Il tasso di cambio può essere definito come il numero di unità di moneta estera che può essere acquistato con un'unità di moneta nazionale.
Viene determinato dal valore di mercato delle varie valute sul mercato internazionale. Molte banche centrali pubblicano il valore della propria valuta sui mercati mondiali, una volta al giorno ed in base alle quotazioni di mercato.
Il tasso di cambio nominale è da intendersi a tutti gli effetti come il "prezzo" di una valuta in termini di un'altra valuta (una valuta può considerarsi infatti come un bene, in quanto offre al detentore un "servizio", ovvero la possibilità di acquistare beni o titoli commerciati solo in quella valuta); così come avviene per qualsiasi bene, il prezzo di una valuta (tasso di cambio nominale) subisce variazioni per effetto di cambiamenti che riguardano la domanda e l'offerta: in parte le banche centrali possono influire sul tasso di cambio "acquistando" o "vendendo" valuta straniera (e corrispondentemente "vendendo" o "acquistando" valuta nazionale), al fine di raggiungere specifici obiettivi di politica economica e monetaria; la componente restante della domanda e dell'offerta è costituita invece dagli altri operatori che "offrono" valuta nazionale e "domandano" in cambio valuta estera (oppure che "offrono" valuta estera e "domandano" in cambio valuta nazionale), per motivi legati a:
È importante inoltre sottolineare che un tasso di cambio nominale al di sopra della parità non necessariamente comporta un vantaggio nelle importazioni (o negli acquisti effettuati all'estero nell'ambito del turismo); bisogna tenere conto infatti del tasso di cambio reale, che considera anche il diverso livello generale dei prezzi nei due paesi considerati. Consideriamo un esempio: il cambio nominale euro/dollaro è pari a 1,15 [1] (1000 dollari costano "solo" 869 euro); supponiamo che l'unico bene esistente nel mondo sia costituito dalle arance (in maniera tale da poter ragionare in termini di prezzo delle arance nei due paesi e non in termini di livello generale dei prezzi); supponiamo anche che in Italia le arance costino 1 euro, mentre negli Stati Uniti 2 dollari (le arance vendute in italia e quelle vendute negli Usa appartengono a due mercati differenti); in Italia io potrei acquistare 869 arance (avendo 869 euro), mentre negli Stati Uniti con 1000 dollari (ottenuti in cambio dei miei 869 euro) potrei acquistare soltanto 500 arance; la conclusione è che, in questo caso specifico, il cambio nominale sembra favorevole a chi vive in Italia, ma il cambio reale (quello che veramente interessa all'agente economico) risulta sfavorevole.
Analogo discorso deve essere fatto con riferimento alle "variazioni" del tasso di cambio intervenute in un intervallo di tempo: un aumento del tasso di cambio nominale (apprezzamento della valuta nazionale) comporta una situazione più favorevole solo se i livelli dei prezzi nei due paesi non subiscono variazioni (nello stesso intervallo temporale di riferimento), oppure se le variazioni dei livelli dei prezzi non sono tali da eliminare l'effetto positivo legato all'aumento del tasso nominale (o quando le variazioni dei prezzi agiscono nello stesso senso della variazione del tasso nominale, oppure quando le variazioni dei prezzi agiscono in senso opposto, ma in maniera tale da non annullare l'effetto della variazione nominale).
Altra considerazione importante è quella relativa ai vantaggi legati al fatto di avere una "moneta forte": non sempre una situazione di questo tipo risulta vantaggiosa per un dato paese, dato che l'apprezzamento della valuta nazionale da un lato rende più convenienti le importazioni dei beni esteri, ma dall'altro lato potrebbe ridurre le esportazioni verso i paesi esteri, per effetto del corrispondente deprezzamento della valuta estera (ovviamente vale il discorso fatto precedentemente: stiamo parlando di apprezzamento e deprezzamento nominali, ipotizzando che non ci siano variazioni relative dei livelli generali dei prezzi); l'aumento delle importazioni e la diminuzione delle esportazioni portano ad una riduzione della componente delle esportazioni nette nella domanda aggregata del paese considerato, ma è anche vero che l'aumento delle importazioni potrebbe avere degli effetti positivi per l'economia stessa (ad es. nel caso in cui si tratti di beni d'investimento); il risultato netto quindi è ambiguo (e per questo non sempre si arriva a risultati concordanti circa l'effetto globale sull'economia della variazione del cambio). A riprova del fatto che non sempre il mantenere una moneta forte produca risultati positivi sul sistema economico nazionale, è necessario considerare che spesso alcuni paesi sono riusciti ad uscire da fasi stagnanti delle proprie economie proprio attraverso svalutazioni competitive della valuta nazionale.
In finanza e in economia internazionale è abitudine distinguere tra tasso di cambio:
Alcuni stati usano una valuta straniera (generalmente una valuta più forte di quella nazionale): ad esempio il dollaro statunitense è riconosciuto e spendibile in molti paesi come seconda moneta nazionale, come l'euro in paesi europei non ancora entrati nell'UEM (fenomeno noto come dollarizzazione o, specificamente, eurizzazione). Alcuni stati vietano questa pratica, altri permettono a chiunque di scegliere liberamente un metodo di pagamento, che può essere la moneta nazionale, una valuta estera o qualsiasi altro mezzo di pagamento concordato tra le parti.
È possibile calcolare il tasso di cambio tra due monete (A e B) anche in modo indiretto. Quando si ha a disposizione il tasso di cambio di entrambe le monete rispetto ad una terza moneta (D) è possibile individuare il tasso di cambio tra le due monete calcolando il rapporto tra i rispettivi tassi di cambio delle due monete con la terza.
In formule:
La formula è da interpretare come un'equazione tendenziale, non puntualmente vera in ogni istante di tempo. Grazie ai disallineamenti sui cambi è possibile la speculazione sulle valute; l'ipotesi di un libero mercato efficiente oppure l'intervento delle banche centrali nei mercati aperti quando vige un regime di cambi fissi, assicurano l'allineamento fra i tassi di cambio e l'assenza di possibilità di arbitraggio.
Il tasso di cambio può essere lasciato variare liberamente nei mercati, con o senza dei limiti al di là dei quali la Banca Centrale interviene in difesa della valuta nazionale, oppure in un regime di cambi fissi, ad esempio un regime di currency board.
Un regime di cambi fissi vincola le operazioni di mercato aperto al mantenimento di un tasso di cambio con una misura di riferimento, che può essere una riserva o un'altra valuta.
Se ogni Banca Centrale è impegnata a tenere un prezzo valuta nazionale/riserva (es. euro/oncia d'oro) predefinito, questo garantisce una stabilità dei cambi, anche se l'offerta di moneta può essere variata adeguando le riserve auree. Tendenzialmente, per il cambio incrociato, sarà stabile anche il cambio fra valute nazionali ancorate all'oro; la variazione dell'offerta di una moneta (e a monte delle riserve auree) può però creare variazioni più o meno lunghe nei tassi di cambio con le altre valute.
Un impegno "diretto" a mantenere un cambio fisso con un'altra moneta (come era il dollaro con i Patti di Bretton Woods) privava le Banche Centrali della facoltà di regolare la quantità di moneta in base alle esigenze nazionali, sia di liquidità interna del sistema economico, che per una politica monetaria espansionistica per un tasso di cambio favorevole alle esportazioni.