Carl Schmitt nel 1912

Carl Schmitt (Plettenberg, 11 luglio 1888Plettenberg, 7 aprile 1985) è stato un giurista e politologo tedesco.

Biografia

Schmitt nasce in una numerosa e modesta famiglia cattolica nella Vestfalia prussiana e protestante. Laureatosi nel 1910 e ottenuto nel 1915 il dottorato in diritto all'Università di Strasburgo (allora parte della Germania) e nel 1916 la libera docenza, pubblicò nel 1921 Die Diktatur (La dittatura), sulla costituzione della Repubblica di Weimar, nel 1922 Politische Theologie (Teologia politica), ostile alla filosofia del diritto, ritenuta troppo formalista, di Hans Kelsen, nel 1923 Die geistesgeschichtliche Lage des heutigen Parlamentarismus (La situazione storico-intellettuale del parlamentarismo odierno) sull'incompatibilità fra liberalismo e democrazia di massa e nel 1927 Der Begriff des Politischen (Il concetto di politico), sul rapporto amico/nemico come criterio costitutivo della dimensione del 'politico'[1]. Le posizioni espresse da Schmitt in questo periodo, sino all'inizio degli anni Trenta, sono state a volte riportate al concetto di Rivoluzione conservatrice (Konservative Revolution).[2]

Carl Schmitt nella foto di classe, 1904

Nel 1932 collaborò con il cancelliere Kurt von Schleicher. Dopo aver insegnato in varie università tedesche, divenne professore all'Università Humboldt di Berlino nel 1933, incarico che fu costretto ad abbandonare nel 1945, alla fine della seconda guerra mondiale.

Aveva aderito al partito nazista il 1º maggio 1933, e a novembre dello stesso anno era divenuto presidente della Vereinigung der nationalsozialistischen Juristen (Unione dei giuristi nazionalsocialisti); nel giugno 1934 divenne direttore della Deutsche Juristen-Zeitung (Rivista dei giuristi tedeschi).

Testata della Deutsche Juristen-Zeitung

In riferimento alla promulgazione delle discriminatorie Leggi di Norimberga del 1935, in cui si proibiscono i matrimoni e i rapporti extraconiugali tra ebrei e non ebrei in nome del mantenimento "della purezza del sangue tedesco", Schmitt osserva:

«Oggi, il popolo tedesco è ritornato ad essere tedesco, anche da un punto di vista giuridico. Dopo le leggi del 15 settembre, il sangue tedesco e l'onore tedesco sono ritornati ad essere i concetti portanti del nostro diritto. Lo Stato è ormai un mezzo al servizio della forza dell'unità völkisch. Il Reich tedesco ha un solo stendardo, la bandiera del movimento nazionalsocialista; e questa bandiera non è solamente composta di colori, ma anche di un grande e autentico simbolo: il segno del giuramento popolare della croce uncinata»

Nel dicembre 1936 fu tuttavia accusato di opportunismo sulla rivista delle SS Das Schwarze Korps e dovette rinunciare a giocare un ruolo da protagonista nel regime. Nel 1937 ambienti interni al regime, in un rapporto riservato diretto ad Alfred Rosenberg, criticarono Schmitt per la sua dottrina, accusata di essere intrisa di "romanità", per i suoi rapporti con la Chiesa cattolica e per il suo sostegno al presidenzialismo.[4]

Fino alla fine del nazionalsocialismo Schmitt lavorò principalmente nel campo del diritto internazionale e in questo settore mirò a fornire al regime delle parole chiave. Così forgiò nel 1939, all'inizio della seconda guerra mondiale, il concetto di Völkerrechtliche Großraumordnung ("ordinamento dei grandi spazi nel diritto internazionale"), una sorta di dottrina Monroe tedesca, come chiave di lettura del nuovo diritto internazionale post-statale e possibile giustificazione della politica espansionistica di Adolf Hitler. Inoltre Carl Schmitt fu impegnato nella cosiddetta Aktion Ritterbusch, volta a sostenere lo sforzo bellico della Germania nazista mediante il coinvolgimento attivo delle personalità del mondo scientifico e culturale tedesco, chiamate a fornire consulenza alle politiche spaziali e demografiche del regime[5].

Catturato dalle truppe alleate alla fine della guerra, rischiò di essere processato al processo di Norimberga[6], ma fu rilasciato nel 1946 e tornò a vivere nella cittadina natale, dove continuò a lavorare privatamente e a pubblicare nel settore del diritto internazionale. Fu comunque escluso dall'insegnamento in tutte le università tedesche ed espulso dall'Associazione dei giuspubblicisti tedeschi nell'ambito del programma postbellico di denazificazione della Germania[7]. Le esperienze di questo periodo si riflettono nei saggi Risposte a Norimberga e Ex Captivitate Salus.

Morì nel 1985, all'età di quasi 97 anni.

Pensiero

Come giurista Schmitt è uno dei più noti e studiati teorici tedeschi di diritto pubblico e internazionale. Le sue idee hanno attirato e continuano ad attirare l'attenzione di studiosi di politica e del diritto, tra cui Walter Benjamin, Leo Strauss, Jacques Derrida, Chantal Mouffe, Slavoj Žižek, nonché in Italia Pierangelo Schiera, Carlo Galli, Mario Tronti, Massimo Cacciari, Gianfranco Miglio, Giacomo Marramao e Giorgio Agamben.

Il suo pensiero, le cui radici affondano nella religione cattolica, ruota attorno alle questioni del potere, della violenza e dell'attuazione del diritto. Tra i concetti chiave si trovano, con formulazione lapidaria, lo "stato d'eccezione" (Ausnahmezustand), la "dittatura" (Diktatur), la "sovranità" (Souveranität), il katéchon e il "grande spazio" (Großraum), e le definizioni da lui coniate, come "teologia politica" (Politische Theologie), "custode della costituzione" (Hüter der Verfassung), "formula dilatoria di compromesso" (dilatorischer Formelkompromiss), la "realtà costituzionale" (Verfassungswirklichkeit), il "decisionismo" o le opposizioni dualistiche come "legalità e legittimità" (Legalität und Legitimität), "legge e decreto" (Gesetz und Maßnahme) e "hostis - inimicus" (la distinzione tra nemico e avversario, premessa del rapporto "amico-nemico" come criterio costitutivo della sfera del "politico").

Le sue opere si accostano, oltre al diritto pubblico e internazionale, ad altre discipline, quali la politologia, la sociologia, le scienze storiche, la teologia e la filosofia (con particolare riguardo agli aspetti ontologici del diritto)[8].

Schmitt oggi viene descritto dai suoi critici come un "criminale giurista", un teorico discutibile ostile alle democrazie liberali[9], ma è allo stesso tempo indicato come un "classico del pensiero politico" (Herfried Münkler), non ultimo per l'influenza esercitata sul diritto pubblico e sulla scienza del diritto nella prima Repubblica Federale Tedesca (per esempio riguardo al "voto di sfiducia costruttivo"[10], ai limiti sostanziali al potere di revisione costituzionale, alla limitazione dei diritti fondamentali dei soggetti eversivi dell'ordine costituzionale o "democrazia militante").

In Italia, dopo un periodo di diffidenza dovuta ai suoi legami con il nazismo, il suo pensiero è ricorrentemente oggetto di attenzione, soprattutto con riferimento ai problemi giuridici e filosofico-politici della globalizzazione (Danilo Zolo, Carlo Galli, Giacomo Marramao), alla crisi delle categorie giuridiche moderne (Pietro Barcellona, Massimo Cacciari, Emanuele Castrucci), ai processi di transizione costituzionale e all'esperienza paradigmatica della Repubblica di Weimar (Gianfranco Miglio, Fulco Lanchester, Angelo Bolaffi).

Lo stesso argomento in dettaglio: Giustizia politica.

Schmitt è stato decisamente influenzato, nella formazione del suo pensiero, da filosofi politici e teorici dello Stato come Thomas Hobbes, Jean Bodin, Emmanuel Joseph Sieyès, Niccolò Machiavelli, Jean-Jacques Rousseau, Louis de Bonald, Joseph de Maistre, Juan Donoso Cortés, ma anche da contemporanei come Georges Sorel, Ernst Jünger e Vilfredo Pareto. Schmitt considerava come suo maestro il giurista francese Maurice Hauriou, massimo esponente dell'istituzionalismo, che cita ripetutamente nelle sue opere e che definisce come "il maestro della nostra disciplina".[11]

Il pensiero schmittiano presenta una serie di elementi che, per la sua epoca, si sono dimostrati antesignani del dibattito democratico che oggi interessa i Paesi occidentali: le sue critiche ancora oggi sono fonti per la letteratura scientifica giuridica e sociologica[12].

Il concetto di Stato

La comprensione di Schmitt e dei concetti della dottrina moderna dello Stato è improntata alla sua convinzione che il sistema della scienza giuridica, in particolare il diritto pubblico, non è autonomo, bensì impregnato, nel corso della secolarizzazione, della concettualità teologica. Tutti i concetti della dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati.[13] Questa trasposizione non riguarda solamente lo sviluppo storico dei concetti, ma anche la componente metafisica.[7]

La tesi di Schmitt sulla secolarizzazione si rispecchia nel suo concetto di Stato. Lo Stato è un'istanza assoluta secolarizzata, ed è la forma più intensiva di unità politica. Questa unità è andata disgregandosi all'inizio del XX secolo, con l'avvento della democrazia parlamentare, determinata dall'antagonismo di classe e dal confronto fra diversi gruppi di interesse economici e sociali che rendono difficili o impossibili decisioni politiche unitarie. Lo stesso principio di maggioranza e minoranza parlamentare non è accettabile. L'unità può essere ottenuta solamente se esiste non solo un'uguaglianza formale, ma anche una «sostanziale uniformità di tutto il popolo»[14], che si può ottenere attraverso l'esclusione o l'annientamento di qualsiasi elemento estraneo all'uniformità.[15] Uno Stato nel quale tutti i cittadini sono uguali gli uni agli altri è uno "Stato totale", che rappresenta il massimo grado di unità, poiché grazie al suo ordinamento può impedire la scomposizione in gruppi sociali conflittuali e può opporsi a tutto ciò che contraddice l'uniformità sostanziale.[7]

Lo Stato esercita un monopolio sulla decisione politica, che per Schmitt coincide con la decisione su chi è amico e nemico: è questa per Schmitt la specifica distinzione politica che definisce la sfera del "politico" e quindi dello Stato. Il nemico non è un avversario in generale, ma è «essenzialmente, in un senso particolarmente intensivo, qualcosa d'altro e di straniero»[16]. Perciò la statualità si caratterizza grazie all'individuazione dei nemici esterni ed interni allo Stato: la determinazione dei primi avviene con l'esercizio dello ius belli, quella dei secondi mediante la neutralizzazione di chi disturba «la tranquillità, la sicurezza e l'ordine» dello Stato[7]. Questa concezione del "nemico interno" fu ampiamente richiamata al convegno dei giuristi nazionalsocialisti tedeschi di Lipsia nel 1933 per giustificare la politica razziale del regime: senza tale idea di uniformità razziale, uno Stato nazionalsocialista non sarebbe potuto esistere.[17] Lo Stato di Schmitt è quindi un'unità politica suprema, fondata sull'unità sostanziale di tutti i suoi membri, e mostra la propria forza nella possibilità di disfarsi di nemici interni ed esterni[18], arrivando anche al loro annientamento se necessario.[7]

