Il carteggio apocrifo di Seneca e san Paolo - Epistolae Senecae ad Paulum et Pauli ad Senecam - è un corpus di quattordici lettere latine scritte da un anonimo falsario del IV secolo, sei delle quali da lui attribuite all'apostolo Paolo e otto al filosofo e letterato romano Lucio Anneo Seneca. Costituisce un apocrifo del Nuovo Testamento.

La leggenda del cristianesimo di Seneca

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La datazione del carteggio

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Cordova: monumento a Seneca

È ancor oggi diffusa convinzione che nel Medioevo si ritenesse Lucio Anneo Seneca un cristiano: prima di verificare il reale fondamento di tale convincimento, è opportuno rilevare che la leggenda dell'esistenza di un'amicizia tra lo scrittore latino e l'apostolo Paolo trae la propria origine soltanto a partire dal IV secolo e proprio in virtù dell'apparizione in quegli anni di un epistolario attribuito a Seneca e a Paolo di Tarso.

Nei secoli precedenti nessun padre della Chiesa aveva mai considerato Seneca un cristiano né era stato a conoscenza di una sua amichevole relazione con Paolo. Alla fine del II secolo Tertulliano (De anima, 20, 1) scrive che « Seneca saepe noster » - Seneca è spesso cristiano - proprio perché tale non lo considerava, malgrado vi fossero elementi del pensiero di Seneca assonanti con l'etica cristiana; all'inizio del IV secolo Lattanzio lo dichiara ancora « uomo ignaro della vera religione che avrebbe potuto appartenere al cristianesimo se qualcuno glielo avesse fatto conoscere ».[1]

In base alla testimonianza di Lattanzio si può pertanto stabilire come termine post quem di compilazione del carteggio l'anno 324 circa, periodo entro il quale lo scrittore portò a termine la revisione della sua opera maggiore; il termine ante quem è stabilito con certezza nel 392, anno nel quale san Girolamo dimostra di essere a conoscenza di quella corrispondenza. In quell'anno scrive infatti Girolamo che « Lucio Anneo Seneca di Cordova fu discepolo dello stoico Sozione e suocero del poeta Lucano. Si distinse per la grande purezza dei suoi costumi. Non lo avremmo compreso fra gli scrittori ecclesiastici senza la corrispondenza con Paolo che alcuni autori gli attribuiscono. Benché fosse precettore di Nerone e il più influente personaggio del suo tempo, egli dichiara nelle sue lettere che preferirebbe avere fra i suoi concittadini lo stesso rango che Paolo occupava fra i cristiani. Morì per ordine di Nerone due anni prima che Paolo e Pietro ricevessero la palma del martirio ».[2]

Dürer, San Girolamo nello studio (1521)

È da rilevare la prudenza di Girolamo: egli non avrebbe considerato Seneca un amico di Paolo se non fosse esistito quel carteggio che egli conosce direttamente - come mostra il passo che egli cita, « qui meus tuus apud te locus, qui tuus velim ut meus », tratto dalla lettera XII - ma sull'autenticità del quale non si pronuncia, lasciandone l'onere a non precisati « autori », mentre condivide la conclamata opinione della presunta purezza di costumi di Seneca.

Se è certo che in nessun suo scritto Girolamo ha mai considerato Seneca un cristiano, è controverso se egli ritenesse autentico o meno l'epistolario e credesse perciò all'amicizia tra Seneca e Paolo di Tarso: il Fleury[3] risponde affermativamente, a condizione però di ipotizzare l'esistenza di un originario carteggio in greco - di cui peraltro non vi è notizia alcuna - non ritenendo possibile che egli abbia potuto essere ingannato da una « composizione di troppo bassa lega ». Il motivo per il quale Girolamo non si pronuncia sull'autenticità dell'epistolario può essere tuttavia che la notizia di un'amicizia tra Paolo e un intellettuale del livello di Seneca tornava a tutto vantaggio del prestigio della nascente religione e dei suoi maggiori rappresentanti. Infatti, il De viris illustribus ha un intento dichiaratamente polemico contro la cultura pagana, come premette lo stesso Girolamo: «Celso, Porfirio, Giuliano, questi cani arrabbiati contro Cristo, così come i loro seguaci che pensano che la Chiesa non abbia mai avuto oratori, filosofi e colti dottori, sappiano quali uomini di valore l'hanno fondata, edificata, illustrata, e smettano le loro sommarie accuse di rozza semplicità contro la nostra fede ».[4]

Anche sant'Agostino era a conoscenza dell'esistenza del carteggio: verso il 413 scriveva a Macedonio[5] di « Seneca, che visse ai tempi apostolici, del quale si leggono anche alcune lettere a Paolo », dove non è chiaro se egli abbia mai direttamente letto quelle lettere. In ogni caso, sia la neutra ma comunque autorevole testimonianza di Girolamo e Agostino, sia il sermone apocrifo, attribuito a quest'ultimo, ma del XII secolo,[6] che dichiarava Seneca essere « quel famoso pagano amico carissimo del santissimo Apostolo », faranno a lungo credere autentico il carteggio e incontestabile la loro amicizia.

La presunta amicizia di Seneca e Paolo

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Circa un secolo dopo la lettera di Agostino, nella Passio sancti Pauli apostoli, rielaborazione latina, attribuita falsamente a papa Lino, degli Atti apocrifi di Pietro e Paolo, viene aggiunta la notizia della corrispondenza di Paolo e Seneca, e persino di loro personali colloqui - « quatinus si ore ad os alloqui non valeret, frequentibus datis et acceptis epistolis ipsius dulcedine et amicali colloquio atque consilio frueretur »[7] - non però di una conversione di Seneca al cristianesimo.

Trascorsi tre secoli, l'epistolario viene pubblicato nel IX secolo da Alcuino e dedicato a Carlo Magno. Dal cronachista dell'epoca, Freculfo di Lisieux,[8] ai successivi Onorio d'Autun,[9] Vincenzo di Beauvais,[10] Ottone di Frisinga,[11] Pietro Comestore,[12] e Martino Polono,[13] sono tutti convinti dell'amicizia dei due personaggi ma nessuno di essi ritiene Seneca un cristiano. Anche i ben più autorevoli Pietro il Venerabile,[14] Abelardo[15] e Giovanni di Salisbury[16] citano le lettere, senza dedurre alcuna conversione di Seneca al Cristianesimo.

Secondo la storica Marta Sordi, la conoscenza di Seneca e San Paolo, tenuto conto che:

L'evoluzione della leggenda: il cristianesimo di Seneca

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Il primo a fare di Seneca un cristiano sembra essere stato il domenicano Giovanni Colonna (c. 1298-c. 1343), il quale nel suo De viris illustribus sostiene che Seneca « fu spesso creduto cristiano, specie quando il grande dottore Girolamo lo inserì nel suo santo catalogo [...] ma sono indotto a credere che egli sia stato cristiano in base a quelle lettere note in tutto il mondo, intitolate Paolo a Seneca e Seneca a Paolo ».[18] Dunque, fu più l'analisi del carteggio che la memoria di una tradizione a indurre il dotto frate a convincersi del cristianesimo di Seneca.

Giusto Lipsio

Commentando il Seneca morale di Dante,[19] il Boccaccio pensa che le lettere, « bene intese, assai chiaro mi pare dimostrino san Paolo lui avere per cristiano » e giunge a interpretare la notizia di Tacito della libagione di Seneca suicida a Giove Liberatore[20] come un battesimo: « quantunque il battesimo della fede avesse [...] non essendo rigenerato secondo il comune uso de' cristiani nel battesimo dell'acqua e dello Spirito Santo, quell'acqua in fonte battesimale consecrasse a Giove Liberatore, cioè a Iesù Cristo [...] né osta il nome di Giove, il quale altra volta è stato mostrato ottimamente convenirsi a Dio, anzi a lui, e non ad alcuna creatura ». Considerazioni condivise nel XV secolo dal letterato Sicco Polenton che, oltre al battesimo da se stesso impartito, immagina che Seneca detti il proprio epitaffio concluso dal verso «Namque animam caelo reddimus, ossa tibi».[21]

A partire dal XV secolo l'affinamento della critica filologica umanistica e la conoscenza delle opere autentiche di Seneca permette a Lorenzo Valla,[22] a Celio Secondo Curione[23] e a Giusto Lipsio[24] di contestare apertamente e con argomenti di merito l'autenticità della corrispondenza, anche se non mancano argomenti opposti e di moda nel XVI secolo:[25] per Sisto Senese, Seneca avrebbe utilizzato uno stile rozzo per dissimularne la paternità qualora « in alienas manus apistolas venissent »,[26] mentre nel Seicento Francisco de Bivar, commentando il Dextri Chronicon - una storia universale attribuita all'amico di Girolamo, il senatore Flavio Lucio Dexter, ma in realtà falsificazione del gesuita Jerónimo Román de la Higuera - vi legge la notizia della segreta conversione al cristianesimo di Seneca, discepolo di Paolo, al quale avrebbe scritto mentre l'apostolo si trovava in Spagna.[27]

Naturalmente, l'inserimento di tali elementi romanzeschi ha lo scopo di rendere più credibile la leggenda e ha il vantaggio di appianarne le contraddizioni, ma intanto le contestazioni dell'autenticità del carteggio si erano infittite. Nella sua edizione delle opere di Seneca, Erasmo, ribadendo la matrice pagana del suo pensiero, considera « freddo e inetto » l'anonimo compilatore e accusa Girolamo di malafede e di aver abusato della credulità dei semplici non denunciando il falsario.[28] Concordano anche Teodoro di Beza,[29] il cardinale Bellarmino[30] e il Tillemont, che tuttavia non vuole escludere che i due possano essersi realmente conosciuti.[31]

Nel XVIII secolo la definizione del carteggio come apocrifo e la contestuale negazione del cristianesimo senechiano sembrano essersi imposte ma, forse anche per il mutato clima politico cui corrisponde il recupero di una particolare sensibilità religiosa, con l'Ottocento riprendono vigore le tesi dell'autenticità dell'epistolario e del Seneca cristiano. Joseph de Maistre si dichiara « sicuro che Seneca ha ascoltato san Paolo »,[32] mentre l'archeologo pontificio Giovanni Battista de Rossi, scoprendo nel 1867 un'iscrizione ad Ostia - D M / M. ANNAEO / PAULO PETRO / M. ANNEUS PAULUS / FILIO CARISSIMO - della fine del II secolo, deduce che, siccome dei membri della famiglia degli Annei erano cristiani, lo fosse anche il celebre antenato.[33]

Lo sforzo maggiore per sostenere l'esistenza di rapporti di Paolo e Seneca è compiuto da Amédée Fleury,[34] che sottolinea le assonanze del pensiero cristiano con quello di Seneca e deduce la possibilità di contatti fra le due personalità dal fatto che il fratello del filosofo, il proconsole dell'Acaia Gallione, aveva conosciuto Paolo, trascinato in giudizio davanti a lui dagli Ebrei, secondo la testimonianza degli Atti degli Apostoli (18, 12-17). Ma dall'atteggiamento sprezzante tenuto da Gallione - « se sono questioni riguardanti parole, nomi e la vostra legge, vedetevela voi, perché non voglio essere giudice di tali cose. E li cacciò dal tribunale » - non si vede come egli avrebbe potuto far da tramite tra Seneca e Paolo, come sostiene il Fleury,[35] interessandosi delle opinioni e degli scritti di Paolo di Tarso, fino a mandare al fratello « estratti di prediche o frammenti di lettere che Seneca avrebbe avuto fra le mani fin da allora ».[36]

La critica moderna: autori e scopo del carteggio

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Arnaldo Momigliano

Svanito il tentativo di dare un nome all'autore del carteggio,[37] modernamente la ricerca si è concentrata a stabilire la sussistenza o meno di un'unità nella corrispondenza. Per il Momigliano l'autore è unico e soltanto le date in calce alle ultime lettere sono state apposte da una mano estranea qualche anno dopo.[38] Per il Barlow, invece, si tratterebbe dell'opera di forse tre autori i quali, appartenenti a una scuola di retorica, avrebbero sostenuto semplicemente un'esercitazione assegnata dal loro maestro.[39]

Già il Westerburg[40] volle distinguere tra le lettere X, XI e XII, attribuite al IV secolo, in quanto riportanti una data corretta, con tutte le altre, attribuite al VI secolo perché non datate o, secondo lui, datate scorrettamente, come la XIII e la XIV. In realtà si accertò poi che i due consoli citati nelle lettere, Petronio Lurcone e Paconio Sabino, furono effettivamente consoli suffetti[41] nell'anno 58. Se si considera poi che la datazione per consoli suffetti venne a cessare alla fine del III secolo,[42] è decisamente improbabile che un falsario del VI secolo potesse essere in grado di utilizzarla.

In alcuni codici - il Vindobonensis 969 e il Parisinus latinus 2772 - mancano le lettere XIII e XIV e nel Bernensis 225 manca la XIV: è possibile però che il fatto di essere poste alla fine della serie abbia favorito la loro perdita. Non vi sono, inoltre, nelle lettere, disomogeneità linguistiche tali da rendere necessaria l'ipotesi di un diverso autore e di una diversa datazione: vi sono tuttavia difformità di contenuto. Se Nerone è presentato nella XI lettera come feroce tiranno e crudele persecutore, altrove è persino visto ben disposto nei confronti dei Cristiani. La XIV lettera, poi, sembra esprimere una concezione neo-platonica del Verbo e, in generale, sembra voler accennare a problemi teologici che sono invece del tutto estranei agli interessi puramente retorici delle altre lettere.

Se esistono dubbi sulla presenza di un secondo autore per la lettera XIV, non ne esiste alcuno sul fatto che la lettera XI sia un'interpolazione. Costituiscono indizi sufficienti aver presentato differentemente la figura di Nerone, scagionato Seneca da ogni responsabilità della persecuzione, accomunato gli ebrei alle vittime della repressione - in altre lettere essi sono guardati con ostilità - turbato la regolare e logica successione delle lettere e confuso le date.

Infatti, nell'epistolario le lettere dei due corrispondenti si succedono regolarmente: alla X lettera di Paolo dovrebbe seguire la logica risposta di Seneca contenuta nella XII lettera, poi una successiva lettera di Paolo (XIV lettera) e infine l'ultima lettera di Seneca (nell'ordine che è stato tramandato, la XIII). Aggiungendo come undicesima la sua lettere sull'incendio, probabilmente il secondo falsario ha voluto datare la lettera precedente e le tre successive per « mettere in chiaro che mentre la lettera 11 appartiene al 64, la lettera precedente e le seguenti risalgono al 58 e al 59. Da questo punto di vista le lettere 1-9 potevano rimanere senza data, se dovevano essere considerate anteriori alla lettera 10 ».[43] Se questo è vero, allora il secondo falsario ebbe a disposizione le ultime lettere del carteggio secondo l'ordine X-XIII-XIV-XII, che datò di conseguenza; solo un successivo intervento definirà l'ordine - pur insoddisfacente - con il quale le lettere ci sono infine pervenute.

I motivi per i quali si costruisce una falsa documentazione possono essere molteplici e di natura politica, ideologica, personale. Per il nostro carteggio si è ritenuto che il falsario fosse mosso dall'intento di rilevare l'affinità culturale esistente tra stoicismo e cristianesimo, dimostrando di quest'ultimo la piena legittimità di inserirsi nello sviluppo culturale del pensiero classico: in effetti, le lodi tributate da Seneca a Paolo nella I, VII, IX e XIII lettera sembrano dar ragione di questa interpretazione. Ma si tratta di un generico apprezzamento, non accompagnato da nessuna esposizione del pensiero cristiano e da alcun confronto delle tematiche cristiane con quelle proprie della cultura pagana.

Non solo: Seneca non manca di far notare la povertà dello stile e le manchevolezze formali della scrittura di Paolo, presentato come uomo di poca cultura se non persino ignorante (lettere VII e XIII), bisognoso di studiare i fondamenti dell'esposizione retorica. E Paolo sembra riconoscere la giustezza della critica che gli viene rivolta, esprimendo in tutto l'epistolario convinta deferenza rispetto al prestigioso letterato latino.

Si può in definitiva ritenere che l'autore - anche a dispetto della propria pochezza formale - abbia inteso esortare gli scrittori cristiani allo studio della retorica classica e alla cura dello stile, esprimendo un'esigenza sentita tra i letterati e gli uomini colti del suo tempo, che comprendevano e denunciavano la modesta qualità dello stile delle Scritture.[44] Tale invito è accompagnato dalla difesa dell'alto contenuto morale e spirituale degli scritti cristiani e di Paolo in particolare che, come fu compreso da Seneca, così deve essere apprezzato da tutti gli uomini colti, anche non cristiani.

Le lettere

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Lettera I: Seneca a Paolo

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(LA)

«I - Seneca Paulo salutem
Credo tibi, Paule, nuntiatum quod heri cum Lucilio nostro de apocrifis [1] et aliis rebus habuerimus. Erant enim quidam disciplinarum tuarum comites mecum. Nam in hortos Sallustianos [2] secesseramus, quo loco occasione nostri [3] alio tendentes hi de quibus dixi visis nobis adiuncti sunt. Certe quod tui praesentiam [4] optavimus, et hoc scias volo: [5] libello tuo lecto, id est de plurimis aliquas litteras [6] quas ad aliquam civitatem seu caput provinciae [7] direxisti [8] mira exortatione vitam moralem continentes, usquequaque referti sumus. Quos sensus non puto ex te dictos, sed per te, certe aliquando ex te et per te. Tanta enim maiestas earum est rerum tantaque generositate [9] clarent, ut vix suffecturas putem aetates hominum quae his institui perficique possint. Bene te valere, frater, cupio. [10]»

(IT)

«I - Seneca saluta Paolo.
Credo, Paolo, che ti sia stato riferito che ieri, con il nostro Lucilio, abbiamo conversato di cose segrete e d'altre cose ancora. C'erano con me alcuni compagni delle tue dottrine. C'eravamo infatti ritirati negli Orti Sallustiani dove, con l'occasione della nostra presenza, anche se erano diretti altrove, vistici, si sono uniti a noi quelli dei quali ho parlato. Certamente abbiamo desiderato la tua presenza, e voglio che tu sappia che con la lettura dei tuoi scritti, alcune delle tante lettere da te indirizzate ad una città o piuttosto capoluogo di provincia, che meravigliosamente esortano a una retta condotta morale, ci siamo completamente ricreati. Credo che quelle espressioni siano state dette non da te, ma per mezzo di te; certo, alla fine, da te e per mezzo tuo. Davvero è tanta la maestà di quei pensieri splendenti di così grande nobiltà che penso che agli uomini non basti tutta la vita per istruirsi e perfezionarsi in esse. Ti auguro di star bene, fratello.»

Commento

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Lettera II: Paolo a Seneca

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(LA)

«II - Annaeo Senecae Paulus [1] salutem
Litteras tuas hilaris heri accepi, ad quas rescribere statim potui, si praesentiam iuvenis, quem ad te eram missurus, habuissem. [2] Scis enim quando et per quem et quo tempore et cui quid dari committique debeat. [3] Rogo ergo non putes neglectum, dum personae qualitatem respicio. Sed quod litteris meis vos bene acceptos alicubi scribis, felicem me arbitror tanti viri iudicio. Nec enim hoc diceres, censor, [4] sophista, [5] magister tanti principis, etiam omnium, nisi quia vere dicis. Opto te diu bene valere.»

(IT)

«II - Ad Anneo Seneca Paolo, salute!
Con gioia ho ricevuto ieri la tua lettera, alla quale avrei risposto subito, se avessi potuto disporre di un giovane da mandarti. Sai infatti quando, per chi, in che tempo e a chi si debba dare e fare affidamento. Ti prego perciò di non credere di essere stato trascurato, mentre invece ho riguardo alla qualità della tua persona. Anzi, poiché scrivi da qualche parte che le mie lettere vi sono state gradite, mi considero fortunato per il giudizio di un uomo così illustre. Tu infatti, giudice, maestro di retorica, precettore di tanto principe e anche di tutti, non diresti questo se tu davvero non lo credessi. Ti auguro di vivere a lungo e bene.»

Commento

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Lettera III: Seneca a Paolo

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(LA)

«III - Seneca Paulo salutem.
Quaedam volumina [1] ordinavi et divisionibus suis statum eis dedi. Ea quoque Caesari legere sum destinatus. Si modo fors prospere annuerit, [2] ut novas aures adferat, eris forsitan et tu praesens; sin, alias reddam tibi diem, ut hoc opus invicem inspiciamus. Et possem non edere ei eam scripturam, nisi prius tecum conferrem, si modo impune hoc fieri potuisset, hoc ut scires, non te praeteriri. Vale, Paule carissime.»

(IT)

«III - Seneca a Paolo, salute!
Ho messo in ordine alcuni scritti e li ho divisi secondo l'argomento. Ho anche deciso di leggerli a Cesare. Se la sorte sarà propizia così che egli mostri un interesse insperato, forse potrai essere presente anche tu, altrimenti ti fisserò un giorno per esaminare insieme quest'opera. Potrei anche non comunicargli questi scritti senza prima averne parlato con te, se questo si potesse fare senza rischi: questo, perché tu sappia che non ti trascuro. Sta' bene, carissimo Paolo.»

Commento

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Lettera IV: Paolo a Seneca

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(LA)

«IV - Annaeo Senecae Paulus salutem
Quotienscumque litteras tuas audio, praesentiam tui cogito nec aliud existimo quam omni tempore te nobiscum esse. Cum primum itaque venire coeperis, [1] invicem nos et de proximo [2] videbimus. Bene te valere opto.»

(IT)

«IV - Ad Anneo Seneca Paolo, salute!
Ogni volta che leggo le tue lettere, penso che tu sei presente e non immagino altro se non che tu sei sempre con noi. Non appena verrai, ci vedremo l'un l'altro di persona. Ti auguro di star bene.»

Commento

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Lettera V: Seneca a Paolo

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(LA)

«V - Seneca Paulo salutem
Nimio tuo secessu angimur. Quid est? Quae te res remotum faciunt? Si indignatio dominae, [1] quod a ritu et secta [2] veteri recesseris et aliorsum converteris, [3] erit postulandi locus, ut ratione factum, non levitate hoc existimet. [4] Bene vale.»

(IT)

«V - Seneca a Paolo, salute!
Soffriamo per la tua lunga separazione. Che c'è? Che cosa ti tiene lontano? Se è l'indignazione dell'imperatrice, perché ti sei separato dall’antica religione e dai suoi riti per rivolgerti altrove, sarà il caso di chiederle di pensare che tu hai fatto tutto ciò non per leggerezza, ma a ragion veduta. Sta' bene.»

Commento

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Lettera VI: Paolo a Seneca e a Lucilio

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(LA)

«VI - Senecae et Lucilio Paulus salutem. [1]
De his quae mihi scripsistis non licet harundine et atramento eloqui, [2] quarum altera res notat et designat aliquid, altera evidenter ostendit, praecipue cum sciam inter vos esse, hoc est apud vos et in vobis, [3] qui me intelligant. Honor omnibus habendus est, tanto magis quanto indignandi occasionem captant. [4] Quibus si patientiam demus, [5] omni modo eos et quaqua parte vincemus, si modo hi sunt qui paenitentiam sui gerant. [6] Bene valete.»

(IT)

«VI - A Seneca e a Lucilio Paolo, salute!
Delle cose che mi avete scritto non è il caso di trattare con penna e inchiostro, perché la prima segna e traccia quel che il secondo rende evidente, specie sapendo che tra voi, cioè fra i vostri conoscenti e i vostri amici, vi è chi mi capisce. Si devono onorare tutti, soprattutto quelli che aspettano soltanto l'occasione d'indignarsi. Se ci mostreremo concilianti con loro, li vinceremo sotto ogni aspetto e da qualunque parte, purché essi siano di quelli che si pentono. State bene.»

