Enzo Biagi nel 1976

Enzo Biagi (Lizzano in Belvedere, 9 agosto 1920Milano, 6 novembre 2007) è stato un giornalista, scrittore, conduttore televisivo e partigiano italiano. È stato uno dei volti più popolari del giornalismo italiano del XX secolo.[1][2]

Biografia

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Gli esordi

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«Ho sempre sognato di fare il giornalista, lo scrissi anche in un tema alle medie: lo immaginavo come un "vendicatore" capace di riparare torti e ingiustizie […] ero convinto che quel mestiere mi avrebbe portato a scoprire il mondo»

Biagi nacque a Pianaccio, frazione del piccolo comune appenninico di Lizzano in Belvedere (nell'allora provincia di Bologna), il 9 agosto 1920; all'età di nove anni si trasferì al seguito della famiglia a Bologna, alloggiandosi nel rione di Porta Sant'Isaia, dove il padre Dario (1891-1942) lavorava già da qualche anno come vicecapo magazziniere presso uno zuccherificio cittadino. L'idea di diventare giornalista gli nacque dopo aver letto Martin Eden di Jack London. Frequentò l'istituto tecnico per ragionieri Pier Crescenzi, dove con altri compagni diede vita ad una piccola rivista studentesca, Il Picchio, che si occupava soprattutto di vita scolastica, soppressa d'imperio dopo solo qualche mese dalle autorità fasciste, cosa che lo portò a maturare una forte indole antifascista.[3]

Enzo Biagi con la moglie Lucia Ghetti nel 1943

Nel 1937, all'età di diciassette anni e forse grazie all'aiuto del cugino Bruno Biagi (esponente di spicco del Partito Fascista), cominciò a collaborare con il quotidiano bolognese L'Avvenire d'Italia, occupandosi di cronaca, di colore e di piccole interviste a cantanti lirici. Il suo primo articolo fu dedicato al dilemma, vivo nella critica dell'epoca, se il poeta di Cesenatico Marino Moretti fosse o no crepuscolare.

Nel 1940 fu assunto in pianta stabile dal Carlino Sera, edizione pomeridiana de Il Resto del Carlino, il principale quotidiano bolognese, come estensore di notizie, ovvero colui che si occupa di sistemare gli articoli portati in redazione (il lavoro di "cucina", come si dice in gergo), ma collaborò anche, in qualità di critico cinematografico, con Architrave, periodico della Gioventù Universitaria Fascista (GUF) di Bologna e con L'Assalto, l'organo ufficiale della Federazione Fascista di Bologna.

Nel 1942 fu chiamato alle armi ma non partì per il fronte a causa di problemi cardiaci (che lo accompagneranno per tutta la vita). Il 18 dicembre 1943 si sposò con Lucia Ghetti (1921-2002), maestra elementare, continuò a lavorare per Il Resto del Carlino fino alla primavera del 1944 quando, per evitare la chiamata alle armi della RSI, si rifugiò sulle montagne, dove finì poi per aderire alla Resistenza, combattendo nelle brigate Giustizia e Libertà, legate al Partito d'Azione, di cui condivideva il programma e gli ideali.

In realtà Biagi non combatté mai: il suo comandante, infatti, pur senza dubitare della sua fedeltà lo trovava troppo gracile. Prima gli diede compiti di staffetta, poi gli affidò la stesura di un giornale partigiano, Patrioti, di cui Biagi era in pratica l'unico redattore e con il quale informava la gente sul reale andamento della guerra lungo la Linea Gotica. Del giornale uscirono appena quattro numeri: la tipografia fu distrutta dai tedeschi. Biagi considerò sempre i mesi che passò da partigiano come i più importanti della sua vita: in memoria di ciò, volle che la sua salma fosse accompagnata al cimitero sulle note di Bella ciao.[4]

Terminata la guerra, Biagi entrò con le truppe alleate a Bologna e fu proprio lui ad annunciare dai microfoni del Psychological Warfare Branch alleato l'avvenuta liberazione. Poco dopo fu assunto come inviato speciale e critico cinematografico al Resto del Carlino che all'epoca aveva cambiato il suo nome in Giornale dell'Emilia. Nel 1946 seguì come inviato speciale il Giro d'Italia, nel 1947 partì per la Gran Bretagna dove raccontò il matrimonio della futura regina Elisabetta II. Fu il primo di una lunga serie di viaggi all'estero come "testimone del tempo" che contrassegneranno tutta la sua vita.

Gli anni cinquanta e sessanta

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La prima direzione: Epoca

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I partigiani di "Giustizia e Libertà" entrano nella Bologna liberata: tra loro c'era anche il giovane Enzo Biagi.

Nel 1951 si recò, per conto del Carlino, in Polesine dove, con una cronaca rimasta negli annali, descrisse l'alluvione che flagellava la provincia di Rovigo; nonostante il grande successo che riscossero quegli articoli, Biagi venne isolato all'interno del giornale per via di alcune sue dichiarazioni contrarie alla bomba atomica, che lo fecero passare per un comunista e che lo fecero considerare, quindi, un «pericoloso sovversivo» per il suo direttore.

Gli articoli sul Polesine furono letti però anche da Bruno Fallaci, direttore del settimanale Epoca e zio di Oriana Fallaci, alla ricerca di nuovi elementi per le sue redazioni. Fallaci lo chiamò a lavorare come caporedattore al periodico[5]. Biagi e la sua famiglia (erano già nate due figlie, Bice e Carla; nel 1956 arriverà Anna) lasciarono quindi l'amata Bologna per Milano.

