Il mito della caverna di Platone è una delle allegorie più conosciute tra quelle del filosofo ateniese. Il mito è raccontato all'inizio del libro settimo de La Repubblica (514 b – 520 a). Si tratta di uno dei testi universalmente riconosciuti come fondamentali per la storia del pensiero e della cultura occidentale.

Trama

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S'immaginino dei prigionieri che siano stati incatenati, fin dalla nascita, nelle profondità di una caverna. Non solo le membra, ma anche testa e collo sono bloccati, in maniera che gli occhi dei malcapitati possano solo fissare il muro dinanzi a loro.

Si pensi, inoltre, che alle spalle dei prigionieri sia stato acceso un enorme fuoco e che, tra il fuoco e i prigionieri, corra una strada rialzata. Lungo questa strada è stato eretto un muretto lungo il quale alcuni uomini portano modellini e manichini con le forme di vari oggetti, piante, animali, e persone. Le forme proietterebbero la propria ombra sul muro e ciò attirerebbe l'attenzione dei prigionieri. Se qualcuno degli uomini che trasportano queste forme parlasse, si formerebbe nella caverna un'eco che spingerebbe i prigionieri a pensare che questa voce provenga dalle ombre che vedono passare sul muro.

Mentre un personaggio esterno avrebbe un'idea completa della situazione, i prigionieri, non conoscendo cosa accada realmente alle proprie spalle e non avendo esperienza del mondo esterno (incatenati fin dall'infanzia), sarebbero portati a interpretare le ombre "parlanti" come oggetti, piante, animali e persone reali.

Si supponga che un prigioniero venga liberato dalle catene e sia costretto a rimanere in piedi, con la faccia rivolta verso l'uscita della caverna: in primo luogo, i suoi occhi sarebbero abbagliati dalla luce del fuoco ed egli proverebbe dolore. Inoltre, le forme portate dagli uomini lungo il muretto gli sembrerebbero meno reali delle ombre cui è abituato; persino se gli fossero mostrati quegli oggetti e gli fosse indicata la fonte di luce, il prigioniero rimarrebbe comunque dubbioso e, soffrendo nel fissare il fuoco, preferirebbe volgersi verso le ombre.

Allo stesso modo, se il malcapitato fosse costretto a uscire dalla caverna e venisse esposto alla diretta luce del sole, rimarrebbe accecato e non riuscirebbe a vedere alcunché. Il prigioniero si troverebbe sicuramente a disagio e s'irriterebbe per essere stato trascinato a viva forza in quel luogo.

Volendo abituarsi alla nuova situazione, il prigioniero riuscirebbe inizialmente a distinguere soltanto le ombre delle persone e le loro immagini riflesse nell'acqua; solo con il passare del tempo potrebbe sostenere la luce e guardare gli oggetti stessi. Successivamente, egli potrebbe, di notte, volgere lo sguardo al cielo, ammirando i corpi celesti con maggior facilità che di giorno. Infine, il prigioniero liberato sarebbe capace di vedere il sole stesso, invece che il suo riflesso nell'acqua, e capirebbe che:

«è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e a essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e i suoi compagni vedevano.»

Illustrazione del mito in un'incisione del 1604 di Jan Saenredam. I prigionieri immobilizzati davanti al muro, incapacitati nel guardare indietro, fissano la parete e vedendo delle ombre, in realtà ombre di manichini proiettate dalla luce di una torcia, credono che esse siano vere figure umane.
Illustrazione del mito in un'incisione del 1604 di Jan Saenredam. I prigionieri immobilizzati davanti al muro, incapacitati nel guardare indietro, fissano la parete e vedendo delle ombre, in realtà ombre di manichini proiettate dalla luce di una torcia, credono che esse siano vere figure umane.

Resosi conto della situazione, egli vorrebbe senza dubbio tornare nella caverna e liberare i suoi compagni, essendo felice del cambiamento e provando per loro un senso di pietà: il problema, però, sarebbe proprio quello di convincere gli altri prigionieri a essere liberati. Infatti, dovendo riabituare gli occhi all'ombra, dovrebbe passare del tempo prima che il prigioniero liberato possa vedere distintamente anche nel fondo della caverna; durante questo periodo, molto probabilmente egli sarebbe oggetto di riso da parte dei prigionieri, in quanto sarebbe tornato dall'ascesa con "gli occhi rovinati". Inoltre, questa sua temporanea inabilità influirebbe negativamente sulla sua opera di convincimento e, anzi, potrebbe spingere gli altri prigionieri a ucciderlo se tentasse di liberarli e portarli verso la luce, in quanto, a loro dire, non varrebbe la pena di subire il dolore dell'accecamento e la fatica della salita per andare ad ammirare le cose da lui descritte.

Interpretazione

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Parlando semplicemente, Platone si riferisce alla scoperta della realtà delle cose che ci circondano: per fare questo, discute sulla natura stessa della realtà. Dopo aver raccontato il mito, però, Platone aggiunge che tutto il ragionamento dietro l'allegoria deve applicarsi a tutto quello di cui si è già discusso nel dialogo: serve, cioè, a interpretare le pagine che descrivono la metafora del sole e la teoria della linea.

In particolare, Platone paragona il mondo conoscibile, cioè gli oggetti che osserviamo attorno a noi ecc.

«... alla dimora della prigione, e la luce del fuoco che vi è dentro al potere del sole. Se poi tu consideri che l'ascesa e la contemplazione del mondo superiore equivalgono all'elevazione dell'anima al mondo intelligibile, non concluderai molto diversamente da me [...]. Nel mondo conoscibile, punto estremo e difficile a vedere è l'idea del bene; ma quando la si è veduta, la ragione ci porta a ritenerla per chiunque la causa di tutto ciò che è retto e bello, e nel mondo visibile essa genera la luce e il sovrano della luce, nell'intelligibile largisce essa stessa, da sovrana, verità e intelletto.»