Commento

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Lettera VII: Seneca a Paolo e a Teofilo

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(LA)

«VII - Annaeus Seneca Paulo et Theophilo [1] salutem
Profiteor bene me acceptum lectione litterarum tuarum quas Galatis Corinthiis Achaeis [2] misisti, et ita invicem vivamus, ut etiam cum honore divino eas exhibes. Spiritus enim sanctus in te et super excelsos sublimi ore satis venerabiles sensus exprimit. [3] Vellem itaque, cum res eximias proferas, ut maiestati earum cultus sermonis non desit. [4] Et ne quid tibi, frater, subripiam aut conscientiae meae debeam, confiteor Augustum sensibus tuis motum. Cui perlecto virtutis in te exordio, [5] ista vox fuit: mirari [6] eum posse ut qui non legitime imbutus sit taliter sentiat. Cui ego respondi solere deos ore innocentium effari, haut eorum qui praevaricare doctrina sua quid possint. [7] Et dato ei exemplo Vatieni hominis rusticuli, [8] cui viri duo adparuerunt in agro Reatino, qui postea Castor et Pollux sunt nominati, satis instructus videtur. Valete.»

(IT)

«VII - Anneo Seneca a Paolo e a Teofilo, salute!
Confesso di essermi dilettato leggendo le lettere che hai mandato ai Galati, ai Corinzi e agli Achei, e possiamo vivere noi insieme, così come tu scrivi quelle lettere onorando Dio. In effetti lo Spirito santo che è in te e al di sopra dei maggiori ingegni, esprime con bocca sublime concetti tanto venerandi. Vorrei perciò che, trattando argomenti elevati, non mancasse all'altezza del loro contenuto la parola forbita. E per non nasconderti nulla, fratello, e non essere in debito con la mia coscienza, ti confesso che l'imperatore si è commosso alle tue parole. Lettogli per esteso come iniziasti la tua vita ispirata, egli esclamò: «È stupefacente che una persona priva di regolare istruzione possa esprimere tali pensieri!». Io gli risposi che gli dèi sono soliti esprimersi per bocca di gente semplice, e non attraverso chi possa travisarli, utilizzando la sua erudizione. E gli portai l'esempio di Vatieno, uomo incolto, al quale nell'agro reatino apparvero due uomini che poi si rivelarono essere Castore e Polluce, e Nerone apparve convinto. State bene.»

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Lettera VIII: Paolo a Seneca

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(LA)

«VIII - Senecae Paulus salutem. [1]
Licet non ignorem Caesarem nostrum rerum admirandarum, si quando deficiet, amatorem esse, [2]permittes tamen te non laedi, sed admoneri. Puto enim te graviter fecisse, quod ei in notitiam perferre voluisti quod ritui et disciplinae eius sit contrarium. Cum enim ille gentium deos colat, quid tibi visum sit ut hoc scire eum velles non video, nisi nimio amore meo facere te hoc existimo. [3] Rogo de futuro ne id agas. Cavendum est enim ne, dum me diligis, offensum dominae facias, cuius quidem offensa neque oberit, si perseveraverit, neque, si non sit, proderit; si est regina, non indignabitur, si mulier est, offendetur. Bene vale.»

(IT)

«VIII - A Seneca Paolo, salute!
So bene che il nostro Cesare ama le cose che destano meraviglia, sbagliando anche a volte, ma permettimi di ammonirti senza offenderti. Penso infatti che tu abbia agito in modo inopportuno portandolo a conoscenza di quanto è contrario al suo culto e alla sua religione. Infatti, dal momento che egli venera gli dèi pagani, non capisco come ti sia venuto in mente di volergli far conoscere questi argomenti, a meno di non pensare che tu l'abbia fatto per il troppo affetto che nutri per me. In futuro, ti prego di non farlo più. Devi stare attento, volendomi bene, a non urtare l'imperatrice, il cui rancore, se lei persistesse a mantenerlo, certo non ci fermerà, ma nemmeno ci sarà utile; comportandosi da regina, non si indignerà, ma si offenderà se si comporterà come una donna qualunque. Sta' bene.»

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Lettera IX: Seneca a Paolo

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(LA)

«IX - Seneca Paulo salutem.
Scio te non tam tui causa commotum litteris quas ad te de editione epistolarum tuarum Caesari feci quam natura rerum, quae ita mentes hominum ab omnibus artibus et moribus rectis revocat, ut non hodie admirer, quippe ut multis documentis hoc iam notissimum habeam. Igitur nove agamus, et si quid facile in praeteritum factum est, veniam inrogabis. Misi tibi librum de verborum copia. [1] Vale, Paule carissime.»

(IT)

«IX - Seneca a Paolo, salute!
So bene che non sei preoccupato tanto per te stesso, avendoti scritto della raccolta delle tue lettere a Cesare, quanto per la natura umana, che allontana gli uomini da ogni abitudine e costume onesto: non me ne stupirò adesso, avendo io questo ben noto da tante prove. Comportiamoci allora diversamente, e se in passato si è fatto qualcosa con leggerezza, mi scuserai. Ti ho mandato il libro De verborum copia. Sta' bene, carissimo Paolo.»

Commento

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Lettera X: Paolo a Seneca

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(LA)

«X - Senecae Paulus salutem.
Quotienscumque tibi scribo et nomen meum subsecundo, [1] gravem sectae meae et incongruentem [2] rem facio. Debeo enim, ut saepe professus sum, cum omnibus omnia esse et id observare in tua persona quod lex Romana [3] honori senatus concessit, perfecta epistola ultimum locum eligere, ne cum aporia et dedecore cupiam efficere quod mei arbitrii fuerit. Vale, devotissime [4] magister. Data V Kal. Iul. Nerone III et Messalla consulibus.»

(IT)

«X - A Seneca Paolo, salute!
Ogni volta che ti scrivo e che metto il mio nome subito dopo il tuo, compio un'azione gravemente incongruente con la mia religione. Io devo infatti, come dissi spesso, essere tutto per tutti e trattandosi della tua persona rispettare quell'onore che la legge romana riconobbe ai senatori, scegliere l'ultimo posto al termine della lettera, non volendo fare a mio arbitrio in modo confuso e vergognoso. Sta' bene, devotissimo maestro. Il 27 giugno [dell'anno 58], sotto il terzo consolato di Nerone e Messala.»