Opere

Opere tradotte in italiano

Note

  1. ^ Campi, Alessandro, L'ombra lunga di Weimar: Carl Schmitt nella cultura politica italiana tra terrorismo e crisi della partitocrazia, Rivista di politica: trimestrale di studi, analisi e commenti, 2, 2011 (Soveria Mannelli (Catanzaro): Rubbettino, 2011).
  2. ^ Stefan Breuer, La rivoluzione conservatrice. Il pensiero di Destra nella Germania di Weimar, Donzelli, 1995
  3. ^ Yves Charles Zarka, Un dettaglio nazi nel pensiero di Carl Schmitt. La giustificazione delle leggi di Norimberga del 15 settembre 1935, Il nuovo Melangolo, 2005. Rilevante anche lo scritto "Der Führer schützt das Recht" a commento al discorso del 13.7.1934 di Adolf Hitler.
  4. ^ Torna l’accusa di filonazismo contro Jünger, Schmitt e Heidegger. Ma i tre pensatori non furono paladini della tirannide, su secoloditalia.it. URL consultato il 24 settembre 2013.
  5. ^ (DE) Die Aktion Ritterbusch Auf dem Weg zum... | F.A.Z. Frankfurter Allgemeine Zeitung, su genios.de. URL consultato il 3 marzo 2022.
  6. ^ Darchini, Massimo [rec.]. Carl Schmitt a Norimberga - Darchini legge Schmitt, Storica : rivista quadrimestrale : IX, 25-26, 2003 (Roma : Viella, 2003).
  7. ^ a b c d e Ilse Staff, Schmitt, in Raffaella Gherardi (a cura di), La politica e gli Stati. Problemi e figure del pensiero occidentale, Studi superiori, Roma, Carocci, 2011, pp. 369-376, ISBN 978-88-430-5992-8.
  8. ^ Victoria Kahn, Hamlet or Hecuba: Carl Schmitt's Decision, Representations, Vol. 83, No. 1 (Summer 2003), pp. 67-96.
  9. ^ William E. Scheuerman, Carl Schmitt's Critique of Liberal Constitutionalism, The Review of Politics, Vol. 58, No. 2 (Spring, 1996), pp. 299-322.
  10. ^ Matteo Frau, LE ORIGINI WEIMARIANE DEL VOTO DI SFIDUCIA COSTRUTTIVO E LA PRASSI APPLICATIVA DELL’ ISTITUTO CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL’ ORDINAMENTO TEDESCO, su rivistaaic.it. URL consultato il 3 marzo 2022.
  11. ^ Carl Schmitt, Il Nomos della Terra nel diritto internazionale dello "Jus publicum europaeum", Adelphi, Milano 1991, p. 264.
  12. ^ Democrazia e Disinformazione: populismo, rete e disinformazione.
  13. ^ Carl Schmitt, Teologia politica I, a cura di Gianfranco Miglio, Pierangelo Schiera, Le categorie del "politico": saggi di teoria politica, Il Mulino, 1972, p. 62.
  14. ^ Carl Schmitt, Legalità e legittimità.
  15. ^ (DE) Carl Schmitt, Der Gegensatz von Parlamentarismus und moderner Massendemokrati, 1926.
  16. ^ Carl Schmitt, Il concetto del "politico", in Gianfranco Miglio, Pierangelo Schiera (a cura di), Le categorie del "politico": saggi di teoria politica, Il Mulino, 1972 [1932], ISBN 9788815066923.
  17. ^ Carl Schmitt, Stato, movimento, popolo. Le tre membra dell’unità politica, in Principi politici del nazionalsocialismo, Sansoni, 1935.
  18. ^ Philippe Raynaud, Raymond Aron lecteur de Carl Schmitt, Commentaire 2014/4 (Numéro 148).

Bibliografia

Voci correlate

Altri progetti

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