Eccidio del Padule di Fucecchio
eccidio
Monumento in memoria delle vittime dell'eccidio del Padule di Fucecchio
TipoFucilazioni di massa, esecuzioni sommarie
Data23 agosto 1944
05.00 circa – 14.00 circa
LuogoPadule di Fucecchio - comuni interessati : Cerreto Guidi, Fucecchio, Larciano, Monsummano, Ponte Buggianese
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneToscana
Coordinate43°48′N 10°48′E
ObiettivoCittadini che avevano appoggiato la resistenza partigiana, bande partigiane
Responsabili26ª divisione corazzata tedesca
MotivazioneTerrorismo
Conseguenze
Morti174
Feriti22
Mappa dei luoghi in cui sono state ritrovate le vittime del massacro.
Tabaccaia di Prato Grande, Ponte Buggianese (PT). Sulla facciata è murata una lapide in memoria delle vittime dell'eccidio fucilate all'esterno dell'edificio il 23 agosto 1944.
Cippo del Piaggione[1] Capannone, Ponte Buggianese(PT)

L'eccidio del Padule di Fucecchio fu un crimine di guerra commesso da un reparto della 26ª Divisione corazzata tedesca, agli ordini del generale Peter Eduard Crasemann, il 23 agosto 1944.

Nella strage, avvenuta nella vasta area pianeggiante compresa tra le province di Pistoia e Firenze, denominato Padule di Fucecchio, persero la vita 174 civili (uomini, donne e bambini[2]).

Eventi

[modifica | modifica wikitesto]

Nell'estate 1944 sia a causa dei bombardamenti/cannoneggiamenti alleati sia a causa dei rastrellamenti nazisti, molte famiglie con donne, vecchi e bambini provenienti dalle province di Pistoia e Firenze lasciarono le proprie abitazioni per andare a rifugiarsi nella zona del Padule, un luogo considerato sicuro poiché lontano dai centri abitati.

Alcuni uomini della zona si unirono nella primavera-estate del '44 in una banda di partigiani, la "Silvano Fedi", capeggiata dal professor Benedetti.[3] La banda partigiana durante il mese di luglio e di agosto attaccò sporadicamente il battaglione tedesco dislocato nei pressi di Ponte Buggianese, senza infliggere gravi perdite all'esercito, ma causando ordini di rappresaglie ai danni della popolazione civile residente nei paesi circostanti. Vennero fucilati ed impiccati innocenti, solo per avvertire la popolazione di ciò che succedeva a chi sparava contro tedeschi, o semplicemente proteggeva o non denunciava partigiani di passaggio.

In tutta l'area circostante al padule erano dislocati soldati appartenenti alle 26ª divisione corazzata tedesca, il cui comando era situato a Chiesina Uzzanese. Il 22 agosto molti militari partirono dal villaggio diretti verso il padule, al loro ritorno, 2 giorni dopo il massacro, dichiararono di aver ucciso 200 partigiani, omettendo che in realtà il totale dei morti era composto esclusivamente da civili.

Da Monsummano il 23 agosto partirono i membri del 26º Reparto esploratori comandato dal capitano Josef Strauch, affermando di andar a combattere le bande nascoste nel padule. Risulta che altri piccoli gruppi di soldati appartenenti a varie unità della 26ª corazzata, dislocata nell'area, vennero impiegati nell'azione.

Intorno alle 6.00 del 23 agosto truppe tedesche si diressero verso la "Tabaccaia", a Ponte Buggianese, dove alloggiavano molti sfollati, per lo più donne e bambini: li costrinsero a uscire e li fucilarono sul posto. A Cintolese, altri ufficiali tedeschi fucilarono uomini, donne e bambini che scappavano o si rifugiavano fra i campi; tra questi ufficiali sembra che fosse presente anche il capitano Strauch.

Colpevole della strage è sospettato anche il 9º Reggimento granatieri corazzati, il cui comandante, colonnello Henning von Witzleben - un cugino di Erwin von Witzleben - (con alcuni ufficiali del suo stato maggiore), alloggiava nella residenza della Baronessa Banchieri, a Larciano. La mattina del 23, dopo le sette, si sentirono spari proveniente dal casale di Silvestri, vicino alla fattoria Banchieri; il colonnello fece aprire il fuoco con un cannone dalla villa verso il casale e gli spari cessarono. Successivamente venne inviata (verso l'abitazione) una pattuglia di soldati tedeschi che, dopo aver ordinato agli occupanti di uscire, aprì il fuoco ed anche chi cercò di scappare venne ucciso.