Commento

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Lettera XI (XIV): Seneca a Paolo

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(LA)

«XI (XIV) - Seneca Paulo salutem. [1]
Ave, mi Paule carissime. Putasne me aut contristari et non luctuosum esse quod de innocentia vestra subinde supplicium sumatur? Dehinc quod tam duros tamque obnoxios vos reatui omnis populus iudicet, putans a vobis effici quicquid in urbe contrarium fit? Sed feramus aequo animo et utamur foro [2] quod sors concessit, donec invicta felicitas [3] finem malis imponat. Tulit et priscorum aetas Macedonem, Philippi filium, Cyros Darium Dionysium, nostra quoque Gaium Caesarem, quibus quicquid libuit licuit. [4] Incendium urbs Romana manifeste saepe unde [5]patiatur constat. Sed si effari humilitas humana potuisset quid causae sit et impune in his tenebris loqui liceret, iam omnes omnia [6] viderent. Christiani et Iudei [7] quasi machinatores incendii - pro! - supplicio adfecti fieri solent. Grassator [8] iste quisquis est, cui voluptas carnificina est et mendacium velamentum, tempori suo [9] destinatus est, et ut optimus quisque unum pro multis datum est caput, [10] ita et hic devotus pro omnibus igni cremabitur. Centum triginta duae domus, insulae quattuor milia [11] sex diebus arsere; septimus pausam dedit. Bene te valere, frster, opto. Data V Kal. Apr. Frugi et Basso consulibus. [12]»

(IT)

«XI (XIV) - Seneca a Paolo, salute!
Salve, mio carissimo Paolo. Pensi che non mi rattristi e che non sia funesto il fatto che voi innocenti siate ripetutamente puniti? E ancora, che tutti vi giudichino così incalliti e portati al delitto da considerarvi responsabili di quel che di male accade in città? Ma sopportiamo serenamente e avvaliamoci delle opportunità offerte dalla sorte, finché la beatitudine eterna non ponga fine ai nostri mali. Anche il passato ha dovuto subire il Macedone, figlio di Filippo, Ciro, Dario e Dionisio, e la nostra età Caligola, ai quali fu lecito qualunque cosa loro piacque. È chiaro da dove Roma subisca spesso un incendio. Ma se la gente comune potesse dire quale sia la causa e fosse permesso parlare senza rischi in questi tempi oscuri, allora tutti vedrebbero tutto. Cristiani ed Ebrei, purtroppo, sono continuamente mandati al supplizio come organizzatori dell'incendio. Questo brigante, chiunque egli sia, che gode della carneficina e che si rifugia nella menzogna, è destinato al suo tempo, e come il migliore tra gli uomini si sacrifica per molti, così anche costui è destinato a bruciare nel fuoco per tutti. Per sei giorni bruciarono centotrentadue palazzi e quattromila condomìni; il settimo giorno il fuoco cessò. Ti auguro, fratello, di star bene. Il 28 marzo [dell'anno 64], sotto il consolato di Frugi e Basso.»

Commento

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Lettera XII: Seneca a Paolo

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(LA)

«XII - Seneca Paulo salutem. [1]
Ave, mi Paule carissime. Si mihi nominique meo vir tantus et a Deo dilectus omnibus modis, non dico fueris iunctus, sed necessario mixtus, [optume] actum erit de Seneca tuo. [2] Cum sis igitur vertex et altissimorum omnium montium cacumen, non ergo vis laeter, si ita sim tibi proximus ut alter similis tui deputet? [3] Haut itaque te indignum prima facie epistolarum nominandum [4] censeas, ne temptare me quam laudare videaris, quippe cum scias te civem esse Romanum. Nam qui meus tuus apud te locus, qui tuus velim ut meus. [5] Vale, mi Paule carissime. Data X Kal. Apr. Aproniano et Capitone consulibus.»

(IT)

«XII - Seneca a Paolo, salute!
Salve, mio Paolo carissimo. Se un uomo così grande e prediletto da Dio sotto ogni aspetto sarà, non dico congiunto, ma tutt'uno con me e con il mio nome, questa sarà la cosa migliore per il tuo Seneca. Essendo tu vertice e vetta d'ogni più alto monte, non vuoi che mi rallegri se sono così vicino a te tanto da esser considerato un altro te stesso? Non ritenere dunque di non esser degno di figurare nel prescritto delle lettere, ché altrimenti sembrerebbe che tu voglia mettermi alla prova più che lodarmi, sapendo bene di essere un cittadino romano. Infatti, il mio posto è anche il tuo, e vorrei che il tuo prestigio fosse anche il mio. Sta' bene, mio carissimo Paolo. Il 23 marzo [dell'anno 59], sotto il consolato di Aproniano e Capitone.»

Commento

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Lettera XIII: Seneca a Paolo

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(LA)

«XIII - Seneca Paulo salutem.
Allegorice et aenigmatice [1] multa a te usquequaque colliguntur et ideo rerum tanta vis et muneris tibi tributa [2] non ornamento verborum, sed cultu quodam decoranda est. [3] Nec vereare, quod saepius dixisse retineo, multos qui talia adfectent sensus corrumpere, rerum virtutes evirare. Certum mihi velim concedas latinitati morem gerere, [4] honestis vocibus et speciem adhibere, ut generosi muneris concessio digne a te possit expediri. Bene vale. Data pridie Non. Iul. Lurcone et Sabino consulibus.»

(IT)

«XIII - Seneca a Paolo, salute!
Molte cose sono da te argomentate in modo allegorico e oscuro e perciò bisognerebbe ornare tanta forza di pensiero e i doni che ti provengono dalla grazia divina non con l'abbellimento delle parole ma con l'eleganza dello stile. Non temere quel che ricordo di aver detto tanto spesso, che snaturano il significato e indeboliscono la forza dell'argomentazione molti che hanno uno stile affettato. Mi concederai certamente di attenerti al puro stile della lingua latina e di dare anche bellezza alle tue nobili espressioni, in modo che il dono che ti è stato generosamente concesso possa essere degnamente manifestato. Sta' bene. Il 6 luglio [dell'anno 58] sotto il consolato di Lurcone e Sabino.»

