Nel mondo antico la satira (in latino satura) era sia una forma letteraria sia una forma di rappresentazione teatrale.
Satura quidem tota nostra est, diceva con orgoglio Quintiliano nel I secolo d.C.; rispetto ad altri generi importati, la satira (letteralmente 'miscuglio') è totalmente romana[1]. L'aggettivo latino satur ("pieno, sazio"), condivide con l'avverbio satis ("abbastanza") la radice implicante il concetto di varietà, abbondanza, mescolanza. Diomede Grammatico (vissuto nel VI secolo d.C.) avanza alcune ipotesi sull'origine della parola "satira" ricollegandosi in primo luogo ai "satyroi" (creature mitologiche dall'aspetto in parte umano, in parte ferino), oppure con "satura" intesa come "farcinem" (salsiccia) o ancora con l'espressione "lex satura" (una sorta di legge contenente più disposizioni)[2]. Tuttavia nella spiegazione più plausibile proposta da Diomede, il termine satira deriva dall'espressione "satura lanx", un piatto di primizie caratterizzato da vari tipi di frutta, spesso offerto agli dei nei cerimoniali. Il lemma sarebbe quindi passato a indicare un componimento poetico di contenuto vario, una sorta di miscellanea.
La satira latina racchiude lo spirito farsesco dei fescennini e le rappresentazioni di musica e danza etrusche. La satira era rappresentata da histriones (attori) e consisteva in una rappresentazione teatrale mista di danze, musica e recitazione. Il termine satura si applicava in origine a celebrazioni e offerte alla dea Cerere accompagnate da canti e scene giocose. Tito Livio ci dice che durante la pestilenza ci furono dei ludi scenici dove i giocolieri ballavano facendosi accompagnare da un flauto e da versi: così si sarebbe forzato il genere verso una poesia di carattere drammatico.
Nella letteratura latina, quando si parla di satira, è doveroso ricordare che essa si distingue in due tipi: satira drammatica, quindi destinata ad una rappresentazione e satira letteraria, quindi destinata alla lettura.
Sulla satira letteraria ci dà informazioni Varrone. Quintiliano, sull'origine della satira, dice nel X libro dell'"Institutio oratoria": "Noi romani nell'elegia sfidiamo i greci, la satira è tutta nostra". Con quest'affermazione attribuisce ai romani la totale paternità del genere satirico, anche se, riguardo ad alcuni temi, questo genere sembra rifarsi ai Giambi di Callimaco, erudito greco.
Dall'età arcaica all'età Giulio-Claudia è possibile tracciare un percorso evolutivo di questo genere letterario:
Lo stesso argomento in dettaglio: Satura (teatro).
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Esisteva tuttavia un genere di "satura" non prettamente letteraria, bensì teatrale, che si diffuse ben prima di quella letteraria: è quella che menziona Tito Livio nell'"Ab Urbe Condita", Libro VII, paragrafo 2. Più avanti Livio affiancherà il genere satirico al Fescennino, che era in effetti caratterizzato dallo scambio di motti mordaci e licenziosi tra schiere di giovani -il carattere irriverente verso le personalità politiche portò al suo divieto.
Derivazione più "istituzionale" della satura fu la fabula Atellana (dalla città di Atella): essa era incentrata su quattro figure fisse (Bucco, il mangione, Pappus, il vecchietto lascivo, Maccus, lo scemo del villaggio, e Dossennus o Manducus, il personaggio perspicace e capace di mangiate leggendarie, come testimonia la radice etimologica del suo secondo nome) e prevedeva scene di semplice ed efficace comicità, la cui traccia permane nelle commedie plautine.
Innegabile è anche il collegamento tra la satira e i caratteri formali della diatriba cinico-stoica (vedi Satira menippea).