, Andrew Keen scrisse che le startup ed il Web 2.0 erano un "grande movimento utopico" una specie di utopismo tecnologico, simile ad una "società comunista", nel modo in cui quest'ultima viene descritta dal filosofo ed economista Karl Marx. L'autore nota come il linguaggio degli imprenditori del settore informatico sia cambiato da termini come "cool" (figo), "eyeballs" (letteralmente bulbo oculare, significa fissare qualcosa, dedicargli tutta la propria attenzione), e "burn-rate" (la quantità di denaro necessaria ad una startup per rimanere in piedi) vengono sostituite da espressioni militanti ed assurde come Empowering citizen media (dare più potere ai mezzi di informazione gestiti dai cittadini), radically democratize (permettere una gestione molto più democratica di qualcosa), smash elitism (colpire i comportamenti che favoriscano le élite), content redistribution (redistribuzione dei contenuti), authentic community (comunità autentica). L'autore vede il Web 2.0 come una ideologia, trasmessa degli imprenditori della Silicon Valley, che venera il creativo della domenica, come chi nel tempo libero fa filmati, canta canzoni o scrive libri. Viene suggerito da tale ideologia che chiunque, anche la persona più ignorante e meno alfabetizzata, possa e debba usare i mezzi digitali per esprimersi e realizzarsi.[20]
Nel 2015 il presidente di uno degli acceleratori più famosi al mondo, Y Combinator, ha scritto che sui fondatori di startup viene fatta molta pressione affinché questi non mostrino mai segni di debolezza. Inoltre sulle spalle dei fondatori ci sono tantissime responsabilità. Questi fattori, insieme ad altri, portano alla depressione della quale non parlano.[21][22]