Commento

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Lettera XIV: Paolo a Seneca

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(LA)

«XIV - Senecae Paulus salutem. [1]
Perpendenti tibi ea sunt revelata quae paucis divinitas concessit. Certus igitur ego in agro iam fertili semen fortissimum seo, non quidem materiam quae corrumpi videtur, [2] sed verbum stabile Dei, derivamentum [3] crescentis et manentis in aeternum, quod [4] prudentia tua adsecuta indeficiens fore debebit. Ethnicorum [5] Israhelitarumque observationes censere vitandas novumque te auctorem feceris Christi Iesu, praeconis ostendendo rhetoricis inreprehensibilem sophiam, quam propemodum adeptus regi temporali eiusque domesticis [6] atque fidis amicis insinuabis, quibus aspera et incapabilis erit persuasio, [7] cum plerique illorum minime flectuntur insinuationibus tuis. Quibus vitale commodum sermo Dei instillatus novum hominem sine corruptela [8] perpetuum animal parit ad Deum istinc properantem. [9] Vale, Seneca carissime nobis. Data Kal. Aug. Lurcone et Sabino consulibus.»

(IT)

«XIV - A Seneca Paolo, salute!
Alle tue meditazioni sono state rivelate quelle cose che Dio concesse a pochi. Consapevolmente semino dunque in un campo già fertile un seme eterno, non corruttibile, la stabile parola di Dio, emanazione che cresce e rimane in eterno, che la tua saggezza è arrivata a comprendere, dovrà essere un punto fermo. Bisogna evitare i riti dei Pagani e degli Ebrei e tu ti farai nuovo testimone di Gesù Cristo, mostrando con elevate predicazioni una sapienza che, da te appresa in modo quasi insuperabile, farai penetrare in questo re temporale, fra i suoi cortigiani e i suoi amici fidati, ai quali l'opinione risulterà ostica e incomprensibile, e la maggior parte di loro non si piegherà minimamente alle tue esortazioni. A chi la parola di Dio sarà instillata come un bene vitale, genererà un uomo nuovo, incorruttibile, un essere eterno, proteso da qui a Dio. Sta' bene, nostro carissimo Seneca. 1º agosto [dell'anno 58] sotto il consolato di Lurcone e di Sabino.»

Commento

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I codici contenenti l'epistolario

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I codici contenenti l'epistolario volgarizzato in fiorentino