Tra le vittime otto donne, due uomini, un bambino di otto anni e due di diciassette e ventisette mesi, oltre a molti altri feriti. Altri corpi vennero portati alla villa della baronessa Banchieri dalle case in cui si erano verificati episodi simili.

I tedeschi continuarono il massacro avanzando nel padule ed uccidendo allo stesso modo altri civili indifesi.

Molti corpi vennero trovati nel corso della giornata uccisi allo stesso modo; in alcuni casi non ci furono testimoni superstiti, ma non c'è alcun dubbio che gli omicidi siano avvenuti per mano tedesca.

Alcuni feriti per salvarsi si diressero alla villa Banchieri, in cui trovarono gran confusione nel comando tedesco a causa dell'uccisione di così tanti innocenti: Von Witzleben mandò dei corrieri con l'ordine di far cessare il fuoco, affermando di essere all'oscuro di ciò che stava accadendo e di aver ordinato la rappresaglia contro bande partigiane, perché alcuni soldati tedeschi erano stati uccisi. Tuttavia il suo era solamente un tentativo di discolparsi dell'accaduto, nessun tedesco era stato ucciso nei giorni precedenti.

Dalle parti della località Stabbia, unità appartenenti alla 26ª divisione Corazzata effettuarono una simile azione: il 23 mattina verso le 6.00 arrivarono a Stabbia e fecero fuoco in modo indiscriminato. I civili furono arrestati e assassinati, oppure uccisi mentre svolgevano il proprio lavoro quotidiano, senza dare alcuna motivazione.

Lo stesso accadde a Massarella dove si aprì il fuoco verso il padule, e successivamente furono trovati morti 8 uomini.

In totale nella zona del Padule di Fucecchio vennero trovate 174 vittime civili non appartenenti a bande partigiane; tra queste, molte donne e ragazzi compresi tra un mese e 16 anni. Due partigiani vennero uccisi, Enrico Magnani, appartenente alla formazione XI Zona "Pippo" - Lucca, ed Enrico Bianchini, originario di Pavegliano, appartenente alla Formazione "Silvano Fedi" - Ponte Buggianese[4].

Cause

[modifica | modifica wikitesto]

Le cause che spinsero l'esercito tedesco ad un simile atto sono molto incerte. Da un lato ci fu una cattiva informazione che indicò la presenza di bande di partigiani nel Padule, ma durante la strage vennero uccisi solo civili innocenti. Infatti, mentre inizialmente era stato programmato un concentramento partigiano all'interno del padule, che sarebbe diventato la base operativa degli attacchi, nel momento in cui fu tutto pronto per la partenza ci furono defezioni di molti componenti provenienti da gran parte dei comuni circostanti. Benedetti quindi fu costretto a dirigersi nei dintorni del padule presso Ponte Buggianese solo con il suo gruppo male armato e disorganizzato, composto da una trentina di elementi.

Dall'altro, contribuirono sia le direttive provenienti da Berlino, sia in particolar modo gli ordini emanati dal Feldmaresciallo Albert Kesselring comandante del Gruppo dell'Armate "C", OB Sudwest[5], che più di ogni altro aveva dimostrato l'intenzione di compiere una dura lotta contro le bande, anche a discapito della popolazione civile, se questo fosse servito a fermarle. Le sue intenzioni furono appoggiate in parte dalle direttive emesse per la "lotta contro le bande": esse spiegavano quali tipi di combattimento erano consentiti, ed affermavano che le popolazioni che avessero appoggiato i partigiani o si fossero trovate nei luoghi di conflitto avrebbero subito misure punitive. Le direttive ordinavano inoltre di arrestare e trattare come prigionieri di guerra gli esponenti della resistenza, senza ucciderli.

Kesselring non applico mai l'ultima parte della direttiva, ma anzi ordinò di agire con azioni pianificate ed in caso di attacco aprire immediatamente il fuoco senza preoccuparsi dei passanti o di eventuali civili nei dintorni. Dette ad ogni soldato la possibilità di uccidere chiunque fosse sospettato di complicità con i partigiani. Infine dichiarò che a qualsiasi tipo di intervento non sarebbe conseguita alcuna punizione, dando così "carta bianca" ai singoli comandanti.

