In chimica, si definisce radicale (o radicale libero[1]) un'entità molecolare molto reattiva avente vita media di norma brevissima, costituita da un atomo o una molecola formata da più atomi, che presenta un elettrone spaiato[2]: tale elettrone rende il radicale estremamente reattivo, in grado di legarsi ad altri radicali o di sottrarre un elettrone ad altre molecole vicine[3].

I radicali giocano un ruolo importante in fenomeni come la combustione, la polimerizzazione e nella fotochimica, e molti altri processi chimici, compresi quelli che riguardano la fisiologia umana. In quest'ultimo caso il superossido e il monossido di azoto hanno una funzione importantissima nel regolare molti processi biologici, come il controllo del tono vascolare.

Il termine radicale e radicale libero sono spesso utilizzati con lo stesso significato. Il primo radicale libero stabile, il trifenilmetile, è stato individuato da Moses Gomberg nel 1900 all'Università del Michigan. Nonostante la loro reattività, la maggior parte di essi ha una vita sufficientemente lunga da permetterne l'osservazione tramite metodi spettroscopici. Si formano spontaneamente in natura o in laboratorio, per azione della luce o del calore in seguito alla scissione omolitica di un legame covalente.

L'esempio sotto riportato illustra la formazione di due radicali metile a partire da una molecola di etano; in questo caso si richiedono 88 kcal/mol di energia, che rappresenta l'energia di dissociazione del legame C-C:

Radicali, ioni e gruppi funzionali

Il concetto di "radicale" ricorda i concetti di "ione" e "gruppo funzionale"; di seguito vengono indicate le analogie e le differenze tra questi concetti:

Esistono inoltre particolari entità molecolari che hanno entrambe le proprietà caratteristiche degli ioni e dei radicali: tali entità molecolari sono dette "ioni radicalici".

Meccanismi di formazione di ioni e radicali

Lo stesso argomento in dettaglio: Scissione (chimica).

A parte il caso degli ioni radicalici, che sono dotati di carica (positiva o negativa), i radicali sono entità molecolari neutre.

Siccome il radicale presenta un elettrone spaiato, si potrebbe incorrere nell'errore di considerare il radicale come una entità molecolare carica negativamente. Tale equivoco nasce nel momento in cui si pensa che il radicale derivi da una entità molecolare neutra a cui sia stato aggiunto un elettrone spaiato, per cui avrebbe carica negativa; in realtà il radicale non nasce dall'aggiunta di un elettrone ad un'entità molecolare (come avviene invece nel caso della "ionizzazione" di entità molecolari neutre, che dà luogo appunto a ioni), bensì dalla "scissione" di una entità molecolare neutra, quindi se l'entità molecolare di partenza è neutra, scindendosi in due parti distinte, darà origine a due radicali neutri: infatti se per assurdo una delle due entità molecolari fosse caricata negativamente, per la conservazione della carica, l'altra dovrebbe essere caricata positivamente, ma in quest'ultimo caso non si avrebbe più il meccanismo di "scissione omolitica" (da cui si originano i radicali), bensì "scissione eterolitica" (da cui si originano ioni).

Considerando un'entità molecolare neutra, in particolare una molecola biatomica A:B (dove i due punti rappresentano un legame singolo tra A e B), i meccanismi di scissione omolitica e eterolitica a cui può essere soggetta la molecola possono essere rappresentati rispettivamente nel seguente modo:

Esempio

Si consideri una molecola di cloro. La formula bruta del cloro è Cl2 e la sua molecola è costituita quindi da due atomi di cloro (Cl).

Con il termine "cloro" si intende sia la molecola Cl2 sia l'elemento chimico Cl, ma mentre la molecola Cl2 è una specie chimica stabile, il cloro come elemento chimico (Cl) non può essere definito una "specie chimica". Nonostante ciò, possiamo definire una configurazione elettronica dell'atomo di cloro, che è la seguente:

1s22s22p63s23p5

L'atomo di cloro presenta quindi 17 elettroni (2 elettroni nel livello 1, 8 elettroni nel livello 2 e 7 elettroni nel livello 3); l'atomo di cloro presenta inoltre 17 protoni e un numero variabile di neutroni (18, 19 o 20), a seconda dell'isotopo considerato. Siccome il numero di elettroni in un atomo di cloro è pari al numero di protoni (come per tutti gli altri elementi chimici), l'atomo di cloro ha carica neutra. Nonostante l'atomo di cloro abbia carica neutra, esso però presenta un "elettrone spaiato", in quanto per raggiungere l'ottetto ha bisogno di formare un legame singolo con un altro atomo.

