Niobe disperata assiste alla morte dei suoi figli (1591), dipinto di Abraham Bloemaert (Copenaghen, Statens Museum for Kunst).

Niobe (in lingua greca: Νιόβη Niòbē) è un personaggio della mitologia greca, figlia di Tantalo e sorella di Pelope, punita dagli dei per la sua superbia.

Il nome di sua madre è discusso dai mitografi; talvolta è ritenuta Eurianassa, figlia del dio fluviale Pattolo, oppure Euritemiste, figlia del fiume Xanto; ma sono conosciute ancora altre variazioni: una la vuole figlia di Clizia, una delle figlie di Anfidamante, un'altra della ninfa Dione[1]. Secondo un'altra tradizione, era invece figlia di Assaone[2].

Mitologia

Apollo aveva il potere di mandare i mali a coloro che voleva punire, come le morti improvvise. Per esempio lanciò frecce col suo arco d'argento per l'ingiusto oltraggio fatto al sacerdote Crise e così diffuse la peste nel campo greco, come è detto nel I libro dell'Iliade. La sua vittima più infelice fu Niobe. Nella Frigia c'era un ricco re, Tantalo, che era protetto dagli dèi celesti, tanto da essere invitato sull'Olimpo. Tuttavia Tantalo fraintese la benevolenza divina e divulgò alcuni segreti che Zeus gli aveva confidato. Per questo fu cacciato nel Tartaro e condannato a un eterno supplizio. Tantalo, in vita, aveva avuto parecchi figli, tra cui Pelope e Niobe, che aveva sposato Anfione dal quale aveva avuto sette robusti figli maschi e sette bellissime figlie femmine. Niobe si vantava di essere più feconda di Leto, madre di Apollo e Artemide, e pretendeva che a lei spettassero gli onori divini. Questa superbia arrivò alle orecchie di Leto che incaricò i suoi figli di punire Niobe. Infatti Apollo uccise con il suo arco di argento i suoi sette figli e successivamente anche Artemide sterminò le sette figlie (o, secondo una variante del mito, ne lasciarono in vita solo due, rispettivamente un maschio, Amicla, ed una femmina, Cloride). La sventurata Niobe pianse amaramente, riconoscendo ormai troppo tardi la propria colpa e, ammettendo di essere stata punita giustamente, pregò Zeus di trasformarla in pietra. Il suo corpo venne tramutato in roccia conservando la sua forma. Anche in pietra Niobe continua a piangere e piangerà in eterno.[5]

Secondo l'Iliade di Omero i giovani uccisi rimasero insepolti per dieci giorni, finché gli dèi stessi non si occuparono della tumulazione. Secondo quanto narra Ovidio, oppure anche Anacreonte[6], Niobe, in lacrime, si tramutò in blocco di marmo dal quale scaturì una fonte. In una roccia che si trova sul monte Sipilo in Lidia, presso Magnesia, si è voluta scorgere la Niobe divenuta pietra.

Il mito che narra della superbia di Niobe e della morte dei suoi figli, i Niobidi, fu ampiamente diffuso nell'arte e nella letteratura degli antichi, come attestano le numerose menzioni, e il suo significato pedagogico (evitare la superbia) è evidente. Le tragedie di Eschilo e di Sofocle ispirate ad esso sono andate perdute.

Influenza culturale

Note

  1. ^ Hazel-Grant, Dizionario della mitologia classica, 1979.
  2. ^ Partenio di Nicea, Erotikà pathemata
  3. ^ Anna Ferrari, Niobe, in Dizionario di mitologia, p. 500.
  4. ^ «Niobe è il nome di due eroine che la tradizione tende a confondere», cfr. Pierre Grimal, Niobe: 2., in Mitologia, p. 448.
  5. ^ Fernando Palazzi, I miti degli dei e degli eroi, Torino, Loescher, p. 72.
  6. ^ Anacreonte, Odi (Antichità), Ode XX, traduzione di Francesco Saverio de' Rogati, 1824.
  7. ^ Giosuè Carducci, Per la morte di Napoleone Eugenio, 1877.

Bibliografia

Fonti antiche
Fonti moderne

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