Nato a Cercola,[1] ultimo di sette fratelli,[2] trascorse la propria infanzia a Sant'Anastasia. Trasferitosi a Napoli insieme alla sua famiglia, visse tra la Riviera di Chiaia e viale Principessa Elena (oggi viale Antonio Gramsci), il salotto buono della città. Studente modello del liceo classico Umberto I, sognava di diventare campione del ring; il pugilato fu una passione che lo accompagnò per tutta la vita.
Il primo approccio con l'arte lo ebbe grazie a suo fratello maggiore Vincenzo, che con velleità da regista lo istruiva nei panni di Caronte in una scenografia di sedie accatastate. A diciotto anni si iscrisse all'università, frequentò medicina per un anno, poi passò a giurisprudenza, disciplina in cui si laureò.[2] Nel periodo universitario, per pura curiosità intellettuale, fa le sue prime esperienze di palcoscenico con il Teatro S, recitando in lavori di Beckett e Ionesco. Approfittava delle ore di studio per impostare la voce e perfezionare la propria dizione. Per interminabili pomeriggi e anni accademici, la famiglia lo udì declamare drammaticamente lunghi capitoli di storia del diritto e sequele di commi del codice penale.[senza fonte]
Solo più tardi, dopo aver recitato per due intere stagioni (1966-1967, 1967-1968) nella compagnia di Eduardo De Filippo,[1] e dopo essersi laureato, finirà per riconoscere la propria vocazione di attore. Nel 1969 incontra l'attrice Cecilia Sacchi: i due recitano assieme in Le donne di Aristofane, al Teatro di Segesta, in Sicilia. Con Cecilia si stabilisce un buon rapporto personale, coronato con il matrimonio,[1] che si celebra il 14 ottobre 1972, e la nascita di Giovanna,[1] il 9 novembre 1974.
Nel 1984 la sua carriera artistica si arricchì nuovamente: venne notato da Peter Brook,[1] il quale gli propose l'importante ruolo di Arjuna nella colossale produzione teatrale del suo Mahābhārata.[1] Il lavoro di ricerca e di formazione per lo spettacolo lo portarono (insieme con la compagnia internazionale del CIRT di Brook) a nutrirsi di diverse culture, e a prepararsi sia fisicamente sia spiritualmente a quella che divenne la sua più importante svolta artistica. La critica positiva e la notorietà, da lì fino alla fine del tour mondiale del Mahābhārata, raggiunsero l'apice.
Tornato in Italia, prese il posto di Michele Placido come protagonista della celeberrima serie televisiva La piovra, che gli diede ancor più popolarità,[2] nel ruolo dell'agente infiltrato Davide Licata nelle fiction televisive La piovra 5 e La piovra 6.[2]
Al termine de La piovra 6 il personaggio da lui interpretato, Licata, muore.[2] La scomparsa non era stata preventivamente annunciata ai media,[2] come invece era accaduto al suo predecessore Michele Placido nel ruolo del commissario Corrado Cattani, e colse di sorpresa il pubblico che non era neanche a conoscenza delle condizioni di salute di Mezzogiorno,[2] già ammalato. Infatti, poco tempo dopo, Vittorio Mezzogiorno morì a 52 anni, il 7 gennaio 1994, stroncato da un collasso cardiaco; in precedenza era stato operato per un tumore polmonare.[3] La salma venne tumulata nel cimitero di Griante, sul Lago di Como e 30 anni dopo traslata, insieme a quella della moglie, in quello di Civitanova del Sannio, in provincia di Isernia, dove la coppia aveva casa e dove amava trascorrere i periodi di riposo.[4]
The Mahabharata (in inglese), adattamento di Jean-Claude Carrière, regia di Peter Brook, Centre International de Recherche Théâtrales e Royal Shakespeare Company (1987-1988)