Una molecola di cloro Cl2 può dare luogo per scissione omolitica a due radicali Cl•, secondo il seguente meccanismo:

Cl:Cl → Cl• + Cl•

Ogni radicale è in questo caso costituito da un singolo atomo di cloro, che come detto in precedenza è neutro. Il simbolo posto tra i due atomi di cloro ":" indica la coppia di elettroni condivisa, che costituisce il legame covalente, mentre il simbolo "•" non indica uno scompenso di carica, bensì la presenza di un elettrone spaiato, il quale è responsabile del carattere altamente energetico del radicale.

Stabilità dei radicali

Nel caso di radicali alchilici, si ha questo ordine di stabilità:

terziario > secondario > primario

Un radicale alchilico terziario è quindi più stabile del corrispondente radicale alchilico secondario, che a sua volta è più stabile del corrispondente radicale alchilico primario.

I radicali possono essere anche stabilizzati per risonanza, quando sono coniugati a sistemi π quali doppi legami o anelli aromatici.

Formule di risonanza del radicale allile
Formule di risonanza del radicale benzile

I radicali sono comunque in genere entità molecolari molto reattive e quindi a vita corta. Esistono però radicali a vita lunga, che si possono categorizzare nel modo seguente:

Radicali stabili

Il primo esempio di radicale stabile è l'ossigeno molecolare, O2. I radicali organici possono avere vita lunga se fanno parte di un sistema π coniugato, come il radicale che deriva dall'α-tocoferolo (vitamina E). Ci sono anche centinaia di radicali tiazilici, che hanno una notevole stabilità cinetica e termodinamica pur con una stabilizzazione di risonanza π molto limitata[4][5].

Radicali persistenti

I radicali persistenti sono entità molecolari che possono vivere a lungo perché attorno al centro radicale esiste un notevole impedimento sterico; la reazione del radicale con altre entità molecolari è di conseguenza fisicamente difficile[6]. Alcuni esempi sono il radicale trifenilmetile scoperto da Gomberg, il sale di Fremy (nitrosodisulfonato di potassio, [KSO3]2NO•), gli ossidi amminici (formula generale R2NO•) come TEMPO e TEMPOL. Durante i processi di combustione si generano grandi quantità di radicali persistenti, che "possono essere responsabili di stress ossidativo con conseguenti malattie cardio-polmonari e, probabilmente, il cancro che è stato attribuito all'esposizione a polveri sottili presenti nell'aria"[7].

Fisiopatologia

Lo stesso argomento in dettaglio: Danni da radicali liberi.

I radicali liberi sono uno dei meccanismi di danno cellulare più importante, sebbene assolvano a molte funzioni fondamentali dell'organismo quando controllati.[8][9][10]

Sono molecole che posseggono un elettrone spaiato sull'orbitale più esterno e questa configurazione elettronica le rende altamente instabili e particolarmente reattive. I radicali liberi reagiscono facilmente con una qualsiasi molecola si trovi in loro prossimità (carboidrati, lipidi, proteine, acidi nucleici), danneggiandola e spesso compromettendone la funzione. Inoltre, reagendo con altre molecole, hanno la capacità di autopropagarsi trasformando i loro bersagli in radicali liberi e scatenando così reazioni a catena che possono provocare estesi danni nella cellula. In condizioni normali, ciascuna cellula produce radicali liberi tramite vari processi, come reazioni enzimatiche (ad esempio la xantina ossidasi o la NO sintasi), fosforilazione ossidativa, difesa immunitaria (granulociti neutrofili e macrofagi). Queste piccole quantità sono tollerate e vengono inattivate da sistemi enzimatici come il glutatione ed altri antiossidanti detti scavenger per la loro capacità di neutralizzare i radicali liberi. Quando la produzione di radicali liberi è eccessiva si genera ciò che viene chiamato stress ossidativo. I sistemi enzimatici e gli antiossidanti intracellulari non riescono più a far fronte alla sovraproduzione e i radicali liberi generano danno cellulare che può essere sia reversibile, in tal caso la cellula torna alle condizioni normali, o irreversibile, con conseguente morte cellulare per apoptosi o per necrosi. Lo stress ossidativo è imputato quale causa o concausa di patologie quali il cancro, l'invecchiamento cellulare e malattie degenerative.

Le specie reattive dell'ossigeno possono essere classificate come ROS (da Reactive Oxygen Species) o alternativamente come ROI (da Reactive Oxygen Intermediate). Allo stesso modo, le specie reattive dell'azoto possono essere nominate RNS (Reactive Nitrogen Species) o RNI.

ROS (Reactive Oxygen Species)

Le specie reattive dell'ossigeno, i ROS, sono i radicali liberi a maggior diffusione. I più importanti ROS sono l'anione superossido O2-, il perossido d'idrogeno H2O2 e il radicale ossidrilico •OH.

RNS (Reactive Nitrogen Species)

Le specie reattive derivate dall'azoto (RNS) di maggior interesse sono il monossido di azoto (NO) ed lo ione perossinitrito (ONOO-).