Inoltre va analizzato anche il preciso momento storico, era infatti in corso la ritirata verso la Linea Gotica e quindi gli Appennini Pistoiesi; la parte meridionale del Padule distava appena 5 chilometri dal fronte sull'Arno e si trovava proprio nella zona di fuga nazista. I tedeschi non potevano permettersi attacchi improvvisi da parte di bande partigiane e questo fu un ennesimo motivo che portò all'eccidio, nonostante in realtà non ci fossero partigiani in Padule.

Testimonianze dei superstiti

[modifica | modifica wikitesto]

La cooperazione del comando dei carabinieri di Monsummano con le commissioni di inchiesta angloamericane permise la raccolta e la messa agli atti di 169 testimonianze fornite da coloro che assistettero alla strage. Tali testimonianze pur dolorose da ripercorrere per gli interrogati, furono essenziali nella raccolta del maggior numero di informazioni riguardanti in particolare le armi utilizzate, il non coinvolgimento della popolazione civile nel movimento partigiano e soprattutto l'identificazione dei responsabili.

Durante gli interrogatori venne usata una stessa struttura di domande basilari: veniva chiesto perché i testimoni si trovassero nel padule, cosa avessero visto o fatto e se fossero partigiani.

Le deposizioni furono tutte molto simili: i superstiti interrogati dai carabinieri e/o dai responsabili delle commissioni di inchiesta, affermarono in linea generale di trovarsi in padule per rifugiarsi dai bombardamenti o dai rastrellamenti nazisti.

Alcuni scamparono all'azione perché tornati temporaneamente nelle proprie case, altri perché potendo vedere da lontano i soldati tedeschi riuscirono a nascondersi nei fossi o a penetrare nelle zone più interne. Altri ancora riuscirono a fuggire o vennero lasciati liberi da alcuni soldati, mentre altri, feriti e non, finsero di essere morti per evitare la fucilazione.

Quasi tutti affermarono che né loro né i loro familiari morti, erano partigiani o avevano prestato soccorso a organizzazioni partigiane. Raccontarono spesso di non aver avuto tempo né per parlare né per scappare: le uccisioni avvenivano direttamente all'interno delle abitazioni, o di fronte ad esse, dopo che tutti gli abitanti erano usciti.

È possibile leggere tutte le testimonianze raccolte nel libro di Paolo Paoletti La strage del 23 agosto 1944.[6]

I condannati

[modifica | modifica wikitesto]

Sulla strage vennero aperte due commissioni di inchiesta, una inglese ed una americana. Per quanto il luogo si fosse trovato sul territorio di competenza della V armata americana, fu uno dei pochi casi in Italia, in cui le indagini furono molto approfondite[7] da parte dalla commissione d'inchiesta britannica. Quest'ultima, a differenza di quella americana, creò una branca investigativa speciale, al fine di indagare sui presunti crimini di guerra commessi dalla Wehrmacht contro la popolazione civile italiana. Dopo aver accertato i fatti la commissione inglese istituì il processo di Venezia, con lo scopo di condannare i più grossi criminali di guerra.

Tra i condannati, oltre a Crasemann[8] comparve anche il Feldmaresciallo Kesselring, poiché dallo studio delle mappe emerse che le rappresaglie non furono eseguite per ordini di comandanti di singole formazioni, ma furono un esempio di campagna organizzata dall'alto.

Dei 45 ricercati, tra i quali alcuni in attesa di essere ancora interrogati, soltanto due vennero veramente condannati dal processo di Venezia: il capitano Strauch e il comandante Crasemann. A entrambi furono comminate pene detentive per un periodo non superiore ai 6 anni.

Il comandante Kesselring venne invece giudicato da un tribunale militare britannico a Mestre. Inizialmente venne condannato alla fucilazione per tutti i crimini di guerra commessi, compresi l'eccidio di Sant'Anna di Stazzema e l'eccidio delle Fosse Ardeatine, ma successivamente la condanna venne modificata con la reclusione a vita, e venne portato nel carcere Werl[9] Nel 1948 però la pena venne ridotta a 21 anni, fino a quando nel 1952 venne scarcerato a causa delle sue condizioni di salute. Johann Robert Riss nel 2011 il tribunale militare di Roma lo ha giudicato colpevole in contumacia e lo ha condannato all'ergastolo; La Germania ha rifiutato di estradare Riss.