Nel 1952 Epoca attraversava un momento difficile. Alla ricerca di scoop esclusivi da poter pubblicare in Italia, il nuovo direttore Renzo Segala, subentrato da un mese a Bruno Fallaci, decise di partire per l'America affidando a Biagi la guida del giornale per due settimane, stabilendo già in partenza i temi da affrontare durante la sua assenza e cioè il ritorno di Trieste all'Italia e l'inizio della primavera.

Nel frattempo scoppiò però il caso Wilma Montesi: una giovane ragazza romana venne ritrovata morta sulla spiaggia di Ostia; ne nacque uno scandalo in cui rimase coinvolta l'alta borghesia laziale, il prefetto di Roma e Piero Piccioni, figlio del ministro Attilio Piccioni, il quale rassegnò le dimissioni. Biagi, intuendo la grande risonanza che il caso Montesi stava avendo nel Paese, decise, contro ogni disposizione, di dedicare a esso la copertina e di pubblicare un'inedita ricostruzione dei fatti. Fu un successo clamoroso: la tiratura di Epoca crebbe di oltre ventimila copie in una sola settimana e Mondadori tolse la direzione a Segàla, da poco tornato dagli Stati Uniti, affidandola proprio a Biagi.[6]

Sotto la direzione di Biagi, Epoca s'impose nel panorama delle grandi riviste italiane surclassando la storica concorrenza dell'Espresso e dell'Europeo. La formula di Epoca, a quel tempo innovativa, punta a raccontare con riepiloghi e approfondimenti le notizie della settimana e le storie dell'Italia del boom. Un altro scoop esclusivo sarà la pubblicazione di fotografie che raffigurano un umanissimo papa Pio XII che gioca con un canarino.

Nel 1960 un articolo sugli scontri di Genova e Reggio Emilia contro il governo Tambroni (che avevano provocato la morte di dieci operai in sciopero, tanto da essere definita strage di Reggio Emilia) provocò una dura reazione dello stesso governo, per cui Biagi fu costretto a lasciare Epoca. Qualche mese dopo fu assunto dalla Stampa come inviato speciale.

L'arrivo alla Rai: il Telegiornale

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La storica sede del Corriere della Sera a Milano, dove Biagi lavorò e scrisse per molti anni.

Il 1º ottobre 1961 divenne direttore del Telegiornale. Biagi si mise subito all'opera, applicando la formula di Epoca al TG, dando meno spazio alla politica e maggior rilievo ai «guai degli italiani», come chiamava le mancanze del sistema nazionale. Realizzò una memorabile intervista a Salvatore Gallo, l'ergastolano ingiustamente rinchiuso a Ventotene, la cui vicenda porterà in seguito il Parlamento ad approvare la revisione dei processi anche dopo la sentenza della cassazione. Dedicò servizi agli esperimenti nucleari dell'Unione Sovietica che avevano seminato il panico in tutta Europa. Fece assumere in Rai grandi giornalisti come Giorgio Bocca e Indro Montanelli,[7] ma anche giovani come Enzo Bettiza ed Emilio Fede, destinati a una lunga carriera.

Nel novembre del 1961 arrivarono inevitabili le prime polemiche: il democristiano Guido Gonella, in un'interrogazione parlamentare al ministro dell'Interno Mario Scelba - poi passata alla storia per gli attacchi alle gambe nude delle gemelle Kessler, - accusò Enzo Biagi di essere fazioso e di «non essere allineato all'ufficialità». Un'intervista in prima serata al leader comunista Palmiro Togliatti gli procurò un duro attacco da parte dei giornali di destra, che iniziarono una campagna aggressiva contro di lui.

Nel marzo del 1962 lanciò il primo rotocalco televisivo della televisione italiana: RT Rotocalco Televisivo[8]. Apparve per la prima volta in video; il timido Biagi ricorderà sempre come un tormento le sue prime registrazioni. Condusse la trasmissione fino al 1968. A Roma tuttavia Biagi si sentiva con le mani legate. Le pressioni politiche erano insistenti; Biagi aveva già detto di no a Giuseppe Saragat, che gli proponeva alcuni servizi, ma resistere era difficile malgrado la solidarietà pubblica manifestatagli da personaggi celebri del periodo come Giovannino Guareschi, Garinei e Giovannini, Giangiacomo Feltrinelli, Liala e dallo stesso Bernabei.

«Ero l'uomo sbagliato al posto sbagliato: non sapevo tenere gli equilibri politici, anzi proprio non mi interessavano e non amavo stare al telefono con onorevoli e sottosegretari [...] Volevo fare un telegiornale in cui ci fosse tutto, che fosse più vicino alla gente, che fosse al servizio del pubblico non al servizio dei politici.»

Nel 1963 decise di dimettersi - dopo l'ultima puntata chiusa da I ragazzi di Arese di Gianni Serra - e di tornare a Milano dove divenne inviato e collaboratore dei quotidiani Corriere della Sera e La Stampa. Nel 1967 entrò nel gruppo Rizzoli come direttore editoriale[9]. Firmava i suoi pezzi sul settimanale L'Europeo e trasformò il periodico letterario Novella in un giornale di cronaca rosa. Nel 1968 tornò alla Rai per la realizzazione di programmi di approfondimento giornalistico. Tra i più seguiti e innovativi: Dicono di lei (dal 17 maggio 1969), una serie di interviste a personaggi famosi, tramite frasi, aforismi, aneddoti sulle loro personalità e Terza B, facciamo l'appello (1971), in cui personaggi famosi incontravano dei loro ex compagni di classe, amici dell'adolescenza, i primi timidi amori.