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Note

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  1. ^ Divinae Institutiones 6, 24, 13-14: « homine verae religionis ignaro [...] potuit esse verus Dei cultor, si quis illi monstrasset ».
  2. ^ De viris illustribus XII.
  3. ^ A. Fleury, Saint Paul et Sénèque, Paris 1853, I, p. 258.
  4. ^ Girolamo, cit., prologo, 14.
  5. ^ Agostino, Epistolae, 153, 14.
  6. ^ Pseudo-Agostino, Sermo XVII, De vigilatione et otiositate vivanda: « ut ait paganus ille [Seneca] santissimi Apostoli amicus charissimus », in PL 40, 1263.
  7. ^ In Lipsius, Acta Apostolorum apocrypha, Lipsiae, 1891.
  8. ^ Chronicon 2, 1, 16 in Patrologia Latina 106, 1132.
  9. ^ De luminaribus ecclesiae I, 12.
  10. ^ Speculum historiale, IX, 9.
  11. ^ Chronicon III, 16.
  12. ^ Historia scholastica XVI, 126.
  13. ^ Chronicon IV, 4.
  14. ^ Tractatus adversus Petrobrusianos 1150, in Patrologia Latina 189, 737 C.
  15. ^ Introductio ad Theologiam I, 24 ed Expositio in epistolam Pauli ad Romanos I, 1.
  16. ^ Policraticus VIII, 13.
  17. ^ Gian Enrico Manzoni, San Paolo e Seneca si incontrarono?, su avvenire.it, L'Avvenire, 15 gennaio 2009.
  18. ^ Riportato da R. Sabbadini, Giovanni Colonna biografo e bibliografo del sec. XIV, « Atti Accademia delle scienze di Torino », 46, 1911, p. 892.
  19. ^ G. Boccaccio, Esposizioni sopra la Comedia di Dante, IV, 354.
  20. ^ Tacito, Annali 15, 64.
  21. ^ In Anthologia Latina I, 2, 667.
  22. ^ A. Momigliano, cit., p. 340.
  23. ^ Nella sua edizione delle Epistolae, Basileae, 1557.
  24. ^ De vita et scriptis L. Annaei Senecae, X.
  25. ^ Il dibattito su dissimulazione e nicodemismo nasce nella prima metà del Cinquecento.
  26. ^ S. Senese, Paulus, in « Bibliotheca sancta » II, Coloniae, 1586, p. 88.
  27. ^ F. de Bivar, Dextri Chronicon, Lugduni, 1627: « factus christianus occultus, eius fuisse discepulus creditur, dulciterque scribit ad Paulum in Hispania morantem ».
  28. ^ « Divus Hieronimus non ignarus fuit, abusus est simplicium credulitate », in Senecae opera, Basileae, 1529, p. 679.
  29. ^ Novi Testamenti interpretatio cum annotationibus, II, 1565, p. 420.
  30. ^ Citato in Fabricius, Codex apocryphus Novi testamenti, Hamburgi, 1703.
  31. ^ Mémoires pour servir à l'histoire ecclésiastique des six premiers siècles, Paris, 1693.
  32. ^ J. de Maistre, Les soirées de Saint-Petersbourg, II, pp. 160-169.
  33. ^ Sulla questione, G. B. de Rossi, « Bullettino di archeologia cristiana » 5, 1867; A. Codara, Seneca filosofo e san Paolo, « Rivista italiana di Filosofia », 12 1897, e C. Aubertin, Sénèque et Saint Paul, Paris, 1872.
  34. ^ A. Fleury, Saint Paul et Sénèque. Recherches sur les rapports du philosophe avec l'apõytre, et sur l'infiltration du chistianisme naissant à travers le paganisme, Paris 1853.
  35. ^ Seguito ancora recentemente, sempre sulla base dell'episodio neo-testamentario e dall'iscrizione di Ostia, da Maria Sordi, Seneca e Paolo, in AA. VV., Il cristianesimo e Roma, 1965, e I rapporti personali di Seneca con i Cristiani, in AA. VV., Seneca e i Cristiani, 2001.
  36. ^ A. Fleury, cit., II, p. 75. Per una confutazione delle ipotesi del Fleury, C. Aubertin, cit., pp. 63-66; A. Codara, cit., p. 165 e J. N. Sevenster, Paul and Seneca, 1961, p. 8.
  37. ^ E. Liénard, La Collatio Alexandri et Dindimi, 1936, credette di intravedere la stessa mano in queste due corrispondenze.
  38. ^ A. Momigliano, Note sulla leggenda del Cristianesimo di Seneca, 1950.
  39. ^ C. W. Barlow, Epistolae Senecae ad Paulum et Pauli ad Senecam, 1938, p. 92.
  40. ^ E. Westerburg, Der Ursprung der Sage, dass Seneca Christ gewesen sei, 1881.
  41. ^ Cioè subentrati a due consoli deceduti.
  42. ^ In Italia: nel resto dell'impero non fu più utilizzata dal II secolo.
  43. ^ A. Momigliano, cit., p. 331
  44. ^ Per esempio, Arnobio, Adversus Nationes 1, 58: « ab indoctis hominibus et rudibus scripta sunt » o Gerolamo, Epistolae 22, 30: « Si quando in memet reversus prophetam legere coepissem, sermo horrebat incultus ».
  45. ^ « In cui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza », in S. Pauli Apostoli Epistola XIV cum commentario Jacobi Fabri, Parisiis 1512.
  46. ^ M. Erbetta, Gli apocrifi del Nuovo Testamento, II, 1969, p. 88.
  47. ^ L. Bocciolini Palagi, Il carteggio apocrifo di Seneca e san Paolo, 1978, p. 81.
  48. ^ Il Fleury, cit., enumera Colossesi 2, 1; Filippesi 1, 12; II Corinzi 1, 8 e I Tessalonicesi 4, 13.
  49. ^ C. Aubertin, Étude critique sur les rapports supposés entre Sénèque et Saint Paul, 1857.
  50. ^ Un'analisi della diversa tipologia delle lettere di Paolo e di Seneca è in J. N. Sevenster, Paul and Seneca, 1961.
  51. ^ Così Bocciolini Palagi, cit., pp. 91-92, peraltro diversamente, per esempio, da Barlow, Epistolae Senecae ad Paulum et Pauli ad Senecam, 1938, p. 92.
  52. ^ Sulle formule epistolari si possono vedere A. Dihle, Antike Hõflichkeit und christliche Demut, Halis Saxonum 1910, p. 170, e M. Naldini, Il Cristianesimo in Egitto, Firenze 1968, p. 21-22.
  53. ^ cit., II, p. 302.
  54. ^ Come in Cicerone, Ad Atticum 6, 7, 2; in Plinio, Epistolae 2, 12, 6, fino a Simmaco, Epistolae 8, 34.
  55. ^ C. W. Barlow, cit., p. 90; L. Bocciolini Palagi, cit., p. 95.
  56. ^ Cicerone, Orator 14 e 65; De oratore 3, 55.
  57. ^ M. Vittorino, Rhetorica 1, 1: « Rhetor est qui docet litteras atque artes tradit eloquentiae, sophista est apud quem dicendi exercitium discitur, orator est qui in causis privatis ac publicis plena et perfecta utitur eloquentia ».
  58. ^ Da Raffaele Volterrano, Commentariorum urbanorum Raphaelis Volaterrani octo et triginta libri, XIX.
  59. ^ Sulla questione, Remigio Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci ne' secoli XIV e XV. Nuove ricerche, Firenze 1967 e L. Bocciolini Palagi, cit., pp. 98-102.
  60. ^ L. Bocciolini Palagi, cit., p. 106.
  61. ^ Erasmo, cit., p. 679.
  62. ^ A. Omodeo, Paolo di Tarso, 1922.
  63. ^ G. B. Pighi, Latinità cristiana negli scrittori pagani del IV secolo, 1937, p. 45.
  64. ^ A. Blaise, Le vocabulaire latin des principaux thèmes liturgiques, 1966, p. 594.
  65. ^ Omelie sugli Atti degli apostoli 46 in PG XL, 325.
  66. ^ In Persio I, 3, 11; in Marziale I, 3, 10 e in Ausonio, Epistolae 15, 50.
  67. ^ L. Vouaux, Correspondence entre Sénéque et saint Paul, in « Les Actes de Paul et ses lettres apocryphes », 1913, p. 248.
  68. ^ L. Bocciolini Palagi, cit., p. 131.
  69. ^ C. W. Barlow, cit., p. 143.
  70. ^ A. Fleury, cit., II, p. 314. In questo senso, per esempio, anche Girolamo, Homiliae Origenis in Ezechielem VIII, in PL XXV, c. 751, ha « in exordio fidei constitutus ».
  71. ^ Lipsius, cit., p. 153.
  72. ^ secondo J. N. Sevenster, cit., p. 89.
  73. ^ Come il Fleury, cit., II, pp. 272-273.
  74. ^ Titulus autem libelli est Formula vitae honestae, si legge nella dedica di Martino al re svevo Mirone: in « Martini episcopi Bracarensis opera omnia », New Haven 1950.
  75. ^ Il problema è affrontato da R. Hoven, Stoïcisme et Stoïcien face au problème de l'au-de-là, Paris, 1971.
  76. ^ L. Bocciolini Palagi, cit., p. 170.
  77. ^ Tacito (Annali 15, 40) indica tre regioni distrutte, sette danneggiate e quattro rimaste intatte.
  78. ^ Cit., p. 331.
  79. ^ Senza l'avverbio, actum erit de Seneca tuo significherebbe « è finita per il tuo Seneca ». La scrittura continua dell'originale « optumeactumerit », con la ripetizione di tume, dovrebbe aver provocato l'omissione di optume.
  80. ^ Quintiliano, Institutiones VIII, 6, 52: Allegoria, quae est obscurior, aenigma dicitur.
  81. ^ Epistolae 121, 10.
  82. ^ Geschichte der altchristlichen Litteratur, I, 1893, p. 765.
  83. ^ I. Ramelli, L'epistolario apocrifo Seneca-San Paolo, in « Vetera Christianorum », 1997 e in Seneca e i cristiani, 2001.
  84. ^ Ad Lucilium, 73.

Bibliografia

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Voci correlate

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