Il sole che brilla all'esterno della caverna rappresenta l'idea del bene e questo passaggio darebbe facilmente l'impressione che Platone la concepisse come una divinità creativa e indipendente. Normalmente gli uomini sono tenuti prigionieri, costretti a osservare delle semplici ombre di forme che non sono neanche dei veri oggetti; essi possono essere trovati soltanto "fuori della caverna", cioè nel mondo intelligibile delle forme conosciute dalla ragione e non dalla percezione.

Inoltre, dopo aver fatto ritorno dalla contemplazione del divino alle "cose umane", l'uomo-filosofo rischia di fare una "cattiva figura" se,

«… prima ancora di avere rifatto l'abitudine a questa tenebra recente, viene costretto a contendere nei tribunali o in qualunque altra sede discutendo sulle ombre della giustizia o sulle copie che danno luogo a queste ombre, e a battersi sulla interpretazione che di questi problemi dà chi non ha mai veduto la giustizia in sé.»

Chiaramente Platone si riferisce, tra le righe, al processo che Socrate dovette subire: tutto il mito, infatti, diviene una metafora della vita del filosofo ateniese, che riuscì a risalire la strada verso la verità, ma venne ucciso per aver tentato di portarla agli uomini, incatenati al mondo dell'opinione.

Un'altra interpretazione mette in parallelo quest'allegoria con quella dell'illuminazione. Come prima cosa, l'uomo deve svegliarsi da quel sonno che viene chiamato "vita" (equivalente alla liberazione del prigioniero); in seguito egli si rende conto delle finzioni che l'uomo credeva entità reali (le ombre sulla parete della caverna); infine, egli giunge a vedere la verità per quella che è realmente (il sole e il mondo all'esterno della caverna). L'istinto dell'uomo è quello di liberare gli altri prigionieri per condividere le sue scoperte, ma questo tentativo è inutile, in quanto i prigionieri non possono e non vogliono vedere oltre le rassicuranti ombre e attaccano il portatore della verità.

Un'ulteriore interpretazione è stata fatta dagli idealisti. Nella filosofia di George Berkeley, infatti, viene espresso il concetto che gli uomini non conoscano direttamente e immediatamente i veri oggetti del mondo: piuttosto, noi conosciamo soltanto l'effetto che la realtà esterna ha sulle nostre menti. In altre parole, quando osserviamo un oggetto, noi ne percepiamo solo una copia, una semplice rappresentazione mentale del "vero" oggetto della realtà esterna.

Simbolismo

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Ogni aspetto dell'allegoria ha il proprio significato: Platone era fortemente interessato alla politica e alla sociologia, di cui si discute indirettamente nel mito.

In primo luogo, Platone simboleggia col sole la fonte della vera conoscenza. In seguito, aggiunge che i prigionieri incatenati nella caverna rappresentano la maggior parte dell'umanità: il filosofo è l'uomo liberato, che tenta di portare i suoi compagni verso la conoscenza.

Il significato del mito è duplice: esso può essere letto, infatti, sia in chiave ontologica, sia gnoseologica.

La parte iniziale del mito riprende, infatti, la teoria della linea, già esposta da Platone nei libri precedenti al settimo: il mito della caverna diventa quindi la descrizione della faticosa salita dell'uomo verso la vera conoscenza. La seguente tabella riassume il parallelismo, evidenziando anche il rapporto dimensionale tra le varie parti del segmento.

Teoria della linea Opinione Scienza
Immaginazione Fede Discorso intellettivo Intellezione
Metafora utilizzata nel mito Ambiente interno della caverna Mondo esterno alla caverna
L'uomo è prigioniero dell'opinione perché crede passivamente alle immagini delle cose sensibili, cioè le ombre delle forme proiettate sulla parete della caverna. L'uomo, anche quando osserva direttamente le forme di animali e piante fatte passare dietro il muretto, è ancora legato all'opinione a causa del divenire dell'esistenza. L'uomo entra nell'intelligibile quando passa dallo scorgere oggetti e uomini nel riflesso dell'acqua all'osservazione diretta. L'uomo volge lo sguardo alla luce delle stelle e della luna, approdando al mondo della pura intellezione e giungendo a scorgere l'idea del Bene in sé.

Il mito della caverna nella società moderna e nei media[1]

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L'uomo scambia per realtà quella che ne è soltanto una proiezione

L'idea della liberazione dell'uomo dalle catene della sua esperienza limitata e il raggiungimento della pura conoscenza della realtà è comune a molte culture; anche le scoperte e le invenzioni che rendono tale il mondo moderno possono essere viste come risultato del tentativo dell'uomo di superare i propri limiti per raggiungere ciò che è oltre la conoscenza del momento. La letteratura, la scultura, il cinema ed in generale tutte le arti sono ricche di storie di uomini che, sfidando l'ostilità dei contemporanei, si sono "liberati dalle catene" dell'opinione arrivando a conoscere la verità e sono poi tornati a riferirla, non sempre guadagnando rispetto ed ammirazione, agli ex compagni di prigionia. Inoltre, nel Novecento il mito della caverna è divenuto una metafora che simboleggia quanto i mass media influenzino e dominino l'opinione pubblica, interponendosi tra l'individuo e la notizia, manipolando quest'ultima secondo necessità.

Note

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  1. ^ a b Aldo Castelpietra, Al cinema con Platone. Breve viaggio "filmosofico" intorno al Simposio, Milano, Franco Angeli Edizioni, 1996, ISBN 978-88-204-9779-8.

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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