Gli anni settanta, ottanta, novanta

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«Considero il giornale un servizio pubblico come i trasporti pubblici e l'acquedotto. Non manderò nelle vostre case acqua inquinata.»

Nel 1970 fu nominato direttore de Il Resto del Carlino, con l'obiettivo di trasformarlo in un quotidiano nazionale. Venne data più attenzione alla cronaca e alla politica. Biagi esordì con un editoriale, che intitolò "Rischiatutto" come la celebre trasmissione di Mike Bongiorno, andata in onda su Rai 1, commentando il caos in cui si stavano svolgendo le elezioni del presidente della Repubblica (che videro poi l'elezione di Giovanni Leone) e che tennero impegnato il Parlamento per diverse settimane, concludendosi alla vigilia di Natale dopo 23 giorni.

L'editore Attilio Montinotti era in buoni rapporti con il ministro delle finanze Luigi Preti, che pretendeva che il giornale desse risalto alle sue attività. Biagi ignorò le richieste di Preti; poco dopo però pubblicò la sua partecipazione ad una festa al Grand Hotel di Rimini, che Preti smentì vigorosamente. La replica di Biagi ("ci dispiace che lo sbadato cronista abbia preso un abbaglio; siamo però convinti che i ministri, anche se socialisti, non hanno il dovere di vivere sotto i ponti") mandò Preti su tutte le furie, tanto da premere per il suo allontanamento.[10] Questo episodio, insieme all'intimazione di Monti a Biagi affinché licenziasse alcuni suoi collaboratori - tra cui il sacerdote Nazareno Fabbretti, "colpevole" di aver firmato un'intervista alla madre di don Lorenzo Milani - fu all'origine dell'uscita di Biagi dalla redazione del quotidiano bolognese. Il 30 giugno 1971 firmò il suo addio ai lettori e tornò quindi al Corriere della Sera.

Nel 1974, pur senza lasciare il Corriere, collaborò con l'amico Indro Montanelli alla creazione de Il Giornale.[11]

Biagi nel 1992 assieme a Carlo Caracciolo, per lungo tempo editore della Repubblica, quotidiano per cui il giornalista scrisse durante la gran parte degli anni ottanta.

Dal 1977 al 1980 Biagi ritornò a collaborare stabilmente alla Rai, conducendo Proibito, programma in prima serata su Rai 2, che trattava temi d'attualità. All'interno del programma guidò due cicli d'inchiesta internazionali denominati Douce France (1978) e Made in England (1980). Con Proibito, Biagi iniziò ad occuparsi di interviste televisive, genere di cui sarebbe divenuto un maestro. Nel programma furono intervistati, creando ogni volta scalpore e polemiche, personaggi-chiave dell'Italia dell'epoca come l'ex brigatista Alberto Franceschini, Michele Sindona, il finanziere poi coinvolto in inchieste di mafia e corruzione, e soprattutto il dittatore libico Muʿammar Gheddafi nei giorni successivi alla caduta dell'aereo di Ustica. In quest'ultima occasione il dittatore libico sostenne che si trattava di un attentato organizzato dagli Stati Uniti contro la sua persona e che gli americani quel giorno avevano soltanto "sbagliato bersaglio"; l'intervista finì al centro di una controversia internazionale e il governo dell'epoca ne proibì la messa in onda; l'incontro fu poi regolarmente trasmesso un mese dopo.[10]

Nel 1981, dopo lo scandalo della P2 di Licio Gelli, lasciò il Corriere della Sera, dichiarando di non essere disposto a lavorare in un giornale controllato dalla massoneria, come sembrava emergere dalle inchieste della magistratura. Come lui stesso ha rivelato, Gelli, il leader della P2, aveva chiesto all'allora direttore del quotidiano, Franco Di Bella di cacciare Biagi o di mandarlo in Argentina. Di Bella, però si rifiutò.[12] Diventò quindi editorialista della Repubblica, dove rimase fino al 1988, quando ritornò in via Solferino.

Nel 1982 condusse la prima serie di Film Dossier, un programma che, attraverso film mirati, puntava a coinvolgere lo spettatore; nel 1983, dopo un programma su Rai 3 dedicato a episodi della seconda guerra mondiale (La guerra e dintorni), tornò su Rai 1: iniziò così a condurre Linea Diretta, uno dei suoi programmi più seguiti, che proponeva l'approfondimento del fatto della settimana, tramite il coinvolgimento dei vari protagonisti. Linea Diretta venne trasmesso fino al 1985.

Appena un anno dopo, nel 1986, sempre su Rai Uno, fu la volta di Spot, un settimanale giornalistico in quindici puntate, cui Biagi collaborava come intervistatore. In questa veste, si rese protagonista di interviste storiche come quella a Osho Rajneesh, il famoso e controverso mistico indiano, nell'anno in cui il Partito Radicale cercava di fargli ottenere il diritto di ingresso per l'Italia che gli veniva negato; oppure quella a Michail Gorbačëv, negli anni in cui il capo sovietico iniziava la perestrojka; o quella ancora a Silvio Berlusconi, nei giorni delle polemiche sui presunti favori del governo Craxi nei confronti delle sue televisioni. Berlusconi stava tentando invano di convincere Biagi ad entrare a Mediaset, ma lui rimase in RAI, sia perché legato affettivamente sia perché temeva che, nelle televisioni del Cavaliere, avrebbe avuto minore libertà.[10]

Nel 1989 riaprì i battenti, per un anno, Linea Diretta. Questa nuova edizione verrà tra l'altro sbeffeggiata dal Trio composto da Anna Marchesini, Tullio Solenghi e Massimo Lopez, che all'epoca stava conoscendo un grande successo. In precedenza Biagi era stato imitato anche da Alighiero Noschese negli anni settanta; successivamente sarà nel mirino del Bagaglino.

Nei primi anni novanta realizzò soprattutto trasmissioni tematiche di grande spessore, come Che succede all'Est? (1990), dedicata alla fine del comunismo, I dieci comandamenti all'italiana (1991)[13], Una storia (1992), sulla lotta alla mafia, dove apparve per la prima volta in televisione il pentito Tommaso Buscetta. Seguì attentamente le vicende dell'inchiesta Mani pulite, con programmi come Processo al processo su Tangentopoli (1993) e Le inchieste di Enzo Biagi (1993-1994). Fu il primo giornalista ad incontrare l'allora giudice Antonio Di Pietro, nei giorni in cui era considerato "l'eroe" che aveva messo in ginocchio Tangentopoli.

Il Fatto e l'«editto bulgaro»

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Nel 1995 iniziò a condurre la trasmissione Il Fatto, un programma di approfondimento dopo il TG1 sui principali fatti del giorno, di cui Biagi era autore e conduttore; tra le interviste andate in onda nella trasmissione, vanno segnalate quelle a Marcello Mastroianni, Sophia Loren, a Indro Montanelli e soprattutto le due realizzate a Roberto Benigni. Nel luglio del 2000 la Rai dedicò a Biagi uno speciale in occasione del suo ottantesimo compleanno, intitolato Buon compleanno signor Biagi! Ottant'anni scritti bene, condotto da Vincenzo Mollica. Nel 2004 Il Fatto fu proclamato da una giuria di critici televisivi come il miglior programma giornalistico realizzato nei primi cinquant'anni della Rai.[14]

Biagi e Silvio Berlusconi nel 1986

La prima intervista a Benigni era stata rilasciata dopo la vittoria di quest'ultimo ai Premi Oscar del 1999, mentre la seconda venne registrata nel 2001, a ridosso delle elezioni politiche, che poi avrebbero visto la vittoria della Casa delle Libertà. In quest'ultima il comico toscano commentò, a modo suo, il conflitto di interessi e il contratto con gli italiani che Berlusconi aveva firmato qualche giorno prima nel salotto di Bruno Vespa. I commenti provocarono il giorno dopo roventi polemiche contro Biagi, che venne accusato di utilizzare la televisione pubblica per impedire la vittoria di Berlusconi. Al centro della bufera c'erano anche le dichiarazioni che il 27 marzo Indro Montanelli aveva rilasciato al Fatto. Il giornalista aveva attaccato pesantemente il centro-destra, paragonandolo ad un virus per l'Italia e sostenendo che sotto Berlusconi il Paese avrebbe vissuto una "dittatura morbida in cui al posto delle legioni quadrate avremmo avuto i quadrati bilanci", ovvero molta corruzione.

In seguito a queste due interviste diversi politici e giornalisti attaccarono Biagi; tra questi Giulio Andreotti e Giuliano Ferrara, che dichiarò: «Se avessi fatto a qualcuno quello che Biagi ha fatto a Berlusconi, mi sarei sputato in faccia». La critica più dura arrivò però dal deputato di Alleanza Nazionale e futuro ministro delle comunicazioni Maurizio Gasparri, che auspicò in un'emittente lombarda l'allontanamento dalla Rai dello stesso Biagi.[10] Biagi fu quindi denunciato all'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni per «violazione della par condicio», ma venne poi assolto con formula piena.

Il 18 aprile del 2002 l'allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, mentre si trovava in visita ufficiale a Sofia, rilasciò una dichiarazione riportata dall'agenzia ANSA e passata poi alla cronaca con la definizione giornalistica di «editto bulgaro». Berlusconi, commentando la nomina dei nuovi vertici Rai, resi pubblici il giorno prima, si augurò che «la nuova dirigenza non permettesse più un uso criminoso della televisione pubblica» come, a suo giudizio, era stato fatto dal giornalista Michele Santoro, dal comico Daniele Luttazzi e dallo stesso Biagi. Biagi replicò quella sera stessa nella puntata del Fatto, appellandosi alla libertà di stampa[15]:

«Il presidente del Consiglio non trova niente di meglio che segnalare tre biechi individui: Santoro, Luttazzi e il sottoscritto. Quale sarebbe il reato? [...] Poi il presidente Berlusconi, siccome non intravede nei tre biechi personaggi pentimento e redenzione, lascerebbe intendere che dovrebbero togliere il disturbo. Signor presidente, dia disposizioni di procedere perché la mia età e il senso di rispetto che ho verso me stesso mi vietano di adeguarmi ai suoi desideri [...]. Sono ancora convinto che perfino in questa azienda (che come giustamente ricorda è di tutti, e quindi vorrà sentire tutte le opinioni) ci sia ancora spazio per la libertà di stampa; sta scritto - dia un'occhiata - nella Costituzione. Lavoro qui in Rai dal 1961, ed è la prima volta che un Presidente del Consiglio decide il palinsesto [...]. Cari telespettatori, questa potrebbe essere l'ultima puntata del Fatto. Dopo 814 trasmissioni, non è il caso di commemorarci. Eventualmente, è meglio essere cacciati per aver detto qualche verità, che restare a prezzo di certi patteggiamenti.»

