Le Rime | |
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Dante in un affresco di Luca Signorelli nel Duomo di Orvieto, ca. 1500 | |
Autore | Dante Alighieri |
1ª ed. originale | XIV secolo |
Genere | Poesia |
Lingua originale | italiano |
Le Rime sono una raccolta, eterogenea e disorganica in quanto realizzata postera, che raccoglie le poesie, legate alle varie esperienze esistenziali e stilistiche di Dante Alighieri, scritte nel corso di una ventina d’anni e non raccolte nella Vita nuova e nel Convivio. Non si tratta di un canzoniere organico costruito dal poeta secondo un disegno, ma di una serie di componimenti eterogenei, raccolti e ordinati successivamente dai critici moderni. Tale raccolta riunisce parte del complesso della produzione lirica dantesca, dalle poesie giovanili sino a quelle dell'età matura.
Gli editori hanno suddiviso le poesie in cinque sezioni omogenee:
L'ordinamento di tutta la lirica dantesca proposto da Michele Barbi (1921) segue una categorizzazione tematico-formale:
Rispetto all'edizione Barbi del '21, che suddivideva le rime in sezioni tematiche, il corpus stabilito da Gianfranco Contini cerca di rispettare l'ordine cronologico nella misura del possibile, secondo criteri di "sottrazione" e negazione, che in parte correggono le ragioni generiche e "inclusive" di Barbi. L'edizione del '39, infatti, raccoglie solo le rime "estravaganti", quelle, cioè che rimasero esterne alla Vita Nova e al Convivio, e incorpora, in una sezione a parte, tutte quelle liriche considerate "dubbie". Ne deriva un corpus apparentemente disorganico, che però trova risposta nella costante tensione sperimentale di Dante poeta. Secondo Contini, l'evoluzione tecnica di Dante è costantemente associata alla sua evoluzione spirituale: la discontinuità stilistica riflette un "processo di inquietudine permanente" che costituisce la vera linea unitaria delle Rime.[1] A partire giustamente dal processo sperimentale di Dante è possibile, tuttavia, ipotizzare per il corpus una cartografia dinamica per nuclei stilistici e ideologici.
Le rime giovanili comprendono componimenti che riflettono le varie tendenze della lirica cortese del tempo.
Tra questo gruppo di testi Dante aveva già raccolto quelli che dovevano entrare a far parte della Vita nuova, opera incentrata sulla figura di Beatrice, che infatti non rientrano nella raccolta delle Rime.
Scritte probabilmente tra il 1293 e il 1296, si tratta di uno scambio di invettive ironiche in una sfida poetica con il suo caro amico, nonché cugino di terzo grado di Gemma.
Si tratta di un ciclo di quattro componimenti (43-46 dell'edizione Contini): due canzoni, una sestina e una sestina doppia, che tematizzano l'amore per la donna "Petra" che secondo alcune interpretazioni potrebbe essere un'allegoria della filosofia o una personificazione allegorica. Queste rime che prendono il nome dalla stessa donna (reale o allegorica) a cui sono dedicate si caratterizzano per il nuovo concetto di amore che viene proposto da Dante: infatti i versi si caricano di un amore passionale e carnale in cui si sprigiona una grande forza erotica, molto lontano dall'amore ideale e spirituale che Dante prova per Beatrice. Queste caratteristiche dei versi segnalano un ritorno di Dante al primo provenzalismo trobadorico, a quel "trobar clus" di Arnaut Daniel non riciclato dai guittoniani, a un poetare oscuro, crudo, drammatico che mette in forma la durezza e la crudeltà dell'amore di "Pietra". L'asprezza di questa parola poetica, la difficoltà a verbalizzare, seppur liricamente, la realtà tale che si presenta nelle Petrose (cupamente invernale, inorganica, deserta) anticiperebbe alcune atmosfere visive e stilistiche dell'Inferno. Per quanto riguarda una possibile datazione delle Petrose, la perifrasi astrologica che si articola nella fronte della prima stanza della canzone 43 segnalerebbe il dicembre 1296.
Dopo la morte di Beatrice nel 1290 e la composizione della "Vita Nuova", nei temi della poesia di Dante ha luogo una svolta. Nel Convivio, Dante racconta come fosse sorta in lui una passione ardente per la filosofia, identificata allegoricamente con la donna gentile che aveva consolato il suo dolore. Da questo nuovo amore nascono alcune canzoni in cui perdura lo stile dolce della fase precedente ma si afferma un'impostazione esclusivamente allegorica, per cui, sotto l'immagine della donna di cui il poeta canta l'amore, si cela in realtà un'astrazione. Dante assume uno stile elevato e curato, una poetica «aspra e sottile». Le poesie sono dedicate alla leggiadria, alla potenza nobilitante dell'amore, all'amore per la sapienza e alla liberalità d’animo. La canzone 30 (detta della Leggiadria), la 47 (della Giustizia) e la 49 (della Liberalità) erano probabilmente destinate all'inclusione nei capitoli del Convivio che non furono mai scritti.
Qui Dante si fa cantor rectitudinis, lamentando la mancanza di virtù e moralità nel mondo che ha causato il suo ingiusto esilio: egli si proclama «exul immeritus», esule senza colpa. In queste liriche il poeta si dedica ai temi politici e civili. Nella canzone Doglia mi reca (forse anch’essa destinata al Convivio) egli critica in tono apocalittico l’avarizia e il culto del denaro della borghesia emergente.