I Beati Paoli è il nome con cui viene indicata una presunta setta segreta nata in Sicilia formata da individui che si definivano vendicatori-giustizieri-sicari,[1] che sarebbe nata a Palermo, con il nome di vendicosi, intorno al XII secolo circa.[2] Non ci sono però certezze circa la sua esistenza. Molti mafiosi usano il mito dei Beati Paoli come mito fondativo della stessa mafia[3][4].
L'unica fonte a riportarla sono i "Diari" di Francesco Maria Emanuele marchese di Villabianca. A ritenere che sia realmente esistita è Francesco Paolo Castiglione nel saggio Indagine sui Beati Paoli[5].
L'associazione sarebbe stata costituita, secondo Francesco Maria Emanuele marchese di Villabianca,[6] come reazione allo strapotere e ai soprusi dei nobili che amministravano direttamente anche la giustizia criminale nei loro feudi.
Non esiste documentazione che ne convalidi l'esistenza e l'operato, anche perché i racconti della tradizione popolare erano esclusivamente orali. Data la natura estremamente ambigua e a tratti leggendaria se ne ignorano gli sviluppi al di là del periodo del regno normanno in Sicilia.
Ad oggi vi sono molteplici teorie non concordanti tra loro che oscillano da una affermazione della loro storicità al convincimento che ci si trovi di fronte ad una invenzione letteraria, mentre è più facile trovare documentazione a partire dalla fine del XIX secolo su una diffusione in Sicilia di una convinzione popolare riguardo all'effettiva veridicità della setta.
Lo scrittore e antropologo Giuseppe Pitrè (1841-1916) nel capitolo La mafia e l'omertà del suo Usi e Costumi diede questa definizione di associazione per delinquere ricavandola dal gergo dei detenuti della Vicaria, l'antico carcere di Palermo: «Cuncuma, s.f., riunione e compagnia di uomini, per lo più non buoni e giudicati come non buoni. Riunione segreta e misteriosa come quella dei Beati Paoli, che avevano le loro grotte paurose ed impenetrabili presso il giardino detto della Cuncuma. Essiri di la Cuncuma, essere del tal numero de' tristi, della cosca, aver l'arte e l'attitudine d'ingannare e prevedere gli inganni, esser furbo, ecc. A Palermo nel giardino della Cuncuma, vi era una grand'hosteria, et ivi giuntavano li guappi e taglia cantuni».[7] Questo non esclude qualunque riferimento magico o soprannaturale a proposito del mistero che circonda la confraternita.[8] I Beati Paoli si proposero, dunque, come un'associazione per delinquere, caratterizzata da una «ragione sociale», un «titolo», quasi come le tante Venerabili e Nobili Confraternite, forse collegata con esponenti del potere. Se i membri della setta fossero stati solo «guappi» o «vendicatori a basso costo» avrebbero reclutato esclusivamente persone di infimo rango sociale, non anche proprietari di patrimoni e sicuri redditi nonché nobili.[9]
I Beati Paoli, successori sempre rinnovati dei vendicosi, secondo il marchese di Villabianca, sarebbero stati realmente una setta di sicari che si riuniva in gran segreto (dopo la mezzanotte, al lume delle candele e incappucciati di nero) nelle cripte sotterranee del quartiere del Capo per pianificare criminali disegni e approntare una sorta di tribunale. I loro committenti facevano parte della classe sociale mezzana che, non disponendo come i blasonati di uomini in armi al proprio servizio, si rivolgevano alla congregazione per le loro personali vendette, sfruttando la rinomanza di mistero che la distingueva e l'indiscussa approvazione popolare di cui beneficiava, e l'esecuzione di atti delittuosi.[10]
Il mito dei Beati Paoli è stato, infatti, usato spesso da molti per documentare storicamente l'origine della mafia in Italia,[11] sebbene tale provenienza sia stata più volte rigettata sia per la natura organizzativa che per gli effetti sulla popolazione: beneficiata dai primi, soggiogata dalla seconda.[12]
Circa l'origine del nome, si è ipotizzato un collegamento con Francesco da Paola, patrono del regno di Napoli e Sicilia, fino al 1519 beato: gli aderenti della consorteria potevano circolare vestiti come i suoi minimi, frequentare le chiese e fare «cunciura» nei sotterranei. Pare usassero come emblema una croce sovrastata da due spade incrociate.[13]
Il presunto covo dei Beati Paoli è accessibile attraverso una cripta esistente nella chiesa palermitana di Santa Maria di Gesù al Capo (o Santa Maruzza ri Canceddi) che si affaccia sulla piazza ora dedicata alla temuta congrega.[14] Un secondo ingresso dà sul vicolo degli Orfani che conduce al suddetto piazzale. Sopra la grotta si eleva il gentilizio palazzo Baldi-Blandano: al primo piano, tramite una piccola porta, si raggiunge l'antro. La cavità (probabilmente una cosiddetta camera dello scirocco, fatta scavare dagli aristocratici per riposarsi al fresco durante le afose giornate estive) è caratterizzata da un vano con un pozzo e un sedile semicircolare, mentre due anguste gallerie portano ad altre spelonche. Il sotterraneo, visitato da Luigi Natoli (1857-1941) e descritto nel suo romanzo, fu utilizzato come rifugio durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale: attualmente il comune di Palermo ha intrapreso i lavori per il suo recupero.[15]