Fu l'inizio di una lunga controversia tra la Rai e Enzo Biagi, con numerosi colpi di scena e un'interminabile serie di trattative che videro prima lo spostamento di fascia oraria del Fatto, poi il suo trasferimento su Rai 3 e infine la sua cancellazione dai palinsesti. Biagi, sentendosi preso in giro dai vertici dell'emittente pubblica e, credendo che non gli sarebbe mai stata affidata alcuna trasmissione, decise a settembre di non rinnovare il suo contratto, che fu risolto il 31 dicembre 2002 dopo 41 anni di collaborazione.

Nel corso del 2002 i rapporti con Berlusconi si deteriorarono sempre più a causa della pregiudiziale morale che per Biagi era imprescindibile; infatti, a tal proposito disse: «uno che fa battute come quella di Berlusconi dimostra che, nonostante si alzi i tacchi, non è all'altezza. Un presidente del Consiglio che ha conti aperti con la giustizia avrebbe dovuto avere la decenza di sbrigare prima le sue pratiche legali e poi proporsi come guida del Paese» (Il Fatto, 8 aprile 2002). Nel novembre dello stesso 2002 divenne uno dei fondatori e garanti dell'associazione culturale Libertà e Giustizia, spesso critica verso l'operato dei governi guidati da Berlusconi.

Gli ultimi anni: il ritorno in televisione

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In questo stesso periodo, Enzo Biagi fu colpito da due gravi lutti: la morte della moglie Lucia Ghetti il 24 febbraio 2002 e della figlia Anna il 28 maggio 2003, a cui era legatissimo, scomparsa improvvisamente per un arresto cardiaco.[16] Questa morte lo segnò per il resto della sua vita.

Continuò a criticare aspramente il governo Berlusconi, dalle colonne del Corriere della Sera. L'atto più clamoroso fu quando (in seguito al famoso episodio di Berlusconi che con il dito medio alzato durante un comizio a Bolzano espresse che cosa pensava dei suoi critici) chiese «scusa, a nome del popolo italiano, perché il nostro presidente del Consiglio non ha ancora capito che è un leader di una democrazia». Berlusconi replicò dichiarandosi stupito che «il Corriere della Sera pubblicasse i racconti di un vecchio rancoroso come Biagi».[17] Il comitato di redazione del Corriere protestò con una lettera aperta indirizzata a Berlusconi, dicendosi orgoglioso che un giornalista come Enzo Biagi lavorasse nel suo quotidiano e sostenendo che «in Via Solferino lavorano dei giornalisti non dei servi».

Tornò in televisione, dopo due anni di silenzio, alla trasmissione Che tempo che fa, intervistato per una ventina di minuti da Fabio Fazio. Il suo ritorno in televisione registrò ascolti record per Rai 3 e per la stessa trasmissione di Fazio.[18]

Enzo Biagi tornò poi altre due volte alla trasmissione di Fazio, testimoniando ogni volta il suo affetto per la Rai («la mia casa per quarant'anni») e la sua particolare vicinanza a Rai 3.

Enzo Biagi intervenne anche al TG3 e in altri programmi della Rai. Invitato anche da Adriano Celentano nel suo Rockpolitik, in onda su Rai 1, in una puntata dedicata alla libertà di stampa assieme a Michele Santoro e Daniele Luttazzi, Enzo Biagi (con Daniele Luttazzi) declinò l'invito per il fatto che nella rete ammiraglia della Rai c'era la presenza delle persone che avevano chiuso il suo programma; tra queste persone sarebbe stato compreso anche l'allora direttore Fabrizio Del Noce.

Enzo Biagi nel 2006

Negli ultimi anni scrisse anche con il settimanale L'Espresso e le riviste Oggi e TV Sorrisi e Canzoni.

Nell'agosto 2006, intervenendo su il Tirreno, avanzò delle perplessità circa la sentenza di primo grado emessa dagli organi di giustizia sportiva in relazione allo scandalo che colpì il calcio italiano a partire dal maggio dello stesso anno e noto giornalisticamente come Calciopoli.

Nella sua ultima intervista a Che tempo che fa, nell'autunno del 2006 Enzo Biagi affermò che il suo ritorno in Rai era molto vicino e, al termine della trasmissione, il direttore generale della Rai, Claudio Cappon, telefonando in diretta, annunciava che l'indomani stesso Enzo Biagi avrebbe firmato il contratto che lo riportava in TV.

Il 22 aprile 2007 tornò in televisione con RT Rotocalco Televisivo, aprendo la trasmissione con queste parole:

«Buonasera, scusate se sono un po' commosso e magari si vede. C'è stato qualche inconveniente tecnico e l'intervallo è durato cinque anni. C'eravamo persi di vista, c'era attorno a me la nebbia della politica e qualcuno ci soffiava dentro… Vi confesso che sono molto felice di ritrovarvi. Dall'ultima volta che ci siamo visti, sono accadute molte cose. Per fortuna, qualcuna è anche finita.»