Generazione di ROS e RNS

All'interno della cellula i radicali liberi possono essere generati in vari modi.

Rimozione di ROS e RNS

La cellula possiede diversi metodi per metabolizzare i ROS.

Effetti dei radicali liberi

I radicali liberi tendono a danneggiare particolarmente tre componenti della cellula: i lipidi, le proteine e gli acidi nucleici.

Misurazione dello stress ossidativo

È possibile misurare sia la concentrazione di sostanze ossidanti (ROS: radicali liberi dell'ossigeno) sia di quelle antiossidanti grazie ad un test di semplice esecuzione, da cui si ottiene un valore detto "indice di stress ossidativo".

Lo stress ossidativo è definito come la mancanza di equilibrio tra lo stato ossidante (danni da radicali liberi) e lo stato antiossidante (difese anti-radicaliche).

Il test può essere particolarmente utile per la seguenti categorie di persone:

Inoltre, grazie ai parametri del test, è possibile valutare meglio l'azione a livello cellulare e l'eventuale riduzione del danno ossidativo durante:

Modalità di esecuzione

Il test è basato sul rapporto tra la valutazione della concentrazione di ROS (FORT TEST) e la capacità antiossidante totale (FORD TEST)[11].

Nel 2014 è stato brevettato un nuovo test per la valutazione della concentrazione dei ROS, il d-ROMs fast, che è molto più veloce del vecchio FORT test e può essere eseguito istantaneamente con un tempo di lettura di 2 minuti e mezzo. La capacità antiossidante può essere valutata con il nuovo PAT test, più preciso e veloce dei test similari; può essere eseguito infatti con un solo minuto di lettura.

Risultati

Più elevato è il valore del FORT TEST o del d-ROMs fast maggiore è il rischio di danni da stress ossidativo. Il risultato è legato al livello delle difese (FORD TEST o PAT Test): più alte sono le difese, minore è il rischio generale. Eventualmente le difese possono essere stimolate e potenziate/integrate qualora risultino sotto i livelli usuali. Naturalmente ogni persona ha un suo valore di partenza riguardo a questi parametri.

È consigliabile eseguire un primo test di controllo per conoscere i propri parametri in un momento in cui si è “sani”. Controlli successivi ci diranno se c'è un miglioramento o peggioramento in termini di stress ossidativo con una diminuzione o un aumento potenziale del rischio patologico generale. In tal caso potrebbe essere utile consultare il proprio medico per eventuali controlli diagnostici mirati.

Note

  1. ^ (EN) Solomons, p. 122
  2. ^ (EN) IUPAC Gold Book, "radical (free radical)"
  3. ^ Paolo Silvestroni, Fondamenti di chimica, Bologna, Zanichelli, 1996, p. 362, ISBN 978-88-08-08401-9.
    «22»
  4. ^ (EN) R.T. Oakley, Cyclic and heterocyclic thiazenes, in Prog. Inorg. Chem., vol. 36, 1998, pp. 299-391, DOI:10.1002/9780470166376.ch4. URL consultato il 24 dicembre 2010.
  5. ^ (EN) J. M. Rawson, A. J. Banister e I. Lavender, Chemistry of dithiadiazolydinium and dithiadiazolyl rings, in Adv. Hetero. Chem., vol. 62, 1995, pp. 137-247, DOI:10.1016/S0065-2725(08)60422-5. URL consultato il 24 dicembre 2010.
  6. ^ (EN) D. Griller e K.U. Ingold, Persistent carbon-centered radicals, in Acc. Chem. Res., vol. 9, n. 1, 1976, pp. 13-19, DOI:10.1021/ar50097a003. URL consultato il 24 dicembre 2010.
  7. ^ (EN) S. Lomnicki, H. Truong, E. Vejerano e B. Dellinger, Copper oxide-based model of persistent free radical formation on combustion-derived particulate matter, in Environ. Sci. Technol., vol. 42, n. 13, 2008, pp. 4982–4988, DOI:10.1021/es071708h. URL consultato il 24 dicembre 2010.
  8. ^ (EN) A. Phaniendra, Free radicals: properties, sources, targets, and their implication in various diseases, in Indian J. Clin. Biochem., vol. 30, 2015, pp. 11-26, PMID 25646037.
  9. ^ (EN) W. Dröge, Free radicals in the physiological control of cell function, in Physiol. Rev., vol. 82, 2002, pp. 47-95, PMID 11773609.
  10. ^ (EN) A. Weidinger, Biological Activities of Reactive Oxygen and Nitrogen Species: Oxidative Stress versus Signal Transduction, in Biomolecules, vol. 5, 2015, pp. 472-484, PMID 25884116.
  11. ^ (EN) FORT and FORD: two simple and rapid assays in the ... [Metabolism. 2009] - PubMed result

Bibliografia

Voci correlate

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