Le vittime

[modifica | modifica wikitesto]
Elenco delle vittime dell'eccidio. Castelmartini, Larciano (PT)

L'elenco delle vittime sottostante (174 morti) è ricavato dal monumento in memoria dell'eccidio, inaugurato dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi il 16 settembre 2002 a Castelmartini (PT). Una ricerca approfondita di Metello Bonanno ha ripartito il numero di morti per luogo di residenza, giungendo a 174: 84 a Monsummano, 4 a Pieve a Nievole, 5 a Montecatini Terme, 28 a Larciano, 20 a Cerreto Guidi, 1 a Lamporecchio, 7 a Fucecchio, 1 a Uzzano, 24 a Ponte Buggianese.[10]

Le vittime vengono raggruppate per luogo di morte, in alcuni casi viene indicato anche il luogo di residenza (se diverso da quello di morte) ed inoltre, quando possibile, sono indicati anche alcuni legami di parentela.

Castelmartini (Larciano)

[modifica | modifica wikitesto]

Abitanti a Cintolese (Monsummano) uccisi a Castelmartini (Larciano)

[modifica | modifica wikitesto]

Cintolese (Monsummano)

[modifica | modifica wikitesto]

Stabbia (Cerreto Guidi)

[modifica | modifica wikitesto]

Ponte Buggianese

[modifica | modifica wikitesto]

Massarella (Fucecchio)

[modifica | modifica wikitesto]

Querce (Fucecchio)

[modifica | modifica wikitesto]

Monumento in memoria delle vittime dell’Eccidio del Padule di Fucecchio e dei Combattenti Toscani

[modifica | modifica wikitesto]

L’opera in marmo di Carrara si trova a Larciano in via San Francesca. È stata realizzata dal maestro Gino Terreni di Empoli: celebra lo stupore e il dramma dei 175 innocenti, fra i quali troviamo soprattutto donne, anziani e bambini, che stanno per essere fucilati dai soldati nazisti, quegli stessi soldati che erano stati ospitati nelle case dei larcianesi. Il monumento è stato inaugurato nel settembre del 2002 a Castelmartini, luogo di uno dei più cruenti eccidi compiuti dai nazifascisti dopo l'armistizio, evento conosciuto come eccidio del Padule di Fucecchio; all’inaugurazione presenziò anche il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Inoltre, presso il Centro di Ricerca, Documentazione e Promozione del Padule di Fucecchio sono presenti in permanenza sette opere preparatorie, tra cui il gesso originale del suddetto monumento.

Note

[modifica | modifica wikitesto]
  1. ^ Lapide in ricordo del luogo in cui sono state ritrovate alcune vittime del massacro.
  2. ^ L'eccidio(come molti altri commessi dalle armate tedesche in ritirata dall'Italia) venne ricordato soprattutto per la brutalità degli esecutori, che non risparmiarono nemmeno i neonati. Furono trovati tra le vittime anche bambini al di sotto dei 2 anni.
  3. ^ Professore di liceo di Ponte Buggianese, appartenente al Partito d'Azione, noto antifascista, che organizzò e capeggiò il gruppo partigiano che agiva nei dintorni del Padule di Fucecchio, in particolare nella zona di Ponte Buggianese.
  4. ^ Elenco partigiani in Toscana presente sul sito dell'Istituto Storico della Resistenza in Toscana
  5. ^ Appartenente al Comando Supremo della Wehrmacht.
  6. ^ Paolo Paoletti, La strage del 23 agosto 1944 Un'analisi comparata delle fonti angloamericane e tedesche sull'eccidio del Padule di Fucecchio, San Miniato, Fm Edizioni, 1994.
  7. ^ Fully investigated" dall'inglese investigazione esaustiva.
  8. ^ Comandante della 26ª Divisione Corazzata.
  9. ^ Prigione allora impiegata dalle autorità di occupazione alleate per ospitare numerosi nazisti e militari condannati per crimini di guerra.
  10. ^ Bettazzi Enrico, Bonanno Metello, L'eccidio del Padule di Fucecchio, C.R.T, Pistoia, 2002.

Bibliografia

[modifica | modifica wikitesto]

Per ulteriori approfondimenti:

Voci correlate

[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti

[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni

[modifica | modifica wikitesto]
Controllo di autoritàThesaurus BNCF 74467