Essendo la vigilia della festa del 25 aprile, l'argomento della puntata fu la resistenza, sia in senso moderno, come di chi resiste alla camorra, fino alla Resistenza storica, con interviste a chi l'ha vissuta in prima persona.

La trasmissione andò in onda per sette puntate, oltre allo speciale iniziale, fino all'11 giugno 2007. Sarebbe dovuta riprendere nell'autunno successivo, ma fu annullata a causa dell'improvviso aggravarsi delle condizioni di salute di Enzo Biagi.

La morte

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Ricoverato per oltre 10 giorni in una clinica milanese, a causa di un edema polmonare acuto e di sopraggiunti problemi renali e cardiaci, Enzo Biagi morì all'età di 87 anni la mattina del 6 novembre 2007. Pochi giorni prima di morire, disse a un'infermiera «Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie...», ricordando Soldati di Ungaretti, e aggiungendo «ma tira un forte vento».[19]

I funerali del giornalista si svolsero nella chiesa del piccolo borgo natale di Pianaccio, vicino a Lizzano in Belvedere, e la sepoltura avvenne nel piccolo cimitero poco distante. La messa esequiale venne officiata dal cardinale Ersilio Tonini, suo vecchio amico, alla presenza del presidente del Consiglio Romano Prodi, dei vertici Rai e di molti colleghi, come Ferruccio de Bortoli e Paolo Mieli.

Nei giorni precedenti era stata aperta a Milano la camera ardente che vide una partecipazione popolare immensa, definita "stupefacente" dalle sue stesse figlie. Alle redazioni dei giornali e ai familiari arrivarono lettere di cordoglio e di condoglianze da ogni parte d'Italia, anche la maggioranza dei principali siti Internet e molti blog lo ricordarono con parole affettuose, segno della grande commozione che la sua scomparsa aveva provocato.

Successivamente furono molte le iniziative per ricordarlo. Michele Santoro gli dedicò una puntata nella sua trasmissione Annozero titolata "Biagi, partigiano sempre"; Blob e Speciale TG1 riproposero i filmati dei suoi programmi più significativi; il Corriere della Sera organizzò una serata commemorativa presso la Sala Montanelli, la Rai invece lo onorò con una serata presso il teatro Quirino a Roma trasmessa in diretta su Rai News 24 e poi in replica su Rai 3 in seconda serata.[20]

Omaggi

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Critiche

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«Questa storia del moralismo fu per Craxi una specie di ossessione. Poi le vicende giudiziarie ci hanno indotto a dedurre che, per lui, il Codice Penale era più che altro una questione di stati d'animo.[10]»

«Si butta su tutte le disgrazie. Ogni volta che esce un libro di Enzo devo per forza toccarmi le palle.»

Biagi gli rispose:

«Caro Giorgio, fai prima a toccarti la testa»

Onorificenze

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Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana - nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana
— 15 dicembre 1995[27]
Grande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana - nastrino per uniforme ordinaria
Grande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana
— 27 dicembre 1967[28]

Riconoscimenti

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Lauree honoris causa

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Laurea honoris causa in Scienze della comunicazione dall'Università di Bologna - nastrino per uniforme ordinaria
Laurea honoris causa in Scienze della comunicazione dall'Università di Bologna
— 12 giugno 1997[32][33]
Laurea honoris causa in Storia dall'Università degli Studi di Torino - nastrino per uniforme ordinaria
Laurea honoris causa in Storia dall'Università degli Studi di Torino
«Maestro di moralità e di dignità civile, acuto osservatore della storia del XX secolo»
— 15 giugno 2000[33][34]
Laurea honoris causa in Comunicazione pubblica, sociale e d'impresa dall'Università di Pisa - nastrino per uniforme ordinaria
Laurea honoris causa in Comunicazione pubblica, sociale e d'impresa dall'Università di Pisa
«Biagi non ha soltanto dato un apporto di grande rilevanza al giornalismo italiano, ma ha contribuito enormemente alla crescita culturale di milioni di cittadini, appartenenti a diversi strati sociali, su temi di attualità, politica, costume, etica pubblica, arrivando a rappresentare una parte rilevante della storia del nostro Paese e un modello di vero, grande maestro vivente della comunicazione in Italia»
— 14 febbraio 2004[33][35]
Laurea honoris causa in Nuovi Media e Comunicazione Multimediale dall'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia - nastrino per uniforme ordinaria
Laurea honoris causa in Nuovi Media e Comunicazione Multimediale dall'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
«Per aver avuto il merito di spiegare e far capire a tutti che cosa stava succedendo nel mondo intorno a loro»
— 11 maggio 2006[33][36]

Titolazioni

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Sono stati titolati a Enzo Biagi:

Opere

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I libri pubblicati da Enzo Biagi hanno venduto più di 12 milioni di copie[1] e sono stati tradotti in diversi Paesi fra cui Germania, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Spagna e Giappone.[1] Nella recensione a un suo libro, Indro Montanelli individuò alcuni punti salienti della sua pubblicistica[41]:

«la narrativa di Biagi la conosciamo benissimo, e la riconosciamo sin dalla prima frase, regolarmente rapida, sàpida, spesso tagliente, sempre incisiva... Biagi è tutto l'opposto di un dissipatore. Anzi, forse perché è nato poverissimo, è abituato a tesaurizzare tutto. Eppure, nel gioco della memoria, sul cui filo sempre cammina, butta via a piene mani. Ci sono in questo libro, come in tanti altri libri che lo hanno preceduto, dei ritratti, ognuno dei quali, anche a farlo con parsimonia, poteva riempirgli venti, trenta, cinquanta pagine. Biagi te le rende in cinque righe. E, a ripensarci, ci si accorge che bastano. Ma che scialo, anche per un uomo ricco d'incontri e di esperienze come lui. Azzardo un'ipotesi che certamente lui smentirà. Ma secondo me ciò che incalza Biagi e gl'impedisce di attardarsi su un personaggio o una situazione è la paura del patetico. Si tratti anche del figuro più efferato o della vicenda più odiosa, la sua capacità d'immedesimazione è tale da suscitare sempre in lui una commossa partecipazione, cui teme di cedere e di concedere. Mescolata all'inchiostro c'è sempre, nella penna di Biagi, una lacrima accuratamente nascosta. E in questo pudore sta il suo fascino»

Saggistica

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Curatele

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Storiografie

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Reportage

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Romanzi

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Fumetti (solo testi e soggetti)

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Dai barbari ai capitani di ventura, Milano, Mondadori, 1978.
Da Colombo alla Rivoluzione francese, Milano, Mondadori, 1979.
Da Napoleone alla Repubblica italiana, Milano, Mondadori, 1980.
1946-1986: 40 anni di repubblica, Milano, Mondadori, 1986.
1946-1996. Cinquant'anni di repubblica, Milano, Mondadori, 1996. ISBN 88-04-42203-3.
La storia d'Italia a fumetti, Milano, Mondadori, 2000. ISBN 88-04-48363-6.
La nuova storia d'Italia a fumetti. Dall'impero romano ai nostri giorni, Milano, Mondadori, 2004. ISBN 88-04-53507-5.
Americani, Milano, Mondadori, 1983.
Russi, Milano, Mondadori, 1984.
Italiani, Milano, Mondadori, 1985.
Africa, Asia, Milano, Mondadori, 1997. ISBN 88-04-43325-6.
Europa, Americhe, Oceania, Milano, Mondadori, 1997. ISBN 88-04-43326-4.
La nuova storia d'Italia a fumetti, Milano, Mondadori, 2007. ISBN 978-88-04-57805-5.
La nuova storia del mondo a fumetti, Milano, Mondadori, 2007. ISBN 978-88-04-57806-2.

Teatro

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Prefazioni e introduzioni

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Collaborazioni giornalistiche

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Nella sua lunga carriera, Biagi lavorò per i principali quotidiani e settimanali nazionali italiani, cambiando spesso testata in seguito a divergenze e disaccordi con la proprietà. In ordine cronologico:

Collaborazioni

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Programmi televisivi

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Note

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  1. ^ a b c Corriere della Sera; 7 novembre 2007.
  2. ^ Famiglia Cristiana, n. 46/18 novembre 2007.
  3. ^ Enzo Biagi, una personalità eclettica: da giornalista a conduttore televisivo, su lastampa.it. URL consultato il 9 settembre 2008 (archiviato dall'url originale il 23 maggio 2011).
  4. ^ Corriere della Sera; 9 novembre 2007.
  5. ^ Giuseppe Braga, Quello zio burbero che fece grande l'Oriana, in Libero, 2 novembre 2017.
  6. ^ Filmato audio Mino mandò a Papa Luciani l’elenco dei prelati infedeli…Quella notte il Papa morì, LA7 Attualità. (4:22)
  7. ^ Giangiacomo Schiavi, L'abbraccio della gente comune: «Sei stato maestro di vita» Settant'anni di successi ma ha pagato i suoi «no» ai politici, su CORRIERE DELLA SERA.it, 7 novembre 2007. URL consultato l'11 marzo 2020 (archiviato il 16 luglio 2011).
  8. ^ Storia del rotocalco giornalistico, su Tesionline. URL consultato l'11 marzo 2020 (archiviato il 22 gennaio 2019).
  9. ^ Novella 2000 compie 40 anni, su corriere.it. URL consultato il 14 giugno 2018 (archiviato dall'url originale il 9 novembre 2008).
  10. ^ a b c d e f Enzo Biagi, Era ieri
  11. ^ Televideo Rai 8 novembre 2007
  12. ^ Gianluca Di Feo, P2, lo scandalo che fece tremare l'Italia, su CORRIERE DELLA SERA.it, 21 maggio 2001. URL consultato l'11 marzo 2020 (archiviato dall'url originale il 7 dicembre 2008).
  13. ^ Fu la trasmissione per cui ricevette i complimenti di papa Giovanni Paolo II, il quale poco dopo volle incontrare in Vaticano lo stesso Biagi e l'intero staff del programma; in quell'occasione Biagi conobbe il cardinale Ersilio Tonini, con cui stringerà poi una forte amicizia.
  14. ^ Biagi, una vita per il giornalismo, su CORRIERE DELLA SERA.it, 6 novembre 2007. URL consultato l'11 marzo 2020 (archiviato dall'url originale il 3 ottobre 2015).
  15. ^ Video della puntata del Fatto del 19/4/2002, su youtube.com. URL consultato il 6 gennaio 2016 (archiviato il 1º aprile 2016).
  16. ^ È morta a Milano Anna Biagi, su Corriere della Sera, 29 maggio 2003. URL consultato l'11 marzo 2020 (archiviato dall'url originale il 3 ottobre 2015).
  17. ^ Repubblica del 21 maggio 2006, su repubblica.it. URL consultato l'11 febbraio 2008 (archiviato il 24 dicembre 2007).
  18. ^ La Repubblica, 26 maggio 2005: "Biagi di sera, bel tempo si spera"
  19. ^ Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie, su APPRENDISTASTREGONE, 11 novembre 2007. URL consultato l'11 marzo 2020 (archiviato il 18 aprile 2019).
  20. ^ Il ricordo di Enzo Biagi al teatro Quirino a Roma. Romano Prodi: parlava al cuore della gente, su RAINEWS24, 3 dicembre 2007. URL consultato l'11 marzo 2020 (archiviato dall'url originale il 5 dicembre 2007).
  21. ^ Sandra Cesarale, Ligabue, effetti speciali e una «foto» all'Italia, su Corriere della Sera, 19 novembre 2007. URL consultato l'11 marzo 2020 (archiviato dall'url originale il 24 marzo 2015).
  22. ^ Giorgio Lambrinopulos, Luciano Ligabue fa impazzire Roma con buonanotte Italia concerto con più di 100 mila persone (PDF), su Il Corriere Del Sud, 21 luglio 2008. URL consultato l'11 marzo 2020 (archiviato dall'url originale il 24 marzo 2016).
  23. ^ Elio rifiuta l'Ambrogino d'oro: "Grazie, ma spetta a Enzo Biagi", su La Stampa, 3 dicembre 2008. URL consultato l'11 marzo 2020 (archiviato il 7 novembre 2018).
  24. ^ Antonio Padellaro, Linea politica, la Costituzione, in il Fatto Quotidiano, 23 settembre 2009, p. 1. URL consultato il 17 settembre 2011 (archiviato il 19 aprile 2019).
  25. ^ Roberto Gervaso, Ve li racconto io 2005 ed. Mondadori
  26. ^ Pietrangelo Buttafuoco, «Fine dei saperi forti tra brasato e tortellini», 23.11.2006, «Panorama»
  27. ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato., su quirinale.it. URL consultato il 21 ottobre 2010 (archiviato l'11 settembre 2011).
  28. ^ Sito web del Quirinale: dettaglio decorato., su quirinale.it. URL consultato il 19 dicembre 2012 (archiviato il 12 agosto 2014).
  29. ^ 1959/1950 – Le affermazioni di Tullio Pinelli, Enzo Biagi, Luigi Squarzina, su riccioneteatro.it, Premio Riccione per il Teatro. URL consultato il 19 dicembre 2012 (archiviato dall'url originale il 17 giugno 2013).
  30. ^ a b Biagi, una vita per il giornalismo, in Corriere della Sera, 2 novembre 2007. URL consultato il 19 dicembre 2012 (archiviato dall'url originale il 24 marzo 2015).
  31. ^ Enzo Biagi: il ricordo del Premio Ilaria Alpi, Premio giornalistico televisivo Ilaria Alpi, 6 novembre 2007. URL consultato il 19 dicembre 2012 (archiviato il 4 marzo 2016).
  32. ^ Laurea 'Ad Honorem' per Enzo Biagi, in La Repubblica, 21 maggio 1997. URL consultato il 19 dicembre 2012 (archiviato il 4 marzo 2016).
  33. ^ a b c d Quattro lauree honoris causa per Biagi, in Il Giornale, 6 novembre 2007. URL consultato il 19 dicembre 2012 (archiviato il 3 aprile 2016).
  34. ^ Le Lauree Honoris Causa, su sestocentenario.unito.it, Università degli Studi di Torino. URL consultato il 19 dicembre 2012 (archiviato il 25 febbraio 2019).
  35. ^ Laurea honoris causa a Enzo Biagi, in La Repubblica, 5 febbraio 2004. URL consultato il 19 dicembre 2012 (archiviato il 5 marzo 2016).
  36. ^ Laurea ad honorem Enzo Biagi, in Dipartimento di Comunicazione ed Economia, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, 11 maggio 2006. URL consultato il 19 dicembre 2012 (archiviato il 15 agosto 2019).
  37. ^ Bacheca Scuola Online "Enzo Biagi", su icviaorrea.net. URL consultato il 1º gennaio 2013 (archiviato dall'url originale il 17 settembre 2012).
  38. ^ Un giardino dedicato a Enzo Biagi - Milano, su CORRIERE DELLA SERA.it, 21 dicembre 2012. URL consultato l'11 marzo 2020 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
  39. ^ Comune di Medicina, Città di Medicina, su comune.medicina.bo.it. URL consultato l'11 dicembre 2013 (archiviato il 9 febbraio 2014).
  40. ^ Festa della Scuola primaria di Villa Fontana "Enzo Biagi", su Comune di Medicina. URL consultato l'11 marzo 2020 (archiviato dall'url originale l'11 marzo 2020).
  41. ^ Indro Montanelli, «Il nuovo Biagi. Scialo di bravura», «La Voce», 1994

Bibliografia

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Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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Predecessore Condirettore di Epoca(direttore Arnoldo Mondadori) Successore Bruno Fallaci 6 marzo 1955-23 dicembre 1956 se stesso

Predecessore Direttore di Epoca Successore Arnoldo Mondadori 30 dicembre 1956-luglio 1960 Arnoldo Mondadori ad interim

Predecessore Direttore del Telegiornale (RAI) Successore Leone Piccioni 1961-1962 Giorgio Vecchietti

Predecessore Direttore de il Resto del Carlino Successore Domenico Bartoli 21 giugno 1970-30 giugno 1971 Girolamo Modesti
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