I farmaci antiaritmici sono farmaci utilizzati in cardiologia per prevenire o per correggere le anomalie del ritmo cardiaco (aritmie).
Lo stesso argomento in dettaglio: Aritmia.
|
Il ritmo cardiaco è dovuto a due processi: alla formazione di un impulso, normalmente dal nodo del seno, e alla sua conduzione attraverso il sistema di conduzione cardiaco. Le aritmie sono dunque dovute ad un'anomala formazione dell'impulso, ad un'anomala conduzione dell'impulso, o ad una combinazione di queste.[1]
I farmaci antiaritmici, agendo a vari livelli del processo di formazione e conduzione dell'impulso, tendono alla normalizzazione del ritmo cardiaco.
Tali farmaci un tempo erano considerati come l'unico trattamento possibile in caso di gravi anomalie della conduzione cardiaca, poi a partire dalla seconda metà del XX secolo, furono utilizzate anche come trattamento di supporto. La loro attuale classificazione è stata proposta per la prima volta nel 1970,[2] pubblicata per la prima volta nel 1975[3] e successivamente modificata da Harrison e colleghi.[4]
La classificazione Vaughan Williams è stata introdotta nel 1970 da Miles Vaughan Williams:[5][6]
Le cinque classi principali della classificazione Vaughan Williams dei farmaci antiaritmici sono:
Per quanto riguarda la gestione della fibrillazione atriale, le classi I e III sono utilizzate nel controllo del ritmo, mentre le classi II e IV sono utilizzate per il controllo della frequenza cardiaca.
Anche se la classificazione di Vaughan Williams è la più conosciuta, essa è in realtà poco corretta, in quanto tiene poco conto della differenza del meccanismo delle aritmie, non identificando un corretto e migliore approccio.
A questo si cerca di ovviare con la classificazione "Sicilian gambit"[7], che presenta i farmaci su due assi. Sull'asse Y ogni farmaco è elencato nell'ordine della classificazione di Singh-Vaughan Williams. Nell'asse X i canali, i recettori, le pompe e gli effetti clinici sono elencati per ogni farmaco, con i risultati elencati in una griglia. Non è dunque una vera classificazione in quanto non aggrega i farmaci in categorie.[8]
A seconda della tipologia, gli antiaritmici esercitano un'azione bloccante sui 3 canali principali sodio (la prima classe), calcio e potassio o dei recettori beta-adrenergici. I farmaci anti-aritmici sono in grado di:
I farmaci appartenenti a questa classe riducono la velocità di innalzamento della fase 0 (dovuta all'apertura dei canali per il sodio), prolungano la durata del potenziale d'azione cardiaco e si dissociano dai canali per il sodio con cinetiche intermedie. I canali del sodio sono i responsabili dell'eccitazione rapida delle cellule miocardiche: bloccando questi canali si rendono le cellule più refrattarie, ponendo un notevole limite alla genesi di impulsi troppo rapidi o ectopici.
In questa categoria rientrano:
Effetti collaterali: Chinidina (vomito, dolore addominale, diarrea, anoressia) - Procainamide (rash, mialgia, fenomeno di Raynaud) - Disopiramide (ritenzione urinaria, stipsi, glaucoma).
Benché siano in grado di legare il canale per il sodio, non influenzano significativamente il potenziale d'azione grazie alle rapidissime cinetiche di dissociazione. Sono farmaci relativamente sicuri che sono utilizzati soprattutto nelle emergenze (infarto del miocardio, prevenzione di eventi aritmici gravi).
I farmaci che rientrano in questa categoria sono:
Effetti collaterali: Lidocaina (parestesia, vertigini, confusione, delirio) - Mexiletina (disartria, tremore, diplopia, nistagmo) - Fenitoina (vertigini, atassia, coma, nistagmo, più raramente malformazioni fetali congenite).[14]
I farmaci che rientrano in questa categoria sono caratterizzati da lente cinetiche di dissociazione e comprendono:
Effetti collaterali: Flecainide (mostra talora effetti proaritmici) - Propafenone (broncospasmo, vertigini, disturbi al senso del gusto e alla visione) - Moricizina (nausea, vomito, diarrea).
Bloccano i recettori beta-adrenergici. Tutti i farmaci hanno più o meno gli stessi effetti, ma quello che li differenzia è il tempo di impiego e gli effetti collaterali. Vengono suddivisi in beta1 e beta2, i primi hanno un effetto maggiore sul cuore i secondi invece hanno un maggiore effetto sui bronchi e vasi sanguigni. Si osserva un'emivita maggiore in quelli che vengono eliminati tramite l'azione dei reni. Vista l'azione simile, se uno non mostra effetti anche altri risulteranno inutili.
Questi agenti sono particolarmente utili nel trattamento delle tachicardie supraventricolari. Diminuiscono la conduzione attraverso il nodo AV.
I farmaci che rientrano in questa categoria sono:
Effetti collaterali: possono causare un peggioramento dell'asma o della broncopneumopatia cronica ostruttiva, fenomeno di Raynaud. Una brusca interruzione del trattamento può causare un peggioramento in caso di angina pectoris.
Bloccano i canali del potassio, hanno un effetto di allungamento sulla ripolarizzazione e refrattario sulle fibre di Purkinje, rendendo inagibile il circuito di rientro.[19] Gli agenti della classe III hanno la caratteristica di prolungare l'intervallo QT dell'ECG e possono essere a loro volta proaritmici.
I farmaci che rientrano in questa categoria sono:
Effetti collaterali: Amiodarone (dispnea, ipossiemia, tosse, febbre, effetti polmonari e gastrointestinali gravi non permettono l'utilizzo della somministrazione per molto tempo, anche se solo nel 18-37% dei casi il trattamento viene poi sospeso realmente.[22]) - Bretilio (ipotensione, nausea, vomito).
Bloccano i canali del calcio, agendo sulle fibre lente sia fisiologiche che patologiche. In particolare vengono utilizzati fenilalchilamine e benzotiazepine che hanno un effetto uso-dipendenza. Possono influenzare la contrattilità del cuore, quindi debbono essere impiegati con molta attenzione nell'insufficienza cardiaca cronica. I farmaci che rientrano in questa categoria sono:
Nel sistema di classificazione di Vaughan Williams originale non sono comprese alcune sostanze che comunque vengono utilizzate in alcune patologie cardiologiche specifiche: